I grandi trent'anni dell'avanguardia russa

I grandi trent'anni dell'avanguardia russa I COLLEZIONISTI DELLA «PERESTROJKA >: DALL'URSS A MILANO 190 OPERE I grandi trent'anni dell'avanguardia russa MILANO—In Palazzo Reale, sino al 12 marzo, s'intrecciano un vecchio mito o sogno della cultura artistica occidentale del '900 e la realtà nuova dì rapporti culturali con lUrss meno ideologicamente travagliati e condizionati, di cui il clima della perestrojka è espressione attuale, ma non iniziale. Le 127 opere di pittura, in massima prevalenza, e di grafica, e la sessantina fra manifesti e ceramiche «rivoluzionarie», testimoni, à largo raggio, dell'arte russa e sovietica dal 1904 al 1934 non solo d'«avanguardia», ma con la netta esclusione del realismo ufficiale di partito, sono certamente un'assoluta e clamorosa novità per l'Italia, con la sola ed emarginata eccezione della stupenda mostra di Rodcenko e Stepanova a Perugia nel 1984. Ma già fra 1979 e 1981 Parigi e Mosca si erano scambiate la colossale mostra sui rapporti trai due centri d'avanguardia. Frutto del nuovo corso gorbacioviano fu la presenza l'anno scorso alla Thyssen di Lugano di capolavori dei musei di Stato di Mosca e Leningrado, da Kandinsky, Larionov, Goncarova a Malevic e Tatlin. n clima di perestrojka agisce qui a Milano in un senso direi più singolare e più intemo alla nuova realtà sovietica. Responsabile ufficiale della manifestazione, sponsorizzata dalla Pirelli per il Comune di Milano, è la Fondazione Culturale dellTJrss, nata da appena due anni e del cui presidium è membro Raissa Gorbaciova; e, all'interno di questa Fondazione, l'ancor più recente (1988) Club dei Collezionisti Collezionisti privati, ovvero, è lecito pensare, la nuova intelligentsija in forma di classe dirigente tecnocratica e professionale. Membro onorario all'estero del Club è quello straordinario greco-sovietico George Kostakis che. dopo aver ammassato a partire dagli Anni 30 la più grande raccolta di opere dell'avanguardia russa, ne ha donato il meglio alla Galleria Tretjakov di Mosca per esportare il resto in Occidente alla fine degli Anni 70. La novità della rassegna milanese è così globale e assoluta che il visitatore può tranquillamente ignorare la sua origine, le fonti private da cui provengono le opere. Ma senza tener presente questa origine non ci si può dar conto delle grosse assenze, Kandinsky, El Lissitzky, il meno noto ma fondamentale suprematista-costruttlvlsta, e poi purista e surrealista, KJiun. In questo senso, d'altra parte, colpisce anche, nelle scelte collezionistiche e nella conseguente prevalenza in mostra, anche dal punto di vista meramente quantitativo, di certi artisti, gruppi, movimenti, linee di tendenza, l'affinità con le scelte ufficiali, di regime. Quelle c'.ie hanno caratterizzato negli ultimi trenta, vent'anni, il lento parziale riemergere dell'arte russa e sovietica del nostro secolo dai magazzini sulle pareti della Tretjakov di Mosca, del Museo Russo di Leningrado e dei musei di provincia. Con tutto questo, con gli squilibri e le assenze, trova finalmente un'affascinante incarnazione quel mito o sogno occidentale del contributo russo all'arte del XX Secolo— grande, vitale, variegato —, che ha urtato per più di mez- zo secolo contro l'opaca cortina stalinista, dopo che Lenin aveva creato a Mosca, attraverso il sequestro di Stato, il primo al mondo e fra i più grandi musei d'arte contemporanea. Con alcune punte altissime di presenza: un assoluto capolavoro di ChagaU, ritornato da Parigi nella Russia della prima guerra mondiale, il sogno tutto biancogrigio e azzurro