Il commissario Mila

Il commissario Mila LEZIONE POLITICA AI PARTIGIANI Il commissario Mila Nell'ultima intervista data ad Alberto Papuzzi, due mesi prima della morte, Massimo Mila aveva fatto una confessione che ci aveva sorpresi: «Sé debbo dire quale sia stata la mia attività più intensa e di cui vado più fiero, ebbene è quella politica». Ma, a pensarci bene, tutta la sua vita era stata una ininterrotta militanza, se pure senza milizia, un appassionato parteggiare, ma da uomo libero, senza partito. La guerra di liberazione cui aveva partecipato come commissario politico nella zona del Canavese, non l'aveva mai dimenticata, anzi la considerava un evento centrale, irripetibile, della sua vita. Aveva cominciato a parlarne in un articolo. Bilancio delia guerra partigiana in Piemonte, apparso nell'agosto 1945, che fu la prima cronaca di quei fatti. Richiamato alle armi allo scoppio della guerra, «quale umile fante — egli scrive — del Deposito 30° Fanteria, distaccato, diciamo pure imboscato, nell'ufficio amministrazione della giustizia delle terre occupate», quando venne l'otto settembre, e si diffuse per tutta la penisola, come un vento impetuoso, il grido "Tutti a casa», se ne andò coi «ribelli», e di lì «cominciarono quei venti mesi straordinari di fughe e rastrellamenti, di scarpinate su e giù per i monti, di pedalate senza fine nella neve e nel fango, di guadi dell'Orco due volte al giorno coi calzoni rimboccati e la bici da corsa a spalle». «Mesi scomodi — concludeva — ma guai a non averli vissuti!». Del suo attaccamento a quei ricordi ho avuto io stesso una conferma non molti anni fa. L'episodio che racconto è noto a pochissimi o forse è del tutto sconosciuto. Prendendo lo spunto probabilmente da un mio articolo, con un biglietto che reca la data del 20 ottobre 1985, e quindi più di quarantanni dopo il fatto, mi mandò un opuscoletto, stampato alla macchia senza data e naturalmente senza il nome dell'autore, dalle «Edizioni del Comando delle Formazio ni partigiane G e L», intitola to Introduzione alla vita politica (per gli Italiani cresciuti sotto il fascismo). Nel biglietto, dichiarando di esserne l'autore scriveva: «Rovistando in un cassetto mi sono imbattuto in un curioso cimelio: una specie di breviario di democrazia spiegata al popolo, ad uso dei miei partigiani che avevano al riguardo idee un po' strane». Consonanza o reminiscenza, o mera coincidenza, «breviario della democrazia» è intitolato un noto libretto di Riccardo Bauer, per anni suo compagno di carcere. In poche pagine scritte in stile semplice, con una chiarezza cristallina, senza fronzoli retorici, affidandosi non al sentimento ma alla capacità di ragionare dei suoi ascoltatori, il commissario politico svolge esemplarmente la sua funzione di «educatore civile». Spiega che cosa sia la democrazia rappresentativa e come sia da distinguere dalla democrazia diretta, idealmente perfetta ma impraticabile; come alla democrazia siano necessarie la garanzia di alcune libertà, lo svolgimento di libere elezioni a suffragio universale, e il riconoscimento di «tutte le tendenze politiche del Paese,.di tutte le opinioni diverse in merito ai singoli problemi che interessano la vita nazionale». Invita quindi i giovani a respingere gli insulti contro la democrazia-che hanno ascoltato per anni dalla propaganda del regime. Ammette che i governi democratici presentano alcuni inconvenienti, ma «finora non si è trovato di meglio per salvaguardare la libertà politica». * * Insiste in modo particolare sulla separazione dei poteri, , del potere esecutivo dal potere legislativo, del potere giudiziario dal potere esecutivo. Per illustrare la prima forma di separazione, usa questa immagine: «Voi capite che se siamo in sei sopra un'automobile e vogliamo fare un viaggio, non possiamo guidare l'automobile tutti insieme: ci mettiamo d'accordo