Il secondo miracolo di Foggia di Francesco La Licata

Viaggio nelle contraddizioni della Puglia, ex «isola felice» del Sud Viaggio nelle contraddizioni della Puglia, ex «isola felice» del Sud il secondo miracolo eli Foggia «In carcere per fredki anni ma non era io l'assassino» La città, rinata dalle macerie della guerra, è brutta e soffocata dal traffico, ma sta diventando a sorpresa il nuovo centro vitale della regione - Accanto allo stabilimento Aeritalia ci sono il conservatorio musicale e l'accademia di belle arti - E adesso è in arrivo anche l'università DAL NOSTRO INVIATO FOGGIA — Forse è colpa dell'autostrada. A chi, arrivando da Sud, sia diretto a Foggia, è già la principale via di comunicazione a imporre una scelta singolare: a questa città si può arrivare sia attraverso l'Adriatica, che congiunge la Puglia all'area del progresso (l'Abruzzo, la Romagna, Bologna, Milano... ) sia percorrendo la «A 2», che porta dritti in Irpinia. O magari, tutto nasce dall'aspetto dei quartieri, irrimediabilmente misero, squarciato da improbabili, moderne piazze monumentali. Certo lasciando Foggia, una delle più brutte città d'Italia, la sensazione netta è quella di aver appena attraversato una realtà in bilico. Questa era la roccaforte degli agrari e la patria di Di Vittorio: la più povera e isolata città di Puglia, la più conservatrice, e assieme la più esposta all'improvviso avvampare di tensioni sociali. La più sfortunata, anche, visto che durante l'ultima guerra i bombardamenti l'avevano distrutta per più di due terzi. Ofegi del vecchio identikit non sopravvive più neanche un tratto: in quella sorta di azzeramento, nel fatto di essersi tramutata di colpo in luogo senza memoria e senza cattedrali, è come se Foggia avesse individuato •chances» che altre città pugliesi stanno ancora cercando. L'impatto con la città non è mai dei più felici. Palazzi anonimi, strade che paiono vicoli , un traffico che avviluppa il centro con interminabili serpenti di lamiera, il continuo lamento dei clacson di «Volvo» da cinquanta milioni che vanno avanti a tre chilometri l'ora. "Questa — vi spiegherà qualsiasi amministratore—è una città ricostruita in fretta, subito dopo la guerra, quando non si poteva andare tanto per il sottile...», I risultati di quella frenetica, disordinata ricostruzione ancora si notano, e resteranno evidenti per anni. Ma se non ci si ferma al traffico e al cronico ritardo di un piano regolatore, se si considerano altre situazioni e altre realtà, la città oltre che brutta e caotica finisce per dimostrarsi vitale, per rivelare dietro i cambiamenti i tratti di un progetto, potenzialità sconosciute al resto della regione. Sarà che l'«azzeramento» di quarant'anni fa ha reso più facile il ripartire, sarà che Foggia m qualche modo resta ancora città monocratica, ma sta di fatto che fra tutte le città pugliesi, e forse meridionali, questa è la sola che almeno in parte mostri di seguire un progetto, un piano. Se Taranto rischia di morire con l'Italsider, se ormai da molti anni Bari tenta di dare senso a uno sviluppo tanto frenetico quanto frammentato, qui la crescita rivela qualcosa di preordinato che si snoderà forse lentamente, eppure con una certa armonia. Da trent 'anni, in Capitana¬ ta, la leadership resta saldamente nelle mani di Vincenzo Russo, democristiano, deputato e più volte ministro, ma anche politico dai tratti molto particolari. Ingegnere di mentalità e formazione, Russo proviene dall'Eni, dove aveva lavorato a lungo a fianco di Mattei, si è occupato di aeronautica, di tecnologie applicate all'agricoltura, perfino di genetica: è sua la legge che in Italia ha dato 11 via alle ricerche in questo campo. Anche sotto questo aspetto il «caso Foggia» esprime caratteristiche singolari. Ricordate, negli Anni Settanta, le polemiche sui «padroni del Sud», sugli uomini che condizionavano intere città, intere province? Alla vigilia dei Novanta, in Puglia, Bari ancora sembra piangere la morte di Aldo Moro, Lecce scopre nell'Improvvisa scomparsa di Salvatore Fitto, presidente della Regione, vittima di un incidente stradale, un serio intralcio a timide prospettive di crescita. Qui invece il leader regge, e nonostante la presenza di un pei molto più radicato