Ma ai russi notizie in sordina di Emanuele Novazio

Ma ai russi notizie in sordina Ma ai russi notizie in sordina DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — Un dispaccio dell'agenzia Tass, ieri sera, riassumeva le dichiarazioni del portavoce Perfiliev sulla -drammatica situazione creata dall'opposizione- in Afghanistan. Un breve annuncio: «Siamo profondamente spiacenti per la morii di civili nelle zone prossime ai combattimenti. La leadership afghana e il comando sovietico avevano più volte avvisato gli abitarla lucali di lasciare quei luoghi, ina l'opposizione armata ha impedito i loro movimenti'. Quanto alla capitale afghana, aggiungeva la Tass, «è minacciata da un "assedio della fame", perché migliaia di camion carichi di rifornimenti non riescono ad arrivare nella città bloccata dall'opposizione armata-. Poco più di un flash, dunque, che stamane certamente alcuni giornali riprenderanno insieme a un altro drammatico annuncio di Radio Mosca: 'Secondo un portavoce del ministero degli Interni afghano, un convoglio militare sovietico è stato colpito da alcuni missili a pochi chilometri da Kabul-, diceva il notiziario di mezza mattina. La radio non forniva dettagli sull'attacco e non precisava se c'erano stati morti fra i soldati dell'Armata Ros sa, che tutto lascia credere si stessero ritirando verso la strada di Salang e il tunnel alla frontiera con l'Urss. Ma aggiungeva che "il comandante delle truppe sovietiche Gromov aveva avvertilo, alla vigilia dell'imboscata, che azioni del genere avrebbero provocato misure di rappresaglia-. Viste da Mosca, ieri, erano queste le due principali notizie afghane della giornata. E, col loro più che evidente legame, riassumevano i toni e l'atteggiamento della stampa sovietica nei tempi recenti. Da quando il ritiro delle truppe sovietiche è entrato nell'ultima fase, infatti, due sembrano essere le principali tendenze dell'informazione sulla crisi afghana: il dramma di Kabul assediata dalla fame e dal freddo, e l'assistenza offerta dai soldati sovietici alfa popolazione civile: e le imboscate deir«op/;osizione armata-, come sono chiamati ormai i mujaheddin dopo il loro incontro con il vice-ministro degli Esteri Vorontsov. Da alcune settimane, tutto sembra motart attorno a questi due temi, che evocano, l'uno e l'altro, la presenza-minaccia dei mujaheddin. Ma senza enfasi particolare: perché da settimane la stampa sovietica ha scelto il ritegno. La Tass e i principali giornali (ma non tutti insieme, e non tutti i giorni) informano ma tutto viene raccontato in tono piuttosto dimesso, senza la ricaduta dell'informazione data, ridata e amplificata dalla ripetizione stessa. Sono queste, almeno finora, le immagini con cui si accompagna la fine dell'avventura afghana dell'Armata Rossa. Ed è una novità di rilievo rispetto alla prima fase, conclusa l'estate scorsa: allora, la partenza delle truppe era stata seguita con reportage molto ampi, con articoli che sottolineavano soprattutto gli aspetti umani dell'avventura arrivata alla fine; il bene e il male di una guerra che non si è riusciti a vincere, visti attraverso gli occhi di chi ne stava uscendo per sempre. Era prevalso, allora, il registro epico, mentre oggi vale soprattutto l'informazione secca e drammatica. Sembra esserci una sola eccezione, finora, ed è una conferma: la Pravda di mercoledì interrogava un gruppo di soldati sulla strada di Salang, quella di casa dunque. "Abbiamo incontrato decine di soldati che facevano le stesse domande: "Quando ce ne andremo di qui? Che sarà dopo di noi in questa terra coperta del nostro sangue?"-, scriveva il giornale; "Improvvisamente si sono sparse voci che il ritiro sarebbe stato rinviato, che la situazione non permetteva di andarsene entro la data prevista. Molti sono avviliti. Uno di loro osserva, con grande ragionevolezza: "Allora perché sui giornali si dice tanto poco di noi?"-. Emanuele Novazio

Persone citate: Gromov, Vorontsov

Luoghi citati: Afghanistan, Kabul, Mosca, Urss