Solo chi ha sofferto cura il dolore di Federico VercelloneAldo Carotenuto

Solo chi ha sofferto cura il dolore I rapporti tra paziente e analista, in un saggio di Carotenuto Solo chi ha sofferto cura il dolore RISALIRE il crinale della memoria è una delle fascinazioni più significative della cultura del Novecento. L'identità che si sente perduta o minacciata viene ricostruita in forme differenti: attraverso il romanzo come ci mostrano alcuni fra i massimi capolavori del secolo, ma anche con una nuova disciplina scientifica come la psicoanalisi. In questo caso riassestare le sparse tessere del passato diviene un compito esplicito. Considerata da questo punto di vista l'analisi non esibisce soltanto la sua affinità con la cultura contemporanea, ma anche le sue ascendenze più remote. Si prospetta un influsso filosofico; bisogna rifarci al concetto platonico di anamnesi, secondo il quale l'identità individuale è affidata a un passato le cui origini risalgono al di là della vita cosciente, e dello stesso stare al mondo di un individuo. Nel caso dell'ultimo libro dello psicoanalista junghiano Aldo Carotenuto, La nostalgia della memoria, edito da Bompiani, una constatazione di questo genere non costituisce semplicemente un generico riconoscimento; segnala piuttosto il riemergere di un'eredità profonda e circostanziata. Carotenuto sembra cioè presentare l'itinerario nel profondo che si compie attraverso l'analisi coinè una forma di anamnesi; è una ricognizione nel passato di un'anima che viene restituita alla sua individualità e unicità. E' un percorso rischioso che pone dinnanzi all'abisso del dolore; ma è anche un cammino che schiude la possibilità della libertà. L'anamnesi platonica si pone dunque al servizio di un itinerario volto all'emancipazione; diviene una parola d'ordina illuministica. L'anima antica entra, grazie all'analisi, nel percorso della modernità. E lo fa tramite il sentimento, quella facoltà della psiche che meno può essere ricondotta a categorie o interpretazioni di natura generalizzatri.ee. I blocchi che il lavoro analitico intende superare hanno a che fare con la vita emotiva; la relazione tra analista e paziente si configura come un legame in cui è in gioco un intendimento profondo, dove si mettono in questione entrambi gli interlocutori. Si tratta dì una relazione che si fonda su di una sorta di segreta affinità. Non si può essere psicoanalisti senza conoscere in prima persona la sofferenza psichica; il disagio mentale diviene oggetto di interesse scientifico solo in quanto e perché lo sì è provato. Il terapeuta è anzi, per eccellenza, una figura che reca in sé e continua a produrre la propria incrinatura, quell'intimo squilibrio che lo ha orientato a questa professione. L'interesse nei confronti del dolore è alla rase del suo operato, e fa sì che egli non possa mai arrestarsi a codificazioni definitive della sua disciplina. E' anche il rischio insito in questa anomala forma di terapia: non si può essere psicoanalisti senza trascendere i limiti disciplinari nella situazione sempre diversa dettata dalla relazione con il paziente. E' così ineluttabile che lo scienziato rischi di divenire un mago, il professionista un ciarlatano, in breve che quanto il rapporto interpersonale propone esorbiti l'ambito del sapere scientifico assodato. Ambigua, anfibia, la figura dello psicanalista sembra così rimandare una seconda volta all'idea dell'anamnesi. Non solo egli cura ricostituendo la memoria, ma esperisce e mette in evidenza quella zona incerta.non codificabile che sta alle spalle dì ogni sapere scientifico, e che questo per lo più rimuove per ergersi nella sua autonomia. Federico Vercellone Aldo Carotenuto, «La nostalgia della memoria. Il paziente e l'analista», Bompiani, Vii-xv. 342 pagine, 25.000 lire.

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