sull'itinerario del viaggio e poi affidiamo la guida dell'automobile a uno di noi, il quale è il solo a trattare il volante, i freni, i pedali, altrimenti andremmo ben presto a finire in un fosso». Ma se l'autista ci vuol condurre a Genova mentre noi vogliamo andare a Milano, oppure ci accorgiamo che non sa guidare, abbiamo il diritto di cambiarlo. «I viaggiatori dell'automobile sono il popolo rappresentato dal Parlamento, l'autista è il governo ministeriale». Inconsapevolmente, Mila aggiornava la metafora tradizionale del «timoniere» (il gubernator), rappresentando il rapporto tra governanti e governati con l'immagine dell'automobile anziché con quella della nave. Con la differenza che per l'aristocratico Platone, grave sciagura sarebbe stata se la ciurma avesse voluto sostituirsi al capitano. Per illustrare la seconda forma di separazione, spiega che il fascismo aveva istituito il Tribunale speciale per giudicare i reati politici e così sottrarli alla giustizia ordinaria, che li avrebbe giudicati in modo più sereno e imparziale. Alle due forme di separazione ritiene se ne debba aggiungere una terza, quella del potere economico' dal potere politico, argomentando che «in uno Stato nel quale tutte le leve della produzione e dell'economia fossero nelle mani del governo, quest'ultimo verrebbe praticamente a godere dell'onnipotenza più assoluta e dittatoriale, anche in barba alle istituzioni parlamentari e rappresentative». Da convinto militante del Partito d'Azione sostiene infine che il problema della libertà politica non debba andar disgiunto da quello della giustizia sociale, giacché il cammino dell'umanità verso il riconoscimento «di quanto vi è di sacro nella natura umana, al di sopra di ogni accidentale differenza degli individui», cioè verso l'eguaglianza, è inevitabile. «Ogni mestiere — commenta — purché lealmente seguito, porta la sua corona di nobiltà». Meglio uno spazzino che svolga scrupolosamente il suo mestiere, che lo scrittore che usi la penna «per adulare i potenti o per sollecitare i bassi istinti del pubblico». * * Quando lessi l'opuscoletto, mi venne la curiosità di sapere donde avesse tratto la sua ispirazione e le sue informazioni. Mila non aveva studiato diritto. La sua cultura politica se l'era fatta forse in carcere. In quegli anni a scuola s'insegnava non la educazione civica ma la dottrina del fascismo. Uno dei pochi libri di cultura politica che la nostra generazione ebbe fra le mani fu la Storia del liberalismo europeo di De Ruggiero. Eppure il discorso che il commissario politico aveva tenuto ai suoi partigiani era una vera e propria lezione, non una predica. Gli scrissi manifestandogli il mio pieno assenso alle tesi sostenute, e chiedendogli, un po' pedantescamente, quali fossero stati in quelle condizioni, senza libri, sulle rive dell'Orco, i suoi testi e le sue fonti. Mi rispose il 1° novembre: «Tu mi chiedi quali testi e quali fonti avevo. Niente, assolutamente niente. Né avevo mai studiato di proposito quella materia. L'ho scritto come se fosse una poesia, inventandomi tutto di sana pianta. La spinta mi veniva dalle discussioni coi miei partigiani, che in fatto di democrazia»- nutrivano opinioni piuttosto selvagge. Per loro si trattava di vincere la guerra allo scopo di impiantare un fascismo con segno rovesciato». Poi, passando dal tono schietto e rude, che gli era abituale, a quello melanconico, ma non querulo, aggiunse: «Mi rallegro con te che stai bene di salute. Io non posso più dite altrettanto. Tiro ancora avanti. Sopravviviamo come due vecchi stambecchi. A un certo punto, quando se ne saranno andati tutti, sarà naturale spegnere la luce e andarcene anche noi». Norberto Bobbio

Persone citate: Alberto Papuzzi, De Ruggiero, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Platone, Riccardo Bauer

Luoghi citati: Genova, Milano, Piemonte