La giustiziera di mariti scomodi di Liliana Madeo

La giustiziera di mariti scomodi UN'INDAGINE SUL POTERE SCARDINA MITI FEMMINISTI La giustiziera di mariti scomodi Un gruppo di storiche affronta in un libro ragnatele di complicità femminili - La Signora dell'Oro nel 700 domina un paese siciliano Giovanna la maga in due anni aiuta sette mogli a liberarsi degù' sposi - Non è vero che le donne siano sempre state vittime e mai carnefici; che la benefattrice è una figura negativa; che la maternità nell'800 fu solo strumentale • E cadono molti altri luoghi comuni Donna Caterina Principato e Castra/novo era un'aristocratica siciliana, analfabeta e ricchissima. La chiamavano la Signora dell'Oro. Viveva a Capizzi, un paese di tremila abitanti arroccato sui monti Nebrodi, nella seconda metà del Settecento. H primo mariti; era stato uno zio, fratello del padre, che le aveva lasciato una bella eredità. Così aveva fatto, morendo, anche un altro zio. A questo punto Donna Caterina, orfana e vedova, senza più maschi nella famiglia, si mise ad amministrare se stessa. E a usare il suo potere. Si prese un altro marito, che apparteneva alla classe emergente fino ad allora aspramente nemica della sua, e con questa mossa riportò la pace nel paese. Investì denaro e talento per dar vita a una grande istituzione benefica e assistenziale aperta alle figlie della nobiltà come alle ragazze povere, e in tal modo costruì una sapiente rete di relazioni e gerarchie, di connessioni fra religiosi e laici, munificenza e gratitudine, contatti fra le bambine aristocratiche e le bambine diseredate che un giorno sarebbero diventate le loro ser¬ ve: una rete che significava prestigio per sé e la famiglia di cui era diventata parte, e controllo sulla vita della comunità. Ancora il Settecento, ancora la Sicilia. Siamo a Palermo, nel quartiere Zisa. Sulla scena questa volta ci sono vecchie mendicanti, usuraie, ruffiane, donne in odore di stregoneria, tresche adulterine all'ombra di madri compiacenti e mariti distratti dalla fatica, giovani spose vogliose di stare meglio facendo ur. altro matrimonio e liberandosi del peso della famiglia. Uno scenario di donne, un intreccio di complicità femminili. Al centro, Giovanna Bonanno, metà megera e metà maga. Scopre che il liquido per i pidocchi, venduto dall'aromatario, fa morire, e pensa di servirsene per campare. Il suo «arcano liquore aceto» prima lo prova su un cane. Poi lo reclamizza, tramite il circuito di confidenze e di donne del vicinato che si fidano le une delle altre. In due anni aiuta sette mogli a fare fuori i mariti. Non ha clienti ricche né generose: una volta tutto quello che guadagna è un vestito smesso e una posata d'argento, un'altra volta — in cambio del suo liquore—ottiene una borchia d'argento che la moglie infedele ha preso dalla scarpa del suo amante... Ma riesce a sfamarsi. Finché un'altra donna, cui è staio avvelenato il figlio, scopre tutto e si confida con U confessore. Interviene il commissario e «il sordo macello dei mariti» finisce con la condanna delle colpevoli. Donna Caterina e Giovanna si stagliano nette fra i tanti personaggi femminili che s'incontrano in una raccolta di saggi — Ragnatele di rapporti - Patronage e reti di relazioni nella storia delle donne (a cura di Lucia Ferrante, Maura Palazzi, Gianna Pomata), ed. Rosenberg & Sellier — scritti da un gruppo di storiche che da anni prestano «ascolto alle donne del passato». Questa volta le studiose hanno affrontato un tema difficile e vischioso, che solo adesso si incomincia a esplorare: il tema del potere, anche quello esercitato dalle donne e sulle altre donne. Per potersi addentrare nelle «ragnatele di rapporti e di simboli che le donne hanno tessuto per esprimere il loro senso del sé e del proprio mondo di relazioni», le autrici hanno fatto piazza pulita di stereotipi e luoghi comuni che pure sono stati tanto cari all'ideologia femminista. Non è vero ad esempio — si sono trovate d'accordo nel riconoscerlo — che le donne sono sempre state vittime e mai carnefici, che la benefattrice è solo una figura negativa e funzionale al sistema, che il riconoscimento dato alla maternità nell'Ottocento è stato strumentale, un modo per trattenere le donne dentro la famiglia. E, ancora ci sono stati eccessi quando le femministe hanno