Abbado rivela un'inedita Kovancina di Giorgio Pestelli

Abbado rivela un'inedita Kovancina Vienna acclama l'opera di Mussorgski, il più importante spettacolo della stagione Abbado rivela un'inedita Kovancina Alcuni frammenti ritenuti smarriti messi a disposizione dall'Urss - Un'edizione destinata a diventare punto fermo nella storia della partitura • Regia di Kirchner, grande interpretazione di Ghiaurov, esordio trionfale del barìtono Kotscherga VIENNA — Per festeggiare Mussorgski a 150 anni dalla nascita, l'Opera di Vienna e Claudio Abbado hanno allestito una Kovancina di straordinario vigore, destinata, con ogni probabilità, a diventare un punto fermo nella travagliata esistenza di quest'opera lontana da ogni abitudine o convenzione; malgrado il non felice impianto scenico di Erich Wonder, e alcune indifferenze della regia di Alfred Kirchner, la forza interpretativa di Abbado, la congenialità di tuttala compagnia vocale, lo splendore dei cori e della Filarmonica di Vienna stringono in unità drammatica l'opera meno unitaria del mondo: il pubblico viennese, cui Kovancina è tutf altro che familiare, si è trovato di fronte uno spettacolo di enorme presa, e ne ha ringraziato l protagonisti con applausi e acclamazioni a non finire. Sull'attesa dell'allestimento agiva anche la novità dell'inedito. La base è la versione approntata da Sciostakovic, ma con l'inserimento di parti orchestrate da Mussorgski e del finale preparato da Stràvinski per Diaghilev nel 1913: lutti frammenti ritenuti smarriti e che solo la recente apertura archivistica e documentaria con l'Unione Sovietica ha riportato alla luce. Con tutto ciò, ad evitare ingenui discorsi sulla ricerca di una versione 'originale', è bene rammentare che nella Kovancina l'incertezza del testo non è un infortunio bibliografico ma qualcosa di immanente: Mussorgski scriveva un'opera, ma anche un saggio sull'opera, quadri e figure emergono e spariscono, i personaggi tendono a incarnare un'idea, ma qualche volta sono le idee che s'impadroniscono dei personaggi scacciandone la coerenza drammatica; sperimentalità e incompiutezza sono connaturali a tutto il lungo processo creativo. Meno Pietro il Grande, che infatti non com¬ pare mai in scena, nella Kovancina, come nei romanzi di Dostoevski, tutti sembrano perdere tempo: vanno e vengono, s'incontrano è s'incrociano, parlano, sperano in un futuro lontano e piangono sul presente: questo è il loto vero, dramma,-qui li inchioda il genio di Mussorgski e qui li vivifica l'intuito drammatico della direzione di Abbado. Sotto la bacchetta del direttore italiano la partitura di Sciostakovic è illuminata da una luce radènte: lo stridore degli ottavini, lo strisciare sotterraneo del basso tuba, l'orologeria delle percussioni mettono talvolta Sciostakovic in primo piano rispetto a Mussorgski; e il finale orchestrato da Stràvinski, concluso dalla sospensione di un pianissimo di indicibile fascino, rimette in corsa il timbro ottocentesco, qualcosa dello sfumato di Rimski Korsakov; ma tutto questo plurilinguismo è annullato e rifuso al calore del- la tensione impressa da Abbado e dall'intensità degli interpreti. Un caso raro di identificazione con il suo personaggio presenta Nicolai Ghiaurov: il fantasticare nostalgico, il gesto vanesio del principe Kovanski non possono avere un rilievo più autentico, più «vero» nel senso tanto ricercato da Mussorgski. Lo stesso si deve dire del simpatico e mondano Goiizyn (Juri Marusin) e della Marfa di Ludmila Schemtschuk. Basta che le scene si ritirino dall'agitazione simbolica e Marfa grandeggia: la scena in cui legge il futuro nel bacile d'acqua mette i brividi, con quei clarinetti che si muovono sotto pelle come sinistri colubri. La regìa, insistendo su una serie di mistici abbracci, non spiega l'affatturazione finale che Marfa compie sul povero Andrej (Vladimir Atlantow) che di morire sul rogo non ha proprio voglia: ci pensa la voce del contralto a calamitarlo e portarselo dietro come una fatale rusalka. Un po' meno in parte Paata Burchuladze come Dositeo, il capo dei vecchi credenti; la voce c'è tutta, ma ha poco carisma, anche perché la regia ce lo raffigura troppo giovane e incredibilmente privo di barba (operazione cui solo Pietro, appena al potere, provvederà). Mentre fortissime sono altre figure secondarie: il baritono Anatoli Kotscherga, una rivelazione nella problematica parte di Sciakloviti, Joanna Borowska quale Emma, Brigitte Poschner-Klebel, straordinaria Susanna con la sua esplosione di morbosità. Le fanfare dei petroviani sul palco mozzano il fiato per la ferocia della precisione; i cori sono tre, dell'Opera di Vienna, di Bratislava e i Sàngerknaben: ammirevoli, li citiamo per ultimi, come cifra conclusiva di un grande spi! 'ac'oló: ' ' Giorgio Pestelli

Luoghi citati: Bratislava, Mussorgski, Unione Sovietica, Urss, Vienna