Per il caso Romano un coro di proteste

Per il caso Romano un coro di proteste Per il caso Romano un coro di proteste Psi, pri e pli chiedono spiegazioni a De Mita e Andreotti sulle dimissioni del nostro ambasciatore a Mosca - Il «Popolo»: un diplomatico non può fare autonomamente la propria politica ROMA — n caso Romano non si chiude con le dimissioni dalla carriera diplomatica dell'ambasciatore italiano a Mosca. Dopo che si è avuta dall'Urss la conferma di Sergio Romano, ieri sono venute altre prese di posizione a sostegno del nostro rappresentante in Unione Sovietica che ha deciso di lasciare l'incarico: comunisti, socialisti, repubblicani e liberali chiedono che si discuta dell'intera vicenda in Parlamento e parlano, come il pli, di un «grave colpo alla credibilità della nostra presenza internazionale-. E sul caso interviene anche /( Popolo: un fondo del direttore Pier Antonio Graziarli sostiene che «c'è qualcosa di confuso nei commenti- alla vicenda e aggiunge che -un conto è rammaricarsi che un diplomatico di valore lasci (ce ne rammarichiamo anche noi), un conto diverso è che si metta al negativo la nostra politica estera verso l'Unione Sovietica e il nuovo corso gorbacioviano-. Già nelle interrogazioni presentate sulla vicenda qualche giorno fa si sollevavano dubbi su un possibile trasferimento di Romano ad altra sede, in base a un comportamento che sarebbe risultato poco gradito da Palazzo Chigi durante la visita di De Mita a Mosca e per i giudizi dell'ambasciatore sul nuovo corso di Gorbaciov. Intanto dagli ambienti della Farnesina è già circolato il nome del successore di Romano nell'importante incarico: si tratterebbe di Ferdinando Salleo, attuale direttore generale degli affari economici agli Esteri. Si conferma così la linea che negli ultimi tempi è prevalsa al ministero nella designazione degli ambasciatori, con la nomina di esperti in economia: un modo per accentuare il ruolo di sostegno delle rap¬ presentanze italiane nei rapporti commerciali all'estero delle nostre industrie. Duro il commento del presidente della commissione Esteri del Senato, il socialista Michele Achilli, che annuncia di voler sollevare la questione in Parlamento. Achilli parla di "cronaca di una morte annunciata» e aggiunge che la vicenda «sembra essere chiusa da incomprensibili omissioni che, tenulo conto di quel che è stato scritto nei giorni scorsi, suona come un vero e proprio licenziamento in tronco-. I deputati comunisti Marri, Marinino e Crippa hanno presentato una interrogazione nella quale chiedono se siano reali i supposti contrasti tra l'ambasciatore e il governo sulla politica da adottare verso l'Urss e chiedono una «iniziativa diplomatica coerente con gli indirizzi che il governo e il Parlamento hanno stabilito-. Interviene anche la Voce repubblicana con un commento nel quale si sostiene che «l'Italia ha perso un ottimo ambasciatore- e si avanza la convinzione che si tratti «comunque di una sconfitta per chi ha la responsabilità di guidare politicamente la nostra democrazia». L'organo del pri ricorda che c'è poi «un episodio altrettanto spiacevole', che riguarda il candidato italiano alla presidenza del comitato militare della Nato, il capo di stato maggiore della difesa, ammiraglio Porta. L'esito è stato deludente e chi paga è l'Italia «che vanta benemerenze di grande potenza industriale e dimostra la coscienza politica di uno staterello secondario-. I liberali, con il loro responsabile esteri, Luca Anselmi, chiamano in causa direttamente il De Mita e Andreotti, che «devono spiegare chiaramente le cause delle dimis¬ sioni e fugare l'impressione che nella nostra politica internazionale vi siano dubbi, incertezze, leggerezze e sovrapposizioni di linee-. Quanto ai democristiani, nel commento sul Popolo Graziarli ricorda che «da Reagan a Mitterrand a Khol, tutti pensano che la perestrojka possa rappresentare qualcosa di nuovo-. Sul problema AeM.'«autonomìa del diplomatico e del suo rapporto con la politica estera del governo-, il direttore del quotidiano de aggiunge che •il diplomatico deve riferire in coscienza e quindi contribuire anche a correggere le posizioni del governo nazionale. Ma, anche qui, niente di più e niente di meno. Altrinienti avremmo ambasciatori che possono fare liberalmente, in nome dell'autonomia professionale, una propria politica. Una sorta di '68 in ritardo, stavolta per i diplomatici-. (Agi-Ansa)

Luoghi citati: Italia, Mosca, Roma, Unione Sovietica, Urss