«Ditemi che sono la vedeva Maléter»

«Ditemi che sono la vedova Maléter» Intervista con la moglie del ministro della Difesa ungherese fucilato nel '56 «Ditemi che sono la vedova Maléter» La scorsa settimana il Consiglio dei ministri ungherese ha deciso che i familiari di Imre Nagy, Pài Maléter, Miklós Gimes, Josef Szilagy e Géza Losonczy, giustiziati in seguito alla rivolta del 1956, possono esumare i resti dei loro congiunti e dare loro una nuova e degna sepoltura. Ma come sono stati trattati questi parenti per oltre 30 anni? Lo racconta la vedova del generale Pài Maléter, che fu ministro della Difesa nel governo Nagy, in questa intervista apparsa il 28 gennaio sul giornale governativo Magyar Hirlap. -Ancora lo scorso anno io non avrei creduto che avremmo ottenuto l'autorizzdzione all'esumazione e alla sepoltura. Certo, sono stata sorpresa quando ho letto la lettera del segretario di Stato Miklós Raft. In risposta alla mia richiesta mi invitava ad avere pazienza: la petizione per un atto di pietà era stata accolta, la mia e anche quel¬ la degli altri, e presto sarebbe stata presa una decisione-. La signora Ghyczy, nata Judit Gyenes, vedova di Pài Maléter, nel corso degli ultimi trent'anni ha chiesto già più volte che suo marito potesse essere sepolto secondo le consuetudini della pietà. -Ho sempre ricevuto dei rifiuti, i miei tentativi sono sempre stati inutili. Per nove anni non sono stata nemmeno sicura che mio marito fosse stato davvero giustiziato. Il 18 giugno 1958 ho sì sentito la notizia, l'ha trasmesso la radio, e i giornali l'hanno pubblicata, ma io non ho ricevuto nessuna comunicazione ufficiale. Anzi, il difensore d'ufficio di mio marito, un giorno dopo l'esecuzione, mi mandò una lettera, in cui diceva che mio marito voleva avere un colloquio con me in carcere. Non ho mai ricevuto l'anello nuziale di mio marito né i suoi oggetti personali, un certificato di morte fino a oggi non mi è stato dato. Sulla mia carta d'identità fino al '67 stava scritto: coniugata, con Pài Maléter. Una volta cinesi inutilmente un prestito alla Cassa di Risparmio, mi mandarono indietro il modulo perché era richiesta anche la firma di mio marito. Nel '67 chiesi un'udienza al comandante della zona dove era stata eseguita la pena capitale, ma non venni ricevuta. Allora comunicai che, se non c'era l'udienza, io avrei chiesto un permesso di colloquio, perché voleva dire che mio marito era vivo. A questo punto il comandante mi ricevette e venni mandata al consiglio del decimo distretto (è lì che Pài Maléter venne giustiziato; dove ricevetti il certificato di morte. Non ricevetti proprio un documento, ma sulla mia carta d'identità venne annotato: vedova-. Quando chiese di poter seppellire suo marito? 'Nel 1983: pensavo che, essendo passato un quarto di secolo, potevo averne diritto. Mi risposero che non c'era nessuna possibilità di rendere riconoscibile la tomba di mio marito. Anche alle mie successive richieste ricevetti brevi risposte dal contenuto simile. Per molto tempo feci i miei tentativi da sola, ma nell'ultimo anno — già come membro della commissione per la riabilitazione storica — ho sottoscritto una petizione collettiva insieme ai parenti di parecchi giustiziati. Ci autorizzava alla speranza il fatto che il primo ministro Kàroly Grosz, nel suo viaggio in America, avesse dichiarato che ai parenti dei giustiziati del '56 non sarebbero state negate le consuetudini della pietà. Recentemente ho appreso che fino al '79 vigeva un regolamento secondo il quale i giustiziati dovevano essere sepolli in tombe anonime. Alcuni mesi fa —■ nello scorso novembre — fu reso noto un decreto del ministro della Giustizia: i giustiziati dove¬ vano essere sepolti in cimiteri pubblici, in tombe con il loro nome; per questo doveva essere fissato un giorno e i parenti dovevano essere informati della sepoltura-. Quali sono i suoi programmi adesso che è in possesso dell'autorizzazione? ■ Quando ho fondato la commissione perla riabilitazione storica, mi sono associata al gruppo che rivendicava i diritti della pietà. Noi, i parenti di Imre Nagy, di mio marito, di Miklós Gimes, Josef Szilagy e Géza Losonczy, abbiamo inoltrato la petizione insieme. Abbiamo chiesto di poter esumare i nostri parenti sepolti in una tomba anonima del campo 301 del cimitero pubblico di via Roma, di poterli identificare e nuovamente seppellire. Per questo abbiamo già ricevuto l'autorizzazione. Noi vorremmo che essi rimanessero insieme: edificheremo una tomba con loro i nomi e faremo un nuovo funerale, pubblico-.

Persone citate: Imre Nagy, Josef Szilagy, Kàroly Grosz, Magyar, Nagy, Pài Maléter

Luoghi citati: America