Lasciare Kabul di Aldo Rizzo

Lasciare Kabul Perché FUrss abbandona il suo Vietnam Lasciare Kabul Com'è difficile, anche per le superpotenze, uscire dai propri errori, quando sono gravi. Accadde all'America per il Vietnam, sta accadendo all'Unione Sovietica per l'Afghanistan. Molti avevano detto: ma l'Afghanistan non sarà mài un Vietnam, cioè una fuga senza prospettive; non ci sarà un ambasciatore sovietico con la bandiera rossa arrotolata sotto il braccio. Forse questa estrema umiliazione formale sarà risparmiata a Mosca, benché nulla "si possa escludere al momento; ma, per il resto, questa è una fuga da Kabul, come già da Saigon. A due settimane dalla data del ritiro totale dei militari sovietici (il 15 febbraio), la capitale afghana è assediata, stremata, alla fame. Le ambasciate occidentali hanno chiuso una dopo l'altra. Non c'è nessuna presunzione di sicurezza per nessuno. Cos'altro era Saigon, alla vigilia dell'arrivo dei vietcong? Partiti gli americani, era rimasta l'illusione che il regime sudvietnamita potesse difendersi da solo, almeno per un tempo necessario perché la vicenda uscisse dalle prime pagine dei giornali, e fosse, in qualche modo ipocrita, salva la «faccia» degli Stati Uniti. Quel tempo durò quanto il calcolo dei vietcong e dei nordvietnamiti di non stravincere subito; poi un governo provvisorio non potè fare altro che cedere il potere, o ciò che ne restava. In Afghanistan, a quanto pare, non ci sarà neppure questo minuetto. Tutt'intorno. a. Kabul, i guerriglieri aspettano che l'ultimo russo sia partito per compiere l'ultimo balzo. Eppure persino gli americani, questa volta schierati con la - guerriglia vincente, si sono adoperati per un qualche compromesso transitorio. Perché umiliare Gorbaciov, punire il suo atto di coraggio, la prima decisione sovietica di abbandonare una posizione conquistata? Ma Mosca non è riuscita a ottenere dai guerriglieri neppure la promessa che un esponente comunista (un atto simbolico) parteciperà a un futuro governo di transizione. Come per l'America in Vietnam, per l'Unione Sovietica in Afghanistan c'è stata una spirale di errori. Sbagliata fu già la decisione d'intervenire, senza un conto preciso delle prospettive e dei rischi. Sbagliato fu, in conseguènza, il modo di condurre la guerra, che non si svolgeva contro formazioni regolari, ma contro un esercito disperso e imprendibile, fornito di un «santuario» esterno (il Pakistan) e di aiuti finanziari e militari internazionali: degli Stati Uniti, ma anche della Cina e dell'Iran. Infine, persa la guerra, era inevitabile perdere anche la pace, perché non si è mai visto qualcuno, sconfitto sul campo, che fosse in grado di dettare le condizioni per il futuro. Si può aggiungere che non solo l'Unione Sovietica, ma il mondo esterno in generale, aveva sottovalutato la forza e la determinazione di questi guerriglieri islamici o «mujaheddin». Dopo tutto, l'Armata Rossa aveva schierato 120 mila uomini, migliaia di carri armati, aerei, elicotteri, a sostegno dell'esercito regolare dell'Afghanistan comunista. E aveva inviato reparti speciali, forze antiguerriglia, squadroni del Kgb, proprio in quanto, a un certo punto, le si era parato davanti uno «scenario» vietnamita (ma era troppo tardi). E, a differenza dai vietcong, i «mujaheddin» erano politicamente divisi, avevano referenti esterni diversi, e idee diverse sull'Afghanistan. Ma le distinzioni e anche le lotte interne hanno ceduto il posto, al momento opportuno, a una comune e ferrea determinazione «nazionale». Il problema, ora, è se questa comune determinazione' potrà sopravvivere al venir meno del suo fattore di coagulo, cioè la presenza sovietica, l'invasione sovietica. Qui c'è una differenza profonda rispetto al Vietnam. I vietcong, almeno nell'ultima fase, erano il braccio sudista del Vietnam del Nord, del duro e compatto regime di Hanoi. Conquistata Saigon, dovevano solo applicarne le regole. In questo senso e in questi termini, i guerriglieri afghani non hanno un modello esterno comune, né rispondono a un'autorità esterna comune. Devono inventarsi un futuro, che vada bene, in linea di principio, per tutti loro e per tutto il Paese. E sarà tutt'altro che facile. I pericoli sono due. Il primo è quello di una guerra intestina, di un caos sanguinoso (un altro). Chiudendo le loro ambasciate, gli occidentali dimostrano di non fidarsi di nessuno, come tutore di un ordine afghano, neppure dei «mujaheddin». L'altro pericolo è che dal caos interno spuntino vincitori i più decisi o i più fanatici, cioè gli integralisti islamici di osservanza iraniana. E anche questo spiega la prudenza occidentale. Già Radio Teheran parla un linguaggio inquietante. L'ultima amara lezione di Kabul potrebbe essere questa: una guerra sbagliata porta a una pace incerta, e la pace incerta porta a una nuova tirannide, scomoda per tutti. In fondo anche questo era accaduto in Vietnam. Ma speriamo che non si ripeta. Aldo Rizzo

Persone citate: Gorbaciov