A Venezia «Una delle ultime sere di Carnovale» con la regia di Scaparro

Goldoni tra le ceneri teatrali A Venezia «Una delle ultime sere di Carnovale» con la regia di Scaparro Goldoni tra le ceneri teatrali Commedia degli addii e di grandi parallelismi, perfettamente fusa intorno al cambiamento di una società e di un tempo - Il regista l'ha proiettata in una dimensione stilizzata, usando mano leggera e felice - Le scene di Folon mettono da parte le suggestioni del realismo Straordinaria per coesione la compagnia del Teatro di Roma, magnifica prova di Didi Perego, successo per Marano, Zamengo e Vettorazzo DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Commedia degli addii, si dice comunemente di Una delle ultime sere di Carnovale; e si dice anche commedia dei «desperai», rubando la battuta a Goldoni, che scrisse questo suo testamento sentimentale nel 1762, alla vigilia della partenza per Parigi. In effetti, addio e disperazione percorrono come un'acqua scura questo testo ambiguo e struggente, presentato l'altra sera al Goldoni dal Teatro di Roma con la regia di Maurizio Scaparro. E non solo addio e disperazione. Al di sopra di tutto si stende il velo leggero di un'allegoria teatrale che trasforma un artigiano in un capocomico, la società dei tessitori di stoffe in attori e un disegnatore nel cosiddetto poeta di compagnia, cioè in Goldoni, che sta per partire verso un nuovo mondo lasciando la compagnia alla quale tuttavia promette di tornare, di mandare disegni, cioè commedie. E invece non tornerà nella sua città, né vi manderà più di qualche copione, tra cui II ventaglio. Ci troviamo perciò tra le ceneri di un grande crepuscolo, non solo lagunare, dentro una casa simbolica dove non entra neppure l'eco della festa che, fuori, rapi- sce tutti come un vento. Quella che viene rappresentata, nella frammentazione delle battute dimesse, è un'amarezza che, a cominciare dall'anziano Zamaria, si allarga alla figlia Domenica e agli invitati. Dovrebbero cenare, giocare alle carte, ballare qualche minuetto; invece non fanno che parlare dei loro casi, delle proprie manie e, soprattutto, di Anzoletto che sta per andarsene nella misteriosa Moscovia, abbandonando gli amici e la tenera Domenica che lo ama e che lui riama. Commedia di grandi parallelismi, dunque, elevati a una significazione alta e rigorosa; commedia perfettamente fusa intorno al cambiamento non solo di una so¬ cietà ma del teatro, che la regia di Scaparro sottrae ad ogni convenzione, ad ogni goldonismo, e proietta in una dimensione stilizzata. Già la scena di Folon mette da parte le suggestioni del realismo e ci presenta una casa che casa non è. E' un'illusione architettonica, un fondale squillante di rosa e d'azzurro con due aperture moresche in alto e un immenso portone che si spalanca sul blu di un mare che potrebbe già essere l'orizzonte. E i costumi di Roberto Francia, in aggiunta, appartengono già all'Ottocento, a un tempo che è già cambiato e cambi e rà sempre. Con tali supporti espressivi. Scaparro mette in moto, usando una mano leggera e felice, il suo congegno teatrale, instillando nello spettatore lo sgomento legato all'ignoto, soffermandosi malinconico sul conflitto tra vecchio e nuovo e accendendo la febbre legata proprio a quel «nuovo» da conquistare con l'arte e con il talento. Per sviluppare il suo discorso si è servito di una straordinaria compagnia, splendida per coesione e affiatamento. Citiamo Ezio Marano (Zamaria), la fresca e spigliata Renata Zamengo (Domenica), l'intenso Giovanni Vettorazzo (Anzoletto). Bravissimi Toni Barpi, Donatella Ceccarello, Raffaele Bondini, Wanda Benedetti, Leonardo Petrillo. Straordinaria Didi Perego nella parte di Madama Gattinéau, anziana ricamatrice francese ancora sensibile ai richiami del cuore. A loro e a tutti gli altri i calorosi applausi del folto pubblico. Osvaldo Guerrieri Giovanni Vettorazzo e Renata Zamengo l'altra sera al Teatro Goldoni durante la prima

Luoghi citati: Parigi, Venezia