De Mita di Paolo Mieli

De Mita CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA De Mita cuni giorni e poi decise di ricominciare la corsa. Per potersi rimettere in pista, però, si vide costretto a consegnare a Craxi un quadriennio di presidenza del Consiglio, stringere patti con i boss storici della de, tornare ad essere lui stesso un boss e in questa veste considerare il settore pubblico come un terreno di conquista sul quale consolidarsi per poter trattare con gli altri leader del suo partito dà pari a pari. E per di più a rivolgersi alla Chiesa e al mondo cattolico, anche quello più tradizionale, per ottenerne l'appoggio. In altre parole s'acconciò a snaturare radicalmente il suo progetto originario. Salvo poi resuscitarlo nell'aprile scorso, quando sull'onda di un recupero elettorale della de c dell'avvenuta riconquista di alcuni centri nevralgici dello Stato (politici ed economici) De Mita si ripresentò da presidente del Consiglio a risanare i conti pubblici e ad avviare la riforma istituzionale. Ma era passato del tempo, tanto tempo, dal varo del progetto. In questi anni s'erano verificate, anche col suo concorso, alcune circostanze di cui evide.ntemente non ha tenuto sufficiente conto: la forza del «nemico» Craxi è enormemente cresciuta; la sponda che avrebbe dovuto offrirgli il pei non è più tale; la sua credibilità di risanatore dell'economia è ormai messa in dubbio dai più; i capicorrente del suo partito sono più che robusti, si sono emancipati da lui e non vedono più alcun motivo di tenerselo come padrone. In queste nuove condizioni sono state sufficienti due spallate, quella dcH'«Irpiniagatc» e la minaccia di sciopero generale contro il decretone, per far capitombolare De Mita, mettendone a nudo un'immagine in forte contrasto con quella che aveva presentato nell'entrare a Palazzo Chigi: immediatamente agli occhi dell'opinione pubblica (anche internazionale) De Mita è ridiventato il capo di un clan irpino e l'uomo che pur di tenersi in sella è disposto a pasticciare in materia di conti pubblici. E se adesso si presenterà all'appuntamento del 14 febbraio fissato dai suoi amici di partito che lo hanno messo in minoranza e gli vogliono dettare le condizioni per conservare il posto tra i notabili democristiani, metterà la sua firma in calce all'atto che rischia di sanzionare la sua fine politica. Anche se poi cercherà di descrivere questo ennesimo patto, che magari gli consentirà di restare prò tempore a capo del governo, come un suo personale successo. Avrebbe altre opportunità per dimostrare, almeno, di credere ancora nella validità della sua politica? Sì, quella che si diedero Amintore Fanfani alla fine degli Anni Cinquanta e Aldo Moro a conclusione dei Sessanta. Ambedue, come accade oggi a De Mita, furono sopraffatti dal centro doroteo della de; ambedue non cercarono disperatamente di restare a galla e ammisero pubblicamente la loro sconfitta; ad entrambi negli anni successivi si offrì l'occasione per cogliere una rivincita. De Mita negli ultimi giorni ha di-Ito più volte che, come loro, potrebbe di punto in bianco "lasciare tulio». E' davvero il suo propo- sit0? Paolo Mieli

Persone citate: Aldo Moro, Amintore Fanfani, Craxi, De Mita