che in altre parti della regione, di un'impostazione ingegnerìstica Foggia finisce col risentire in termini positivi. Non è solo questione di industrie ma di raccordo fra imprese e città, non solo di posti di lavoro ma di prospettive. Questa è la sola città pugliese a possedere contemporaneamente un conservatorio musicale e un'accade¬ Dalle Poste centi Siciliano condann Per l'omicidio di una mia di belle arti. Alle porte della città funziona un modernissimo stabilimento Aeritalia. Accanto ai capannoni (in cui si producono parti dell'Atr 42, del Boeing 707, del De. 9 «lungo» della Me Donnel-Douglas e, da qualche tempo, anche pale per lo sfruttamento dell'energia eolica) ecco sorgere un istituto tecnico che si propone di creare nuovi specialisti. Qualche chilometro più in là, la S ofi m sforna motori diesel fra i più moderni d'Europa. Sul Gargano, una vocazione turistica scoperta dall'Eni ha provocato una crescita senza precedenti che oggi è sorretta da piccole imprese familiari e istituti alberghieri. A Manfredonia, gli stabilimenti chimici della Montedison sfruttano il metano estratto dal triangolo Candela-Ascoli Satriano-Deliceto per produrre «carprolattame», col doppio risultato di utilizzare le riserve energetiche del territorio e di sfornare una base essenziale per le fibre sintetiche, che l'Italia In genere importa. Già, Manfredonia: due mesi fa, per qualche settimana questo centro in riva all'Adriatico sembrava aver rilanciato la protesta di piazza: prima cortei per i temuti «tagli» alla produzione, la gente era scesa in piazza centro lo stabilimento. Quasi negli stessi giorni, a Foggia, cortei degli studenti reclamavano l'istituzione della terza università pugliese. E adesso? Tutto finito, al¬ meno in apparenza: a Manfredonia basta coi blocchi e le manifestazioni, a Foggia il «via» alla nuova università, sia pure in termini un po' diversi da quelli che si sognavano, n progetto, anzi il sogno, era quello di far sorgere in Capitanata una specie di cittadella delle scienze, un nucleo di facoltà tecniche che accentuasse le vocazioni alla modernità. Finirà invece con una facoltà di economia e commercio, una di giurisprudenza, una di agraria. Meglio di niente. Dove siamo, allora, poco più a Sud di Benevento o dalle parti di Pescara, a un passo dal «modello adriatico» o ancora troppo vicini alle convulsioni della Campania? Anche a Foggia, una decina d'anni fa una certa «modernità» si affacciò coi tratti di Raffaele Cutolo e Pasquale Barra, meglio definito come «'o animale'. Anche in quest'angolo di Puglia ci si comincia ad accapigliare intorno al ruolo e al potere di «emergenti» (come Pasquale Casino, proprietario di una serie di mulini e cugino di quel Casilio saltato in aria, a Roma, su una «Golf» imbottita di tritolo) o su strane manovre su terreni prima destinati a una superstrada. Ma per ora si tratta solo di segnali. Resta la sorprendente immagine di fondo: non sarà che 1 germi di un nuovo, piccolo «miracolo pugliese» si nascondono proprio dietro i brutti palazzi di questa città dimenticata? LEONFORTE (Enna) — Gli ingredienti per il fumettone ci sarebbero tutti: la miseria, l'emigrazione, il Gran Guignol, il riscatto finale. Solo che questo non è un romanzo, ma una storia vera. I personaggi non sono fantastici, la sofferenza del protagonista è autentica. Anche i due cadaveri, attorno al quale ruota tutta la vicenda, non sono inventati, come i 13 anni trascorsi in carcere da un uomo che si è sempre protestato innocente e che, una volta ottenuta la grazia, sta lottando per ottenere la riapertura del processo. Questa è l'incredibile storia di Gaetano Lo Grasso, 54 anni, originario di Leonforte, estrema propaggine della provincia ennese, condannato al carcere a vita da un tribunale di Darmstadt, in Germania, accusato di aver ucciso il marito della sua amante. L'ex emigrante adesso è libero: ha ottenuto la grazia per l'interessamento di un avvocato che lo ha difeso gratis. Ma è un uomo devastato, più nel morale che nel fisico, dai 13 anni passati nel carcere di Butzbach. E non è, questo, il solo prezzo pagato dal siciliano: in questa storia ci ha rimesso il fratello più giovane, Salvatore, morto suicida nella camera di sicurezza di un