Viaggio - allegorìa nei Caraibi dai conquistadores a Guevara di Claudio Gorlier

Viaggio - allegoria nei Caraibi dai conquistadores a Guevara Viaggio - allegoria nei Caraibi dai conquistadores a Guevara UNA grande imbarcazione risale il fiume maestoso in Guyana, tra le foreste densissime, in un viaggio senza tempo. L'equipaggio è composto da uomini di matrici razziali assai diverse: inglesi (il comandante, Donne, oltre a rammentare nel suo nome il poeta metafisico rimanda a un'eco tipicamente elisabettiana), portoghesi, africani, amerindi. Il viaggio, che dovrebbe portare a un'esplorazione dell'interno e delle sue popolazioni, segue un itinerario tragico, in quanto quasi tutti i membri dell'equipaggio muoiono. Quando Donne e i pochi superstiti raggiungono la missione di Mariella, abbandonata dagli amerindi che la occupavano, si trovano di fronte a una visione trasfiguratrice di Cristo, di Maria e poi dello stesso Cristo infante, precipitando subito dopo da un'alta scogliera in una turbinosa cateratta. Esposto così, Palazzo del pavone, il romanzo del guyanese Wilson Harris, nato nel 1921 ed egli stesso di ascendenza amerindia e africana, può apparire schematico e gremito di reminiscenze letterarie, talora esplicite. Si va dai Metafisici del Seicento al Coleridge della Ballala del vecchio marinaio, allo Hopkins del Naufragio del Deutschland, a Melville, a Conrad, senza contare il cubano Alejo Carpentier e la sua rappresentazione del paesaggio ancestrale del Sud America. Ma il romanzo di Harris, certo uno degli scrittori di lingua inglese più originali e complessi, presenta in effetti un reticolo sottile di simboli e di referenti suggestivi. Per intanto, veniamo a scoprire che tutti i membri dell'equipaggi*, sono già morti al momento della partenza, corposi fantasmi chiamati a rivivere le proprie esperienze e a patire una seconda morte necessaria per il loro riscatto e dunque per un'altra rinascita, possibile soltanto quando avranno compreso il loro ruoto e conquistato una nuova identità, un nuovo io di cui la imbarcazione abbandonata costituisce ormai un guscio vuoto. La compresenza di Donne, erede dei colonizzatori spietati e violentatori, e dei discendenti dei popoli colonizzati e sterminati innesca una sorta di riassunzione della storia, di espiazione e di riscoperta. In Donne si incarna la necessità della rinascita in grado di redimerlo, negli amerindi e negli africani una ricerca delle radici, mentre in tutti si rispecchia l'unità degli uomini tesi ad acquisire un nuovo tipo di coscienza e di conoscenza, nel segno di una nuova società. Un critico ha osservato, con un paradosso non troppo audace, che nel romanzo di Harris si emblematizza la storia dei Caraibi, dai tempi dell'Eldorado e dei conquistatori a Che Guevara. La bellezza indicibile della visione finale coincide con la totalità di una nuova conoscenza di sé e del mondo, possibile soltanto attraverso la morte e la rinascita. Scrittore prolifico ma di singolare spessore, critico sottile, Harris ha chiarito egli stesso in un suo saggio il senso della peculiarità della narrativa caraibica e in particolare guyanese. Certo, taluni modelli sono europei, dalla letteratura inglese alle figurazioni alchemiche filtrate attraverso,Jung; il viaggio dura sette giorni, come nel Genesi, e Harris attinge largamente alla tradizione cabalistica, non meno che alla favolistica africana. Pure, egli ha sottolineato che scompare qui il canone del romanzo di costume, legato alle strutture sociali, ai caratteri, all'ambiente, per lasciare il posto a una dimensione rituale, epica, quasi paradigmatica, fortemente esemplare. E' vero di Palazzo del pavone non meno di The Secret Ladder {La scala segreta) o dell'ultimo, ammirevole The Infinite Rehearsal (La prova infinita). Chi cerca il «tipico», l'esotico, lo specifico locale in Palazzo del pavone non lo troverà. E attenzione: si tratta di un libro arduo anche se non impervio, che sollecita dal lettore uno sforzo costante di decifrazione o magari di complicità, con il suo doppio registro narrativo ingegnosamente articolato, la sua inquietante specularità, onde l'equipaggio trova della tribù amerindia soltanto una vecchia, erede di generazioni di donne violentate quanto la terra, ma pronta a rifarsi sulla ciurma fantasma, in un rapporto perverso tra persecutore e vittima. Il commercio con l'archetipo e con il mito censente a Harris di rimettere in gioco i fondamenti stessi del discorso romanzesco inscenando un rito di passaggio insieme inquietante e liberatorio. Con lui, lo scrittore riacquista le sue prerogative di sciamano e di giocatore. Claudio Gorlier

Luoghi citati: Sud America