Quella svolta del '79

Quella svolta del '79 L'omicidio Alessandrini segnò l'isolamento delle Br Quella svolta del '79 Il 29 gennaio di dieci anni fa moriva, a Milano, il giudice Emilio Alessandrini, vittima dell'agguato tesogli da un commando di «Prima Linea». Pochi giorni prima, a Genova, le «Brigate rosse» avevano ucciso l'operaio Guido Rossa. La parabola della violenza terroristica — innescata nel lontano 1969 — continuava a salire. Con andamento apparentemente irreversibile. Il terrorismo «maggiore» (organizzato secondo modelli cospirativi, clandestini) ed il terrorismo «diffuso», aperto anche a forme di attivismo semispontaneo, si erano divisi — talora contendendoseli — gli obiettivi da colpire. Dall'intreccio fra i due terrorismi era scaturito un repertorio di azioni eversive di incredibile intensità ed ampiezza. Fra episodi di violenza, attentati non rivendicati e attentati rivendicati, nel 1979 si era registrato un totale di 2139 azioni illegali (contro le 1805 del 1977 e le 2725 del 1978). Le sigle si moltiplicavano, si accavallavano e si rincorrevano: fino a raggiungere ■r- sempre nel 1979 —; il massimo storico di 269 gruppi, dei quali 217 con denominazione riferibile alla si-, nistra e 52 alla destra. - Di fronte all'imponenza e drammaticità di queste cifre crudeli (tratte da uno studio dell'Istituto Cattaneo di Bologna); di fronte alla tragica gravità del quadro d'insieme che ne risulta, può persino sembrare discutibile una scelta che porti ad isolare dagli altri un fatto specifico, sia pure per commentarlo in occasione di una speciale ricorrenza. Tuttavia, pur nell'identico, commosso rispetto che accomuna la rievocazione di ogni vittima del terrorismo, l'omicidio di Alessandrini (e l'omicidio Rossa) consentono alcune riflessioni in più. Perché l'uno e l'altro rivelarono con assoluta evidenza il corto circuito in cui il «partito armato» (proprio mentre sembrava all'apice della sua potenzialità offensiva) era entrato. Nel senso che stava perdendo Ogni residua capacità di rimanere agganciato a qualche frangia o istanza del Paese reale, per avvitarsi invece — e sempre di più — su se stesso: secondo «logiche» interne di mera sopravvivenza, indirizzate verso la rappresaglia (Rossa) o verso il nemico considerato particolarmente pericoloso (Alessandrini). Logiche che ormai nulla più avevano di «politico», dopo che la fermezza dimostrata dallo Stato nel caso Moro aveva fatto saltare le strategie politiche — appunto — dei terroristi. Rileggere,- a dieci anni di diStanza, i volantini di rivendicazione dell'omicidio Alessandrini, significa toccare con mano di quali tragiche simulazioni della realtà, di quali aberranti astrazioni fossero intessuti gli schemi di violenza e di morte che i terroristi elaboravano per darvi poi criminale attuazione. Da «Prima linea» Emilio Alessandrini era «accusato» di aver contribuito a rendere efficiente la Procura di Milano; di aver teorizzato la necessità di lavorare in pool per meglio affrontare il fenomeno del terrorismo; di aver collaborato coi nuclei speciali dei Carabinieri; di aver tentato di ridare credibilità democratica e progressista allo Stato; di aver indagato su piazza Fontana; di essersi occupato di reati finanziari. Se non fossero alla base della scelta vile di uccidere un uomo indifeso, questi «addebiti» potrebbero — per la loro inconsistenza — persino prestarsi a considerazioni ironiche sull'intelligenza dei terroristi di matrice «rossa». Nel suo.furore omicida, P. L. considera «inutile» il lavoro di Alessandrini su Piazza Fontana, perché la verità i proletari .l'avrebbero conosciuta già da un pezzo (mentre tutti sanno che è proprio grazie ad Alessandrini che fu possibile'gettare un primo squarcio di lucè sui misteri dello stragismo). L'attività di re pressione dei reati finanziari, poi, sarebbe stata «strumenta' le», in quanto destinata a con' trapporsi — legittimandole — all'inquisizione e condanna dei sedicenti rivoluzionari (troppo occupati a programmare palingenesi, evidentemente, per intuire l'esistenza di una criminalità degli affari e della mafia). Semmai questo elenco di «addebiti» costituisce elogio significativo (ancorché tragicamente perverso) delle eccezionali qualità di un uomo coraggioso: ucciso appunto per il suo spirito di servizio e valore professionale. Prova ne fu che la gente seppe immediatamente cogliere il carattere efferato, di criminalità barbara (altro che politica!) dell'omicidio Alessandrini (come dell'omi¬ cidio Rossa). Di conseguenza seppe capire — forse per la prima volta davvero — la «realtà» del terrorismo. E cominciò a muoversi, in forme finalmente massicce e concrete, realizzando una progressiva mobilitazione contro il terrorismo che diede avvio al suo isolamento e alla sua sconfitta. «Le reazioni suscitate dall'omicidio Alessandrini (confesserà poi un capo di P. L. nel corso di un interrogatorio) ci avevano letteralmente travolti, nel senso che eravamo rimasti sommersi dall'ampiezza della risposta data dal Paese e da varie istituzioni, senza che noi fossimo in grado di gestirla». Ecco: dieci anni dopo, il dolore e la rabbia per la scomparsa di Alessandrini sono ancora — in noi — penosi e forti. Tutti avvertono che il Paese ha perso un magistrato straordinariamente intelligente e capace. Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo come collega, sa in più di aver perso un amico prezioso. Resta la convinzione che il sacrificio di Emilio Alessandrini contribuì in misura decisiva a scavare il vuoto intorno ai terroristi. Anche se queste riflessioni svaniscono quando siano proiettate sulla crudezza della vicenda umana di Alessandrini. E certo non bastano per consolare i familiari. Rimasti soli nella loro responsabile fierezza. Gian Carlo Caselli Il giudice Alessandrini

Luoghi citati: Bologna, Genova, Milano