La saga terribile dell'Ayatollah

La saga terribile dell'Ayatollah 10 ANNI FA KHOMEINI ARRIVAVA A TEHERAN: DAL TRIONFO ALLA TEOCRAZIA La saga terribile dell'Ayatollah Quel gelido mattino del primo febbraio milioni di iraniani piangenti accolsero il corrucciato Imam, in patria dopò quindici anni d'esilio Sulle ceneri della dinastia Pahlevi una dittatura in turbante travolgeva i laici, tra fughe in avanti, ripensamenti e dogmi - Del fervore popolare del 1979 rimangono un mare di cadaveri, uno smisurato orgoglio, un'acida stanchezza - E un vecchio leader che prega e impreca II primo febbraio del 1979, 12 Botiamoti 1357, ad ore nove e sette minuti, un Jumbo dell''Air France compare nel cielo azzurro-ceramica di Teheran, sorvolando le cime innevate dei Monti Alban. Su quell'aereo, noleggiato a credito da Sadegh Qhotbzadeh, c'è Khomeini, il «profeta disarmato*. Ritorna in Patria dopo 15 anni di esilio e Teheran impazzisce: milioni e milioni di persone piangenti inondano le strade. Ondano: «Aliami akbar» (Dio è il più grande), •il santo è tornato; «Marg bar scià» (a morte lo Scià). «n mondo non aveva mai visto uno spettacolo slmile», scriverà il New York Times. L'Iran intero è squassato dall'esaltazione, le truppe sono consegnate in caserma, è un momento cruciale ma lui, il vecchio ayatollah che durante il viaggio ha sempre sonnecchiato, si sveglia solamente dopo l'atterraggio. Nessuna traccia d'emozione sul suo volto corrusco. Un giornalista della Noe, eccitatissimo, gli domanda: «Cosa prova in questo momento?». «Nulla». Lentamente, appoggiandosi al braccio del figlio Ahmed, scende la scaletta del Jumbo. La tunica nera, nel sollevarsi, mostra un paio di babbusce logore. Nel salone Vip dell'aeroporto lo attendono in tanti: da Talegani a Montazeri, da Bazargan a Sandjabi, religiosi e laici che hanno patito le carceri dello Scià, le torture della Savoie e han visto morire familiari e amici, la povera, animosa gente dei quartieri bassi; l'S di settembre del 78, in piazza Jaleh, in quel tragico venerdì nero, giorno di nascita della rivoluzione khomeinista, i soldati dello Scià ammazzarono almeno cinquemila popolani e studenti inermi. «L'aria proruma come un giardino — tu sei con noi — non ci hai mai lasciato», cantano gli scolari:.ammesti nel salone. Fanno quadrato con le rappresentanze di tutte le categorie sociali, coi quattro rabbini, i quattro vescovi armeni, i tre sacerdoti cattolici venuti a testimoniare la solidarietà delle minoranze religiose. Fuori, sulla pista, san schierati gli avieri armati di mitraglietta, agli ordini dì un generale. Ci sono, in un canto, tre signori in tight che si vuole siano membri del vecchio cerimoniale degli esteri; lui non.li degnerà d'uno sguardo. Pallido, gli occhi lucidi, le labbra scarlatte, Khomeini fa il suo ingresso nel salone strascicando le ciabatte stinte. I giornalisti iraniani, che si mischiano con quelli stranieri, chinano la fronte e recitano a voce alta: «Salute a Dio, a Maometto, alla sua famiglia», ma cen'è uno che grida: «I comunisti sono con te!». Un bacio al Corano che gli porge un mullah, un sorso d'acqua fresca e l'Imam si accoscia sul tappetino che mani premurose han steso sui lastroni di marmo. Prega. Un vasto silenzio cala sulla commossa assemblea. Lo rompe d'improvviso una voce bianca che intona una nenia sacra, la Sura del Corano che dice: «Quando Dio soccorre, la vittoria è vicina». Allorché il figlio lo tira su e Khomeini sorride levando la mano benedicente, una poltiglia di consonanti cancella il silenzio; è la Babele del pianto gioioso, delle invocazioni più turibolanti. Cinque nerboruti mullah lo sollevano di peso, caricandolo sudi una land-rover bianca, ma la folla sta per sommergerla, sicché Khomeini viene imbarcato su di un elicottero che atterra, infine, nell'immenso •giardino di Zara-, u cimitero di Teheran, il grande vecchio è stanco, il lungo viaggio in aereo, la lenta sfilata tra la moltitudine delirante che più volle ha preso d'assalto la land-rover, ricoprendola di garofani, e persino baciandola, il balzo in elicottero devono averlo sfinito e turbato, ma la sua voce è ferma Al centro del •riquadro 17», tassellato a perdita d'occhio dalle lastre tombali dei •martiri' della rivoluzione, l'Imam proclama: «Taglieremo le mani dei traditori, spezzeremo ì denti ai nemici dell'Islam». Parla a un milione e mezzo di persone che a ogni frase gli fanno eco gridando con terribile voce: «Sa'i ast», che vuol dire al tempo stesso: è giusto-cosi sia Il cronista ricorda d'aver colto allora, in quel mattino senz'duro •storico- di dieci anni fa, l'immagine surreale di un vecchio cieco, che sembrava uscito da un quadro di Chagall: suonava, piangendo felice, il suo violino scordato. Ricorda d'aver trasmesso: «Si ha l'impressione che questa folla composita non si attenda miracoli ma soltanto "indicazioni'' e si potrebbe avere la certezza che le eseguirebbe anche a costo della vita». In quel febbraio gelido di dieci anni fa «il