Sacharov da Craxi: «L'Urss non pubblica I miei libri»

Sacharov da Craxi: «L'Urss non pubblica I miei libri» Sacharov da Craxi: «L'Urss non pubblica I miei libri» ROMA — Una conversazione "lunga ed amichevole sulla realtà intemazionale e su quella sovietica-: così il segretario socialista Bettino Craxi ha definito il colloquio (un'ora e 35 minuti) che ha avuto ieri mattina nella sede del psi con Andrei e Yelena Sacharov. Craxi ha espresso la propria gioia per aver potuto conoscere il premio Nobel per la pace sovietico e aver nuovamente incontrato sua moglie: -Spero — ha detto — di avere presto l'occasione di riincontrarli a casa loro, in Urss-. Sacharov, che oggi sarà a Bologna, ha approfittato dell'incontro per lanciare un appello -all'Occidente- in favore della liberazione dei membri del -Comitato NagornyKarabakh-: -Bisogna assolutamente fare qualcosa per loro-, ha detto. L'arresto dei membri del comitato (che Sacharov ha definito dei moderati) è a suo giudizio un passo indietro, in quanto la decisione presa a Vienna di organizzare nel '91 a Mosca un grande convegno sui diritti umani si basava sul fatto che tra l'87 e l'88 quasi tutti i detenuti politici erano stati liberati. Craxi ha anche chiesto a Sacharov se i suoi libri siano in vendita a Mosca e la risposta dello scienziato è stata che -nessuno dei suoi libri è stato pubblicato in Unione Sovietica-. Con Craxi, Sacharov e Yelena Bonner hanno parlato lungamente della situazione dell'Urss e in particolare delle prossime elezioni, alle quali anche lo scienziato è candidato, e degli sforzi di democratizzazione che sta compiendo Gorbaciov. Sulle elezioni, Sacharov ha spiegato che il loro meccanismo, elaborato dal precedente Politbjuro, è -quasi incomprensibile-. Ciò nonostante c'è ancora -qualche speranza-, secondo Sacharov, che coloro che saranno eletti non saranno tutti designati dall'alto, ma che ci sarà tra loro anche qualche progressista che crede nella perestrojka. (Ansa) DAL NOSTRO INVIATO BUDAPEST — Dalla finestra della sua villetta sulla Collina delle Rose, Andràs Hegedus rivede Budapest in tutte le sfumature del grigio. C'è nebbia fitta sui tetti e sulle guglie del Parlamento. Il signor Hegedus, sguardo dolce e voce mite, è un pensionato di rango, con un passato irripetibile. Fiero stalinista, fu primo ministro ungherese a 33 anni: fino all'arrivo del carri armati sovietici nell'ottobre '56. Fu lui, la sera del 23 ottobre, a firmare la richiesta d'intervento delle truppe sovietiche; e lui, nel maggio '55, aveva sottoscritto l'adesione dell'Ungheria al Patto di Varsavia. Dopo la rivolta, fuggì a Mosca. E finito l'esilio un mesto ritorno lo attendeva, una risistemazione marginale come direttore dell'Istituto di Sociologia dell'Accademia delle Scienze. Da premier rampante a «studioso d'ufficio», a rinnegato: nel 1968 Andras Hegedus, con una lettera al Comitato Centrale, si scagliò contro l'intervento sovietico a Praga: seguì la condanna per eresia e l'esclusione dal partito. Oggi Andràs Hegedus è un ex premier pentito. Mentre ci Dukakis: «Mia