E fu la sbornia khomeinista di Paolo Mieli

E fu la sbornia khomeinista COSI' AMMALIO' INTELLETTUALI, GIORNALISTI, POLITICI DI SINISTRA E fu la sbornia khomeinista Fu una delle ultime grandi sbornie collettive della sinistra in Occidente. Solo pochi, fra giornalisti, intellettuali, politici liberali e progressisti, seppero, come Alain Touraine, scorgere il carattere di «antirivoluzione» che ebbero quelle settimane successive all'avvento al potere di Khomeini. Per gli altri, o almeno per la stragrande maggioranza degli altri, quella khomeinista fu fin dall'inizio una rivoluzione vera e propria, di quelle che fanno compiere ai popoli un salto in avanti verso la modernità, al cui cospetto ci si può solo genuflettere e di cui si è tenuti esclusivamente a cantare le lodi. Nessuna perplessità per la circostanza che a guidarla fosse un imam. «La storia, scriveva Michel Foucault, ha posto in fondo alla pagina il sigillo rosso che autentica la rivoluzione. La religione ha svolto il suo molo di sollevare il sipario; i mollahs ora si disperderanno in un grande volo di abiti neri e bianchi La scena cambia. L'atto principale sta per cominciare». E il comunista italiano Romano Lcdda annunciava che dopo quello che era accaduto in Iran s'era aperta nel mondo «una nuova fase rivoluzionaria, quella delle rivoluzioni atipiche». Il settimanale del pei, Rinascita, pubblicava un grande titolo a tutta pagina: «Rivoluzione contro il Capitale». «In Europa, scriveva Massimo Boffa a conclusione dell'editoriale, una philosophia nova insegna che le rivoluzioni sono inutili essendo tutte destinate ad essere tradite, A vendo assistito alla nascita di una di esse ci sembra che si producano soltanto rivo¬ luzioni veramente "necessarie". E che comunque si sviluppi e si trasformi nel tempo il processo da esse iniziato rispetto agli originari progetti, i popoli fanno sempre un grande passo in avanti in virtù della concentrazione di volontà straordinaria che in una rivoluzione si realizza». Sul New York Times, Richard Falk, un docente della Princeton University, si sbilanciava ancora di più: «Avendo creato un nuovo modello di rivoluzione popolare basato, in gran parte, su tattiche non violente, l'Iran può rappresentare per noi un modello, di cui avevamo disperatamente bisogno, di governo umanitario in un paese del terzo mondo». E uno tra i più celebri inviati di Le Monde, Eric Roulcau, infatuato di Khomeini, restò vittima di quello che forse è stato il più colossale abbaglio della sua prestigiosa carriera giornalisticai spingendosi fino a trovar giustificazioni per il culto della personalità instauratosi attorno al capo religioso e per l'imposizione del chador alle donne. Per sua fortuna, Roulcau non fu lasciato solo. I giornalisti italiani s'entusiasmarono per quegli eventi non meno di lui. Tra i più «caldi» si segnalarono Boffa, Pietro Pctrucci, Gianccsare Flcsca, Roberto Livi, Pietro Bultitta, Carlo Panella e Sigmund Ginzbcrg che su rUnità riuscì a trovar delle spiegazioni anche per gli aspetti più controversi di quella rivoluzione: «Fucilazioni e processi sommari, scriveva Ginzbcrg, rispondono in qualche modo all'esigenza di rompere radicalmente con il passalo. // puritanesimo e l'integrismo islamico all'esigenza di farla finita con il degrado morale di un'intera epoca». Qualche altro giornalista, pur partecipando all'entusiasmo collettivo, fu più trattenuto. Ma solo alcuni — una minoranza in cui vanno annoverati Bernardo Valli e Miriam Mafai, che iniziò una sua inchiesta su la Repubblica scrivendo: «// confine tra legalità rivoluzionaria e arbitrio in Iran e assai sottile» — furono invece prudenti. L'Humanité, organo dei comunisti francesi, definì Khomeini «il Lenin islamico», su l'Unità per spiegare le caratteristiche della rivoluzione iraniana fu scomodato persino Gramsci. Sempre sul quotidiano dei comunisti italiani, Arminio Savioli, per relativizzare il ruolo degli integralisti in quegli eventi, scriveva: «Vi sono uomini del passato regime che infiltratisi nel nuovo sotto il mantello del bigottismo lavorano per un colpo di Stato militare e comunque spingono verso nuove lacerazioni». Scarso interesse della stampa di sinistra per le fucilazioni di omosessuali, per la spietata repressione dei kurdi, per le pene corporali inflitte agli adulteri. Se venivano sciolte con brutalità manifestazioni di donne che protestavano contro l'imposizione del velo nero, Lidia Campagnano sul Manifesto garantiva che prima o poi ci sarebbe stato anche Ti un unico movimento delle donne, con e senza chador, e non perdeva l'occasione per ironizzare contro la stampa borghese rea d'aver identificato Khomeini con il Medio Evo c la nostra società con l'evo contemporaneo «il quale viene dopo, ci spiegavano a scuola, e quindi è meglio perché c'è stato il progresso. Amen». Su Lotta continua un gruppo di operaisti torinesi contestava Panella, che ormai s'era quasi trasformato in un corrispondente dall'Iran, per non aver dato sufficiente risalto al molo della «classe» in quella rivoluzione. Tra i superentusiasti Pietro Ingrao che, reduce da un viaggio a Teheran nel 1980, avverte che lì si stanno decidendo i destini dell'umanità: «Guai se ci lasciamo abbagliare dai no stri pregiudizi e non ci accorgiamo che nella forma peculiare di quell'esperienza si stanno lì affrontando questioni a noi non estranee: quale modello di svi; lappo, se e come deve esplicarsi una finizione dei partiti, quale ruolo devono avere movimenti di massa e forme di democrazia diretta». Ingrao che è lì per la Conferenza sulle ingerenze americane in Iran ha anche l'occasione di essere ammesso, assieme ad altri, alla presenza di Khomeini. Ecco come descrive l'incontro e ciò che gli ha suggerito: «Ci ha parlato dall'alto di un mistico ballatoio, per circa un 'ora, in persiano e senza una riga di traduzione, nemmeno alla fine. Nonostante la stranezza delle circostanze, era possibile avvertile nell'uomo, nel suo atteggiamento, nelle cose che diceva, una grande determinazione... Viviamo in un mondo in cui tante persone intomo a noi ogni giorno mettono tra parentesi le grandi opzioni di fondo ed esaltano la pratica della mediazione nel suo senso più mediocre: sarà perché lutto ciò provoca, anche da noi, un certo distacco dall'agire politico che. lo confesso, una suggestione si avverte nel sentire un uomo che ragiona e opera su grandi scelte di fondo. E Khomeini dice parole mollo impegnative». Come sempre, qualche anno dopo ci saranno anche giornalisti e intellettuali che faranno parziale o totale autocritica per i loro iniziali entusiasmi. Boffa ammetterà d'aver peccato di «giustificazionismo», quelli di Lotta continua stamperanno un libretto, // mare tra le dita, nel quale, tra le righe, confesseranno d'essersi lasciati abbindolare da qualche portavoce del governo iraniano, Flcsca su L'Espresso riconoscerà che per un eccesso d'accaloramcnto molti giornalisti in quel 1979 a Teheran «hanno taciuto e avallato alcune palesi aberrazioni». „ , ... .. Paolo Mieli Khomeini visto da Levine

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