L 'Urss per l'unità nazionale

Lllrss per l'unità nazionale Lllrss per l'unità nazionale Una città prigioniera del terrore MOSCA — «Le Forse Armate sovietiche hanno lasciato Kabul ed entro il 15 febbraio non vi sarà più alcun soldato sovietico in Afghanistan. Questo non significa però che Mosca si disinteresserà degli affari afghani: tra l'altro, continueranno anche dopo il 15 febbraio le forniture di viveri via aerea alle maggiori città". L'annuncio che gli aluti proseguiranno è venuta dal viceministro degli Esteri dell'Urss, Egor Rogaciov, nel corso di una conferenza stampa dedicata ai risultati della visita di Eduard Shevardnadze in Cina e Pakistan. Cosi, mentre il ponte aereo Gnu (accettato da guerriglieri e governativi) non è riuscito ancora a divenire realtà, con un Boeing 707 fermo da ore sulla pista di Islamabad per problemi non meglio precisati. Mosca proroga gli aiuti «umanitari». Secondo Rogaciov, dai colloqui del ministro degli Esteri sovietico a Islamabad è emerso come entrambe le parti concordino sul fatto che -non vi è alternativa, ad una soluzione politica del problema afghano- e come questa soluzione vada trovata con la costituzione di «un governo a larga base-. La questione 'dovrebbe essere risolta dagli afghani stessi", anche se ciò non significa — ha aggiunto Rogaciov — 'Che i Paesi amici dell'Afghanistan debbano estraniarsi dagli affari del Paese». Il portavoce del ministero degli Esteri, Ghennady Gherasimov, ha aggiunto che l'Urss invierà anche camion in Afghanistan sotto la bandiera dell'Onu. Ma Gherasimov è sceso a toccare anche temi più scottanti. A suo giudizio, infatti, la guerriglia musulmana 'Sta concentrando le sue forze per colpire lungo le strade tra Kabul, Jalalabad, Kahiraton, e tra Turghundi e Shindad». Le forze dei mujahiddin — ha detto — ammontano a 30 mila armati. «C'è un certo cambiamento di umore a Kabul — ha ricordato ancora Gherasimov —: dal momento che la sensazione di incertezza di certe persone è slata rimpiazzata dalla determinazio¬ ne e dal desiderio di cavarsela da soli». Rogaciov ha confermato che, a giudizio dell'Urss, «tutti i partiti che intendono prendere parte alla vita politica afghana» andrebbero coinvolti in una piattaforma comune. In particolare, il Partito democratico del Popolo afghano (attualmente al potere) dovrebbe partecipare ad ogni organismo politico. Ci vorrebbe poi un Comitato consultivo per preparare la formazione di un governo di coalizione, come ha. precisato Yuri Alexeiev, capo del Dipartimento Affari orientali del ministero. Il viceministro ha quindi smentito che negli ultimi tempi i responsabili sovietici mettano l'accento più sul partito e sulla leadership afghana nel suo insieme, e che ciò possa indicare che si è disposti ad accettare il 'sacrificio politico» di Najibul- i i'crmez (Uzbekistan). Un soldat lah (la cui partecipazione a futuri governi di coalizione è respinta dall'opposizione). A tale proposito, Rogaciov ha detto che la visita di Shevardnadze in Pakistan «si è svolta con l'accordo di Najibullah» ed ha affermato che la politica di solidarietà nazionale di Najib «risponde agli interessi di tutta la società afghana», lasciando intendere che l'Urss continuerà a sostenerlo. «Le forze sue e del suo governo sono sufficienti a far fronte alla situazione anche dopo il ritiro sovietico», ha concluso Alexeiev. Sia Rogaciov che Alexeiev hanno confermato che l'Urss è sempre disposta a «nuovi negoziali» con i ribelli. Ad una domanda se dopo il 15 febbraio cesseranno i raid sovietici sul territorio afghano, Alexeiev ha risposto che l'Urss si atterrà «alla lettera e allo spirito» degli accordi di Ginevra. (Ansa-Api-Agi) NOSTRO SERVIZIO to gli elmetti sguardi azzurri e zazzere bionde. Partendo, hanno svenduto mantelle, cappelli, elmetti, cinturoni, stivali, e il prezzo del caviale russo diverrà presto inabbordabile. Kabul non parla che di ritirata, e le stime si fanno presto. Solo un contìngente limitato (da 200 a 600 uomini) di soldati sovietici sarebbe ancora presente nella capitale afghana, specialmente intorno all'aeroporto. Da due giorni, i voli degli Ylìushin 76 dell'Aeroflot si sono moltiplicati (23 fra arrivi e partenze domenica). L'ambasciata e il Centro culturale sovietico, sul corso Darulaman, non tradiscono alcun fermento. Ma questa calma è ingannatrice. I diplomatici sovietici sono passati da sessantadue a trentuno, e quelli che restano sono stati pre¬ KABUL — n blindato sovietico che montava di guardia a Chicken Street, la strada dei mercanti di souvenir, è scomparso da qualche giorno. Stava là tutto l'anno, con la torretta aperta, il motore fumante che riscaldava nei mesi invernali. Era arrivato nel dicembre 1979, all'epoca dell'intervento dell'Armata Rossa, e si credeva, a torto, che la sua sagoma facesse parte del paesaggio. Nelle strade di Kabul, ormai, è sconsigliabile passeggiare con una chapka come copricapo. La quarantesima armata sovietica ha lasciato la città, una partenza avvenuta nella massima discrezione, a piccole dosi, con convogli notturni e ponti aerei. Poi, improvvisamente, martedì 7 febbraio è divenuto impossibile scorgere sot¬ o sovietico è abbracciato da un'anziana donna al rientro in Urss (Epa) gati di abbandonare le abitazioni che occupavano in città. Abitano nei locali dì questa ambasciata-bunker per ragioni di sicurezza. I servizi diplomatici sovietici danno inoltre lavoro a 120 persone, tutte di nazionalità sovietica. I consiglieri sovietici, militari e civili, di razza turkmena o tagika, non sono facili da individuare, e possono confondersi con la popolazione afghana. II presidente Najibullah ha denunciato gli integralisti e i controrivoluzionari (la resistenza afghana), così come aveva fatto nel corso d'una recente conferenza stampa il cui tono non era, in effetti, molto conciliante. Un ripiegamento? In seno al partito, il dibattito fra partigiani e avversari dell'apertura politica è divenuto sordo, teso. La decifrazione della politica afghana non è mai stata cosa semplice. Abbandonato a se stesso, il regime di Kabul è più debole che mal, e parrebbe rifugiarsi nell'intransigenza proprio mentre gli sforzi dei sovietici, e del ministro degli Esteri Shevardnadze in particolare — malgrado, almeno in apparenza, non siano premiati — testimoniano la ricerca di un nuovo assetto politico. A Mosca, specialmente per ragioni di credibilità internazionalista, si pensa che il crollo del Partito democratico del Popolo afghano farebbe un cattivo effetto sui Paesi satelliti o appoggiati dall' Urss. L'Unione Sovietica non ha dunque alcun interesse a un bagno di sangue. Laurent Zecchini Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Kabul. Un giovane porta mazzette di afghani, la moneta che al mercato nero cambierà per un quarto della quotazione ufficiale (Ap)