Un conto salato per De Mita

Un conto salato per De Mita Un conto salato per De Mita ROMA — L'ha scampata. A prezzo di una notte insonne e di concessioni d'un qualche rilievo ai segretari delle tre Confederazioni, Ciriaco De Mita è riuscito a convincere i sindacati circa l'opportunità di disdire lo sciopero generale di quattr'orc convocato per il 31 gennaio. E a salvare, in questo modo, il governo dalla sicura crisi verso cui stava scivolando. Ma il costo di quest'operazione è salatissimo. Per prima cosa ciò che è accaduto l'altra notte mette in evidenza il clamoroso errore di calcolo che De Mita ha compiuto il 27 dicembre scorso. Quel 27 fu il giorno in cui il capo del governo seppe dell'ostilità unanime dei sindacati al decreto di fine d'anno; ma invece di convocarli immediatamente a Palazzo Chigi, ascoltare quel che avevano da dire e prender tempo per apportare ai provvedimenti quelle modifiche che avrebbero avuto l'effetto di rabbonire i rappresentanti dei lavoratori, li sfidò, ironizzò sulla loro reazione dicendo che l'unico motivo che avrebbe avuto per incontrarli poteva essere quello di porger ìoro i più sentiti auguri per un felice 1989. E ne ebbe come tutta risposta la proclamazione dello sciopero. Evidentemente De Mita considerava i sindacati in disarmo e allo sbando e non aveva previsto questa loro capacità di reagire con fermezza. Allo stesso modo in cui, altro errore, un mese prima aveva considerato i comunisti a tal punto fuori gioco e con le munizioni bagnate che prese sottogamba la loro campagna per coinvolgerlo nello scandalo irpino. Salvo poi restarne impigliato e doversi ritrovare, a fine di quella partita, pieno di ammaccature. Ma stavolta è andata ancora peggio. Perché, mentre era impegnato nell'estenuante opera di rattoppo coi sindacati, i suoi amici di partito hanno avuto il tempo di lavorare alacremente all'allestimento della tagliola in cui, tra qualche settimana al momento del congresso, vorrebbero incastrarlo; è perché, allò scopo di divincolarsi dal garbuglio in cui s'era andato a cacciare, s'è visto costretto ad inasprire i rapporti con i due principali partner di maggioranza: Bettino Craxi e Giorgio La Malfa. Alla fine, per di più, s'è dovuto prendere anche i rimbrotti della Confiitdustria. Bilancio di questo bimestre dello scontro di De Mita con i comunisti e i sindacati? Comunisti e sindacati rinvigoriti, coi toni dell'ammazzasette nei confronti del presidente del Consiglio e in grado per la prima volta dopo molti anni di cantar vittoria per aver piegato il governo; i socialisti che si uniscono al coro della sinistra e possono vantare d'esser stati i registi di almeno una parte dell'operazione che ha messo De Mita nell'angolo; i repubblicani che quasi accusano il presidente del Consiglio d'essere un inresponsabile, di farsi complice della ripresa d'inflazione e d'aver fatto riprecipitare il Paese in un clima da Anni Settanta; Banca d'Italia e mondo imprenditoriale che prendono apertamente le distanze da questo gabinetto e da chi lo presiede; la democrazia cristiana che a gran voce e senza più alcun ritegno chiede la destituzione del massimo leader. A questo punto è chiaro che Ciriaco De Mita è in minoranza. Nel suo partito ma anche come capo del governo. Attorno a lui si sta facendo il vuoto che è tipico della vigilia di un crollo: amici che, per il momento ancora a mezza voce, cercano di distinguersi da lui o lo abbandonano, nemici grandi e piccoli che infieriscono. Improvvisamente, per connessioni ben individuabili ma anche per semplici coincidenze, l'essere a lui legati diventa fonte di disgrazie: non s'è ancora spenta l'eco del licenziamento di Angelo Sanza che il capo della segreteria demi liana Giuseppe Gargani è costretto a rispondere ai giudici per la losca faccenda delle lenzuola d'oro. Si comincia a intravedere quanto i due incarichi, quello di segretario de e quello di presidente del Consiglio, siano interdipendenti e quanto il traballare di una poltrona faccia scricchiolare anche.l'altra. Nel partito i suoi avversari gli garantiscono che se lascerà pacificamente Piazza del Gesù, loro poi gli garantiranno un lungo e felice proseguimento dell'esperienza a Palazzo Chigi. Ma chi gli fa queste promesse, che ne sia fin d'ora più o meno cosciente, non sarà mai in grado di mantenerle. Dicci mesi fa, infatti, dopo il crollo di Goria la de ottenne nuovamente l'incarico di dar vita ad un governo proprio perché faceva scendere in campo il suo leader. Era chiaro fin da allora che questo leader a un certo punto del suo cammino avrebbe dovuto lasciare ad altri le redini del partito. Anzi probabilmente fu la consapevolezza dell'inevitabilità di questo passaggio a indurre i suoi antagonisti a dargli subito luce verde per l'esperienza di governo. Quello che però non si poteva immaginare era che il passaggio di consegne sarebbe avvenuto in questo modo. Cioè con un De Mita praticamente estromesso da Piazza del Gesù, assediato nel governo dai partner di maggioranza che gli imputano ora di non esser capace di mantenere le relazioni col sindacato ora di non essere all'altezza di affrontare l'emergenza economica. E messo sotto tiro dall'opposizione che conosce una seconda tripudiante giovinezza scaraventandoglisi contro. Se anche questo governo galleggerà fino al congresso democristiano, ciò sarà perché i nemici di De Mita, dentro e fuori la de, non ritengono sia giunto il momento di colarlo a picco. Paolo MieU

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