Fame, freddo, paura: gli ultimi giorni di Kabul

Fame, freddo, paura: gli ultimi giorni di Kabul Fame, freddo, paura: gli ultimi giorni di Kabul NOSTRO SERVIZIO KABUL — I bambini hanno freddo. Come i loro padri, si imbacuccano negli indumenti di lana e negli abiti smessi di un esercito sovietico che si ritira. A volte, già alle tre del mattino si formano lunghe file davanti alle pompe della benzina. I bambini e le donne, carichi di taniche e di bidoni, battono i piedi nella neve per qualche decina di litri di carburante domestico, n brusio della città non è più che un lamento uniforme per la scarsità di pane, latte, zucchero. I quartieri di periferia sono diventati enormi parcheggi. Migliaia di macchine e di camion sono fermi per mancanza di carburante. In una settimana, le tariffe dei taxi sono raddoppiate e la circolazione è rallentata. Il sindaco della capitale, il generale Mohammed Hakim, ha un belraffermare che i silos contengono 57 mila tonnellate di farina, la popolazione e gli esperti internazionali sanno bene che questa cifra è molto ottimista. Secondo fonti mediche, la popolazione «ad alto rischiodi Kabul è di circa 30 mila persone. Si tratta di bambini, donne in attesa o che allattano, malati. I medici devono prevedere tutto, compreso il peggio, un blocco economico quasi totale, una battaglia per la conquista della capitale. Nella prima ipotesi, questa popolazione vulnerabile — la maggior parte sono famiglie trasferite — soffrirà duramente. All'ospedale «Indirà Gandhi-, riservato ai bambi- ni, il 67 per cento dei malati sono vittime della malnutrizione, n secondo scenario avrebbe senza dubbio delle conseguenze catastrofiche, gli ospedali di Kabul hanno già gravi problemi di rifornimento, sia di cibo che di medicinali. H razionamento è diventato una forma di gestione delle risorse. Soltanto le scorte di medicinali del comitato intemazionale della Croce Rossa di Ginevra, circa cento tonnellate, sono abbondanti. E' però vero che il governo ha dovuto costituire delle riserve in previsione di possibili scontri. Combattimenti a Kabul comporterebbero un problema immediato di pla¬ sma sanguigno, perché mancano le banche del sangue. L'ospedale della Croce Rossa ha una scorta di 120 litri: ne vengono utilizzati soltanto 50, in previsione di una crisi. Nei centri di salute pubblica, la situazione è ben lontana dall'essere soddisfacente: penuria di medicinali e di cibo, tagli all'elettricità che interrompono le operazioni chirurgiche, assenza di medici che, mal pagati, devono cercare altrove il modo di guadagnare di più. Anche i mujaheddin vengono a farsi curare all'ospedale della Croce Rossa. Entrano in città alla chetichella e spesso arrivano all'ospedale in brutte condizioni. La resistenza manda, in effetti, i casi disperati, quelli che non hanno più nulla da temere da un eventuale arresto. Le autorità stanno al gioco: l'ospedale accoglie tutti i feriti di guerra, da qualunque parte provengano. Gli abitanti di Kabul sentono confusamente che il peggio deve ancora arrivare. I mujaheddin sono dei «liberatori» po tenziali ma fanno anche paura. Tutto dipende da quale parte ci si trova. Dice un grosso commerciante: 'Bisogna essere diplomatici per pensare che il sangue non scorrerà. Il perdono non fa parte della mentalità afghana. Ci sono stati dieci anni di guerra e questo nutrirà cen¬ t'anni di odio: Degli odi? Secondo Amnesty International, il Khad (i servizi segreti) sono responsabili di 35 mila sparizioni a partire dal '79. 'Il perdono, con Gulbuddin Hekmatyar e i suoi fondamentalisti?' dice un autista, persuaso che il capo àeìl'Hezb-iIslami, un movimento di resistenza, ha già fatto la lista di quelli che dovranno essere eliminati. «C'é una sorta di riflesso "Khmer rossi" in alcuni mujaheddin — spiega un sociologo —. Per loro bisogna fare pulizia su larga scala-. Anche se non è sicura, la «battaglia di Kabul» è però considerata altamente pro¬ babile dalla maggior parte degU abitanti della città. Si sa che Abdui Haq, il comandante del Jamiat I Islami — un altro movimento di resistenza — è un uomo responsabile, che ha già previsto di proteggere gli edifici pubblici e le ambasciate e di impedire i saccheggi, o che almeno cercherà di farlo. Ma gli altri, Khales, Gulbuddin, Rabbani e soprattutto i «piccoli comandanti», di cui alcuni ronzano già intorno a Kabul come intomo a una preda, sebbene questa sia ancora viva? Il potere non ha paura e lo dichiara. Ma perché allora queste retate, che da qualche settimana si accentuano, di tutti i giovani, arruolati di forza nell'esercito, o piuttosto negli eserciti incaricati di difendere il regime? Cinquecentonovanta giovani della provincia di Kabul hanno raggiunto «volontariamente» l'esercito nello spazio di una settimana, titolava con fierezza l'ufficiale Kabul Times del 30 gennaio. Ancora meglio: dall'inizio dell'anno 300 giovani si sono arruolati nella guardia speciale per diventare i «soldati scelti» che difenderanno Kabul. La guardia speciale... Mercoledì 1 febbraio, era stata organizzata una visita per la stampa straniera. La guardia speciale, o ciò che ne resta, non impressiona affatto: soldati laceri, armati alla disperata, che si sforzano di camminare al passo. Questi volontari formano la «punta di lancia» del regime. Laurent Zecchini Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Kabul! Guerriglieri afghani attendono la fine dell'inverno nella loro base nella provincia di Wardak, a pochi chilometri dalla capitale

Persone citate: Gandhi, Gulbuddin, Gulbuddin Hekmatyar, Islami, Laurent Zecchini, Mohammed Hakim, Rabbani