Salvador Dalì e il cinema

Salvador Dalì e il cinema Riflessioni sull'importanza del suo contributo Salvador Dalì e il cinema Da Bunuel a Walt Disney, all'Hitchcock di «Io ti salverò» A volte l'opera dell'artista nasce da un sogno. Se gli artisti sono due, è improbabile che facciano entrambi il medésimo sogno. E' però possibile che mettano irrazionalmente d'accordo i loro sogni e firmino a quattro mani un capolavoro. E' capitato a Luis Bunuel e a Salvador Dali attorno al '28-29 quando Un chien andalou non era neppure immaginabile nella sua mescolanza di lirismo .e.;di atrocità.. Bunuel aveva visto nel sonno una nube affilata che tagliava la Luna e una lama di rasoio che stroncava un occhio; Dali aveva colto nel sonno l'orrore d'una mano brulicante di formiche. Nel momento dell'addio al grande pittore e funambolo dell'esagerazione, non sarebbe male che un cineclub o addirittura una televisione si soffermassero sull'importanza del suo contributo al cinema. Anche perché, abituati a ragionare in termini esclusivi di regìa, ci sembrerebbe proficuo conferire importanza a chi non ha mai diretto un film e sì batteva per il cinema antiartistico. Da giovanissimo Dali aveva scritto che i precursori dell'irrazionale, suo profondo credo di artista, erano Mack Sennett, Harry Langdon e Buster Keaton. Preferenze diverse e sconcertanti: Mack Sennett con i suoi poliziotti baffuti e le sue bellezze al bagno aveva inventato la comica pervasa da un dinamismo "terrificante e Harry Langdon guardava al mondo con una fisionomia tonda e lunare, mentre Buster Keaton a chi gli domandava perché non ridesse mai, ribaltava la questione: 'Perché, c'è da ridere?». Non era chiara una simile antologia al giovane frequentatore del muto. Ma di sicuro indicava una presa di posizione in favore dell'America, cioè del Paese dove il cinema veniva inventato giorno per giorno senza una reale dipendenza dalla letteratura e dal teatro come spesso si faceva in Europa Di conseguenza s'intende meglio la successiva ripulsa al grandioso e al sublime, sintetizzata nella preferenza per il cinema antiartistico. Per giunta sia Bunuel sia Dali erano inconsciamente surrealisti senza conoscere per motivi di età le caratteri¬ stiche del movimento. Forse la scrittura automatica e l'invettiva libertaria germinavano spontaneamente nei due artisti spagnoB-attravérso' il raccontò dei sogni e l'esplorazione dei miti. In Ufi chien andalou, dove non esistono cani tanto meno andalusi, si lascia cadere ogni ricatto morale o estetico. I collegamenti tra sequenza e sequenza non sì identificano, perché suggeriti dall'inconscio. In 25 minuti un uomo e una donna si trovano e si perdono più volte. Forse questo significa l'altalena della passione, forse l'attacco alla pienezza di fatti del melodramma. In ogni modo dell'indimenticabile bianconero fotografato da Albert Duverger rimangono le immagini plastiche, che Bunuel strappava alla tecnica della cinepresa e Dali strappava dall'abisso dell'anima. La sequenza più forte (a parte l'inizio con il taglio dell'occhio per opera di Bunuel in persona) riguarda due asini e due preti — uno dovrebbe essere lo stesso Dali — legati a un pianoforte trascinato da un giovane.. La polemica irreligiosa tornava nel" successivo L'àge d'or che Bunuel girò praticamente da solo, con Dali mero collaboratore alla sceneggiatura e tutto preso a soffrire delle beffe al cattolicesimo. Probabilmente il diretto riferimento alle teorie di Freud non piaceva al pittore che optava per un'irrazionalità innocente e totale. Dicono poi che la scena della gelosia con un uomo che getta per rabbia dalla finestra un pino, un aratro, un vescovo e una giraffa gli suonasse infantile. In ogni modo L'àge d'or, film maledetto e iettatorio, costò a Dali la perdita di alcune tele distrutte dai contestatori all'anteprima parigina del '30. Si concludeva con amarezza la prima fase dell'attenzione cinematografica, con soggetti mai realizzati per i fratelli Marx e per Walt Disney. Una quindicina d'anni più tardi il pittore america¬ nizzato e chiamato con l'anagramma sprezzante di Avida Dollars, collaborò alla scenografia di Io ti salverò di Hiteheock con Gregory Peck e Ingrid Bergman. Non si trattava certo di un'opera di rottura ma Hiteheock suggerì a Dali gli elementi più atti a riprodurre con incubi ellittici e smaglianti bianconeri un sogno che avesse il nitore della realtà. Per una volta Dali si senri nuovamente'vicino alla poetica dell'inconscio e non importa che i tratti richiamino il bianco-nero della Gestalt d'una ventina d'anni addietro. Sono accenni semplici e tuttavia definitivi per l'immaginario collettivo della nostra generazione. Quando Mei Brooks li mostrò per parodia in Alta tensione, ne sottolineò il torbido effetto di vertigine o magari di ubriacatura conferendo con uno sghignazzo la dignità di classico a un lavoro su commissione. Poco o nulla aggiunsero successive collaborazioni con Vincente Minnelli o con José Montès-Bacquier. Anni fa durante una mostra al Palazzo dei Diamanti in Ferrara si parlava di un progetto inedito su Don Chisciotte. Ma Salvador Dali era già malato e ridotto in una condizione umiliante dai suoi interessati samaritani. Piero Perona

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