commissariato tedesco, forse vinto dal rimorso di non essere riuscito a confessare di essere il vero colpevole del delitto. «Cora mio fratello — ricorda Gaetano Lo Grasso — ci siamo visti l'ultima volta una Giuseppe Zaccaria naia di «chèques» finivano ad una banda che cambiava fi donna, ora è stato graziato - sera di febbraio del 1972. Eravamo slati in una balera di Aschaffenburg, vicino a Francoforte. Poi ci hanno fermati entrambi, ci hanno portati al commissarialo. Da li io sono uscito per andare in carcere, lui è finito al cimitero. Mi hanno detto che si è impiccato con un lenzuolo. Ma prima aveva scritto al muro con le unghie: Gaetano perdonami. Tutto questo, però, come anche il fatto che entrambi eravamo stati amanti di Erika Schiessler, moglie della vittima, non è mai entrato nel processo. Le indagini le avevano fatte a senso unico: volevano un colpevole e lo hanno avuto. Chi meglio di un emigrante, non ricco, ignorante, finanche con difficoltà di lingua, poteva essere il capro espiatorio ideale?'. Gaetano parla, parla; le sue parole sono un fiume. ■ Inchiesta sui boss ROMA — Dodici presunti esponenti di spicco della mafia coinvolti nei più importanti processi in corso in Sicilia sono ricoverati in ospedali pubblici di Palermo da molti mesi e in alcuni casi da oltre un anno. Il ministero della Giustizia e la direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena, d'intesa con l'Alto commissario per la lotta alla mafia, vogliono vederci chiaro per capire se queste «lungodegenze» siano giustificate. E' il motivo che ha indotto il direttore generale delle carceri Nicolò Amato ad incontrarsi a Palermo col prefetto e il questore della città, i funzionari e i magistrati impegnati nella lotta alla criminalità. Nella riunione, alla quale ha partecipato anche Sica, è stato deciso di svolgere accertamenti sulle diagnosi e sui ricoveri per stabilire se il grado di malattia di ogni detenuto richieda effettivamente lunghe permanenze nelle strutture sanitarie pubbliche. rme e beneficiari Forse il colpevole era il fratello, morto suicida -Sono arrivato ad Aschaffenburg nel 1961. Mi hanno portalo in una fabbrica di fiammiferi, poi sono diventato aiuto tipografo. Dieci anni trascorsi in quella cittadina, sema mai una noia con la polizia». Forse il vero «peccato» dei fratelli Lo Grasso sonc siate le donne. Troppe relazioni occasionali e senza amore. Fino al punto di dividere la stessa amante. Sarà proprio lei ad inchiodare Gaetano. ■Ha ucciso mio marito-, dichiarerà correggendo una prima deposizione nella quale diceva di non saper nulla dell'assassino. La tragedia si apre nel 1972. L'aiuto tipografo viene arrestato, 'interrogato senza né interprete né avvocato', incriminato per l'omicidio di Hans Schiessler. -Quando ho sentito i giudici pronunciare la parola ergastolo mi sono in corsia Venne insultat sentito morire. Tutti credevano che sarei stalo assolto, anche il viceconsole italiano a Francoforte diceva che me ne sarei tornato a casa'. La svolta arriva nel 1983. La Comunità evangelica pubblica un libretto con la storia di Gaetano Lo Grasso. Un avvocato, Burkart Grappler, si appassiona alla vicenda ed accetta di appoggiare la causa del siciliano. Non riesce, però, a fare riaprire il processo. Propone all'ergastolano di firmare la domanda di grazia, ma Gaetano non vuole. -Non capivo perché dovevo chiederla. Volevo solo un altro processo, un approfondimento delle indagini. L'avvocalo mi ha convinto, mi ha detto che si poteva ottenere la grazia riservata ai casi dubbi e non quella dei rei confessi. Cosi ho accettato e, dopo 13 anni di galera trascorsi da detenuto modello, sono uscito-. Ora vive a Leonforte ma non ha allentato i rapporti con il suo avvocato tedesco. Gaetano Lo Grasso abita in una stanza umida dove tiene tutto: letto, tavolo, cucina, frigorifero e televisore. Non ha lavoro perché a 54 anni è difficile trovarne. Chiede aiuto, ma solo per poter lottare ancora, per ottenere la riabilitazione. Forse un piccolo regalo dalla vita lo ha avuto. A Leonforte ha ritrovato l'affetto della moglie che non vedeva da 25 anni. Stanno di nuovo insieme e con lei ha potuto rivedere la figlia che gli ha dato un nipotino. Francesco La Licata ata dai colleghi