di Musa-Apparizione del 1917; la grande Spagnola del 1916, della Gon'carova, già emigrata in Francia, fra cubismo e ritomo all'ordine. E ancora, nell'avanguardia pura e estrema, l'unico ma eccezionale Rilievo costruttivista di Tatlin del 1914-17, assemblaggio di cuoio e metallo su legno; e la formidabile pattuglia delle donne ftrturiste-costruttiviste, la Popova, la Udaltsova, la Stepanova, la Exter, la PesteLlaKagan. Quelle scelte collezionistiche riservano d'altronde inedite sorprese per altre figure maggiori: sia Larionov che Malevic sono presenti con opere, alcune assai belle, «naturalisticamente» al di fuori, anteriori o posteriori, dei loro contributi, fino alla violenza espressionistica, cubofuturistica o alla «suprema» mistica astratta, all'avanguardia europea Al di là dei vertici, un sontuoso panorama. Le prime sale propongono l'arte simbolista della «Rosa Azzurra» nel primo decennio del secolo, fra cui spiccano Kuznetsov, Sarian, Sudejkin, Utkin: vi si respira, con qualche anticipo, l'aura dei secessionisti italiani tra Venezia e Roma. Manca, come si è detto, Kandinsky, ma la sua fase immediatamente anteriore alla grande svolta espressionista astratta è ben presente nel Paesaggio di Murnau del 1907 del compagno d'avventure Javlensldj; in parallelo, l'astrazione simboùco-decorativa del paesaggio caratterizza un piccolo capolavoro di David Burliuk, protagonista di gruppi e mostre («n Vello d'Oro», l'Unione della Gioventù, «Il Fante di Quadri»), Terra rossa del 1909. Irrompe in seguito, con opere di grandi dimensioni in sale maggiori, il gusto robustamente cromatico, fra fauvismo e amore di arte popolare russa, del gruppo ulteriore del «Fante di Quadri», con Masnkov in primo piano, il già ricordato Lentulov, Koncialovskij, con un unico Paesaggio di Crimea del 1916, sulla linea fra Cézanne e Derain. E' una linea già un poco attardata in prospettiva europea (siamo agli anni delle sperimentazioni estreme di Malevic e Tatlin) , ma inversamente antici¬ patrice della figuratività «da cavalletto» sovietica, tra anni rivoluzionari e Anni 20, a cui sono dedicate curiose sale verso la fine, a loro modo significative: Mirman, Osmerkin, Sinezubov. Drewin. Sono già passate, a questo punto, le sale della grande avanguardia astratto-costruttivista: accanto alle donne, ecco il grande Rodcenko, Vesnin, la raffinata rivelazione di Kudriashov, la piccola Composizione Anni 20 di Matjushin, strisce verticali in sequenza cromatica già perfettamente definibili optical. La sala sotterranea ospita i manifesti e le ceramiche degli anni della Rivoluzione e delia ricostruzione industriale. Il visitatore sarà un poco stupito di trovare un solo esempio dei famosi fogli Agitprop a più scene ideati da Majakovskij, ma potrà ripagarsi con gli assoluti capolavori di Moor (Orlov), fra cui quello in bianco e nero, di intatta sintesi tragica, che chiede al mondo Aiuto! per la grande carestia al principio degli Anni 20. Quanto alle porcellane della Manifattura di Stato sovietica con splendidi prodotti di Altman, di Matveev, di Suetin, di Cechonin, la loro presenza apre curiosi spiragli sull'intrecciarsi di politiche culturali sovietiche di esportazione. Parecchie di esse, che provengono prevalentemente da un paio di collezioni private, ricompaiono nella più ampia e specifica mostra «ufficiale» di quest'estate a Venezia e attualmente aperta a Biella a cura dell'Unione Industriale Biellese, della Fila: un'occasione integrata, ira Milano e Biella, <ia non perdere. Marco Rosei Moor Dmitri Stachievich: «Ai popoli del Caucaso» (manifesto, Ottobre 1917 - Ottobre 1920)