Celati: riscrivo il Po camminando di Nico Orengo

Celati: riscrivo il Po camminando L'autore ci parla dei suoi nuovi racconti Celati: riscrivo il Po camminando PER anni Gianni Celati ha attraversato le terre della valle padana, come un camminatore del '700. Con zainetto, bussola e carte, si è infilato fra campi di granoturco e paesi dai nomi antichi: Fornovo, Capalbio, Orbetello, San Daniele Po, Viadana, Guastalla. Giù verso la foce del grande fiume, verso Po di Gnocca e Po di Goro, dove l'acqua dolce incontra il mare. E' dall'83 che l'autore di 'Comiche» e di "Narratori delle pianure» ha «trasferito» il suo tavolo in aperta campagna. Sono stati i fotografi del «Nuovo paesaggio italiano» a trascinarlo con taccuini e stilografiche, per la «realtà»: Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mario Cresci, Vincenzo Castella, Olivo Barbieri, Giovanni Chiaramente, Mimmo Jodice, Gianni Leone. Da questa esperienza sono nati gli scritti di 'Sarratori delle pianure», 'Quattro novelle sulle apparenze» e oggi, sempre da Feltrinelli, "Verso la foce» (pp. 140. L. 16.000), quattro diari di viaggio che Celati definisce come «racconti d'os¬ servazione». E hanno come «teatro» la campagna cremonese nei giorni dello scoppio nucleare di Cernobil, gli argini del Po e i suoi abitanti, le zone della bonifica ferrarese, le intricate foci del Po. Oggi Celati se ne sta in Normandia, proprio sui luoghi di Bouvard e Pécuchet, in uno sperduto villaggio di otto case, tiene un corso all'Università di Caen, continua la sua pratica di camminatore sotto il bizzoso cielo del Nord e i meleti del Calvados. Perché Celati ha abbandonato le «forme del romanzo», la trama, i personaggi e si è buttato in una sorta di «scrittura in presa diretta»? Risponde che voleva -usare la scrittura a scopo applicativo. Una scrittura usata a piccoli tocchi che permettono di sentire lo spazio. Uno scrivere più ricino all'acquarello che alla fotografia». A che scopo? "Una ricerca sull 'ambiente — dice Celati —, ma ho imparato dai miei amici fotografi, non per trovare spiegazioni o generalizzazioni. Piuttosto per descrivere momenti, per acL.nyermi che lutto è interessante: i luoghi, le ore, le forme di vita». Celati vuol dirci che per scrivere è necessario .':?rmninare? "E' un modo di esporsi — risponde lo scrittore —. A casa si lavora con opinioni, generalizzazioni, preconcetti. Io sentivo la necessità che la mia scrittura fosse esposta a ciò che stava accadendo. Alle spalle, durante quelle attraversate, avevo uno sguardo della tradizione italiana: Rossellini. Antonioni, Visconti, Fellini. Di alcuni di loro stavo attraversando gli stessi luoghi. Wenders viene al seguito di questa nostra tradizione. Rossellini, Antonioni, Visconti ci hanno insegnato che il paesaggio non è un 'telone", un fondale, ma apparizione del tempo, dove affiora il nostro destino. Ciò che mi interessa è il punto di vista dell'osservatore. Ho letto un bel libro di La Cecia, "Perdersi", e un libre apparso dal Mulino con saggi di Etnometodologia. Bisogna sottrarsi alla "veduta dall'alto" che offre solo unità statistiche e non forme di vita». Così, lungo il Po, fiume ed emblema, Celati ascolta i commenti sulla nuvola inquietante di Cernobyl, le confessioni dei guardiani di vacche: "Un uomo accanto al recinto mi ha detto che la tristezza di quelle vacche è contagiosa, lui certe sere torna a casa depresso senza sapere perché-. Osserva le «villette geometria» sparse, con i loro nanetti disneyani, per la campagna, cerca i segni del passato lontano e quelli del presente più estraneo. Narra "l'attraversamento d'una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni». Viaggi a millimetri dentro un angosciante inquinamento. "Non possiamo assolverci — aggiunge Celati — dalla disastrosa situazione del paesaggio. Il linguaggio fa parte dell'ecosfera, né più, né meno delle piante. L'inquinamento passa attraverso le parole. L'attualità è scatenante come l'atomo. Sfrutti e non fai riserve. Viviamo in un mondo dove si vuol spiegare tutto e si finisce per generalizzare. Vedere il momento, stare nel momento: è fare riserva». Celati, con il suo zainetto e la sua bussola, ha provato a rintracciare antichi ritmi del vivere, silenzi tonificanti, parole non deturpate dalla sciatteria e dall'abuso. Qualche volta ci è riuscito, molto spesso no. "Ci hanno mescolato le anime e ormai abbiamo tutti gli stessi pensieri. Noi aspettiamo, ma niente ci aspetta, né un astronave né un destino.», era la conclusione amara di un viaggio dell'83. E' cambiato qualcosa, oggi? Celati dice: «Ho continuato a scendere sul Po, fino all'86. E a scrivere: le storie sono dovunque, se c'è amore. Non ho sentito la mancanza di trame. Come accade per i romanzi di Dostoievskij, ciò che è importante è il flusso, quali siano le trame non sai. Ma ciò che ho continuato a sentire non è cambiato. E' quel vuoto centrale dell'anima. La tragedia di non sentire un destino. Questa è l'unica capacità che abbiamo di intendere il tragico...». Nico Orengo Fotografia tratta dal volume Pelta d»i Po» ed. C.T.G.

Luoghi citati: Calvados, Capalbio, Goro, Normandia, Orbetello, San Daniele Po