massacro è dietro l'angolo», avverte Shapur Bakhtiar, il primo ministro insediato dallo Scià prima della sua fuga (il 16 di gennaio) nell'estremo tentativo, escogitato dagli americani, di salvare la dinastia mediante un compromesso tra •moderati- e •radicali». Non sono in pochi a credere che Khomeini, oramai caduto Reza Pahlevi, si ritirerà a pregare. E invece egli pensa e dice di aver «appena iniziato un'opera storica». Attento agli umori delle masse, l'Imam rifiuta ogni compromesso, plagia i soldati, insedia il governo provvisorio di Bazargan, preme sull'acceleratore sordo ad, ogni richiamo alla prudenza Sinché la 'sommossa delle 48 ore» non travolge l'ultimo ostacolo: l'esercito impe¬ riale con gli Immortali (i moschettieri dello Scià) che si arrendono in mutande, i pantaloni ripiegati sul braccio. E' il momento del trionfo: quel moto popolare, invero uno dei più autentici e folgoranti della Storia, viene salutato con estremo interesse e simpatia persino negli Stati Uniti; ma la rivoluzione khomeinista viene esaltata anche e addirittura come il preludio della crisi, forse definitiva del modulo di vita cristiano-occidentale. Frettolosi apologeti vedono l'Imam alla stregua di un Lenin orientale, viene persino scomodato Gramsci. Sennonché lo Sciismo è tutt'altro che una confessione progressista e la sua organizzazione ecclesiastica è semplicemente poderosa E l'Islam di Khomeini non è mediazione bensì Scolastica. C'è di più nel momento magico della vittoria popolare mancherà l'anello capace di saldare il movimento islamico per spingerlo verso processi sempre più rivoluzionari. Ed è assente un proletariato organizzato: i partiti laici, marxisti e non, esistono soltanto sulla carta e il sindacato è appena una molecola Sicché la componente religiosa è sola ed egemone. Dieci anni dopo, è possibile indicare tre fasi nella •rivoluzione islamica». La prima è la rivolta contro lo Scià guidata a distanza da Khomeini e pagata a caro prezzo da tutte quelle forze laiche e progressiste che cercano di strumentalizzare il collante rappresentato dall'organizzazione religiosa La seconda è un vero e proprio putsch/reddo che comincia con la presa degli ostaggi il 4 di novembre e, attraverso ripiegamenti tattici cui seguono terribili fughe in avanti, porta dopo il rilascio degli americani, all'erosione del potere di Boni Saar, presidente della Repubblica e artefice, in qualità di comandante delle forze armate, della rivalutazione dell'esercito dì fronte all'attacco iracheno. Nella sua fissità dogmatica Khomeini non esita a sacrificare i laici lasciando mano libera ai religiosi perché «il potere di Dio, sia lode a Lui, si affermi e trionfi». Boni Sadrfugge a Parigi, nasce la Teocrazia khomeinista che reagisce al terrorismo dosato dei Mu jahidin del popolo con la più implacabile delle repressioni. Ma Khomeini vuol riconquistare i territori, le città prese da Saddam Hussein, vuole vincere la guerra -Marinaio» com'è gli ci vuol poco a capire che non basta far leva sulla dote antica degli iraniani (il nazionalismo) per risollevare le sorti del conflitto: ed eccolo allentare la morsa del Terrore avviando le premesse di un Termidoro sempre annunciato, ma che nemmeno le importanti avanzate in Iraq riescono a far nascere. Siamo alla terza fase della rivoluzione che si chiude il 18 luglio del 1988 con l'inopinata accettazione della 598 dopo una rapida serie di inimmaginabili sconfitte disastrose. «Nel migliore dei casi, scrisse subito di Khomeini Maxime Rodinson, sarà come Monsignor Duponloup, il vescovo di Orléans che predicava l'ordine morale; nel peggiore come Torquemada, che voleva lavorare nell'ordine». Khomeini vuole lavorare nell'ordine e non tollera che la tregua, succeduta a otto lunghi anni di guerra, allenti la tensione rivoluzionaria corrompa i costumi. Sicché mentre accresce il flusso dei conforti materiali (i mercati di Teheran non mancano di nulla) reprime implacabile ogni tentativo di appropriarsi di spazi diremo •liberi e liberali», da qualsiasi parte il tentativo venga azzardato. Ne viene che il popolo iraniano consuma la stanchezza accumulata durante la guerra nella disillusione, nel disincanto, assistendo sgomento alla lotta per il potere che dilania {'establishment in turbante. Una lotta senza esclusione di colpi tra ortodossi e pragmatici, tra chi si ostina a volere un Iran chiuso in uno sdegnoso isolamento («né con l'Est, né con l'Ovest: con Dio»; e chi vorrebbe una economia di mercato coniugata con le libertà fondamentali, nel ségno dello scambio, non soltanto commerciale, con l'Occidente, in particolare con l'Europa Italia in testa Dieci anni dopo l'indimenticabile 1 febbraio del 1979 cosa rimane di quel fervore popolare, di quella infinita speranza? Un mare di cadaveri, uno smisurato orgoglio, tanta acida stanchezza. Un vecchio Imam dalla pessima salute di ferro che prega e impreca Igor Man Teheran, 1° febbraio 1979. L'ayatollah Khomeini scende dall'aereo che lo riporta in patria (Ap)