mitizzato la sorellanza, idealizzando esperienze collettive femminili. Anche l'idea che il mondo delle donne sia mai stato un'inattaccabile isola felice, dev'essere rivista. Le storiche sono severe e puntigliose nel loro lavoro. Dicono: l'ottica stessa per interpretare i dati della ricerca va cambiata. Finora, per definire i rapporti di potere nella storia delle donne, si è fatto riferimento al rapporto fra dominanti e dominati, oppressori e oppressi, mettendo tutti i vantaggi da una parte e gli svantaggi dall'altra. Quella lente — secondo cui la donna è oggetto passivo di dominio — è «leggermente deformante», troppo rigida per permettere dì cogliere la miriade di sfumature e contraddizioni che attraversano le relazioni umane, e persino quelle fra il divino e il terreno. Proviamo invece—èia loro proposta — a ragionare facendo riferimento alla categoria del patronage, il rapporto fra patrono e cliente, che è sempre rapporto fra diseguali (uno è potente e l'altro no, uno protegge e l'altro chiede sostegno, uno comanda e l'altro esegue), ma che si regge sullo scambio (il cliente, in cambio della protezione e tutela, offre servigi, fedeltà, lealtà, anche affetto, in alcuni casi devozione, sostegno al prestigio e al potere del patrono). Inquadrata in questa luce, la ragnatela dei rapporta rivela ombre e ambiguità, interrogativi e silenzi che attendono ancora risposta. Si presenta anche come un campo di ricerca nuovo, amplissimo. Registri parrocchiali, stati delle anime, statuti di pii istituii e congregazioni, lettere e diari —frugati con infinita pazienza—si sono messi a raccontare secoli d'iniziative, successi, sofferenze, ■ competizioni fem- minili su cui nessuno ancora si era soffermato. Siamo a una prima ricognizione di quella storia delle donne che ancora non è stata scritta e che appena adesso si incomincia a percorrere. Ma già incalza una folla di personaggi e di situazioni, sottratti a una lunga dimenticanza. Ecco allora sfilare nel volume il «vivere a compagnia» e «vivere a dozzina» nella Bologna del Settecento, con le donne sole (per vedovanza, disavventure matrimoniali, problemi di salute e di lavoro) che si mettono in coabitazione costruendo non una famiglia ma una strategia per la sopravvivenza; e i nati illegittimi della Roma ottocentesca, con le serve immigrate, il circuito protettivo del vicinato, le famiglie che tutelano l'onorabilità della donna dandole — in cambio del lavoro — vitto e alloggio soltanto; le grandi benefattrici del primo Novecento che utopisticamente vogliono coniugare filantropia con politica, assistenza con emancipazione; la razionalizzazione dei servizi assistenziali del primo Ottocento nella Napoli borbonica, con la cacciata dagli istituti delle sorveglianti laiche; le bambine cui si insegna a leggere ma non a scrivere; le giovani che vengono preparate ai lavori donneschi per fare le serve o le mogli e che magari con qualche imbroglio riescono a tornare nell'istituto... Ecco poi, su un altro straordinario versante, il racconto di sante e «sante vive», religiosità istituzionale e trasgressione popolare, misticismo e superstizione, la «falsa santa» friulana Marta Fiascaris che l'Inquisizione condanna a metà del '600 e la santità riconosciuta di Caterina de' Ricci nella Toscana, del '500* mistiche .e profetesse di corte, patrone e clienti di principi, recluse Capaci di prevedere le calamità e anche di intercedere presso Dio perché le allontani dalla città cui sono legate, le sante che in famiglia — con mariti violenti e figli cattivi — ne hanno viste di tutti i colori. La voce più disarmante e commovente è quella della beata Angela da Foligno (1248-1309), famosa «Magistra theologorum», che ammette di aver pregato Dio perché marito e figli moris-sero: «E piazendo a Dio che morise in quelo tempo la mia madre, la quale m'era impedimento grande. E poi lo mio marito e tuti li miei Boli in breve tempo inorino. Et inperzlochè io aveva di poco tempo commenziata la dita vita, et aveva pregato Dio che morisero, grande consolazione ebi de la soa sorte». Liliana Madeo '

Persone citate: Caterina De' Ricci, Donna Caterina, Donna Caterina Principato, Gianna Pomata, Giovanna Bonanno, Lucia Ferrante, Maura Palazzi, Rosenberg, Sellier

Luoghi citati: Capizzi, Foligno, Palermo, Sicilia, Toscana