«La mia messa per Luigi XVI» di Liliana Madeo

«La mia messa per Luigi XVI» Intervista al sacerdote dì Roma che ha pregato per il re di Francia morto sulla ghigliottina «La mia messa per Luigi XVI» Don Piero guida la parrocchia frequentata dall'aristocrazia della capitale - «Anche i nobili hanno un'anima» - «I rivoluzionari non avevano bisogno di massacri per conquistare la libertà)»- In chiesa anche un busto di Umberto II ROMA — Nella basilica di San Lorenzo in Lucina ancora splendono i gigli bianchi che sabato sera hanno fatto da cornice alla messa celebrata in memoria di Luigi XVI, nell'anniversario della decapitazione del re di Francia. Ci saranno state più di mille persone, la crema dell'aristocrazia romana e della borghesia più ricca della città. •Qui un tempo passeggiavano Virgilio e Mecenate. Fra gli ebrei che qui vivevano e curavano i loro affari, allora come adesso, circolarono Pietro e Paolo. Questo era il centro di Campo Marzio, il cuore della città, degli affari, dei Tribunali, delle Milizie» dice Monsignor Piero Pintus. E' il pastore della parrocchia in cui c'è la maggior concentrazione di aristocratici e potenti della capitale. Intorno a lui si raccolgono istanze e sollecitazioni che fuori da questa cerchia di palazzi austeri suonano quasi incomprensibili. «Ma il ruolo del prete è proprio questo — afferma —. Essere uomo fra gli uomini». Nel suo ufficio il telefono suona in continuazione. Chiamano persone dai nomi altisonanti. «Eccellenza, ha visto? Gli abbiamo tagliato le unghie... Abbiamo giocato d'anticipo...» dice il Monsignore. Poi, a un altro: «Sua Altezza ha abrogato gli artìcoli famosi, io naturalmente ho acconsentito... Per la cerimonia di sabato, Vostra Eccellenza stia tranquilla... Abbiamo eliminato gli integralisti di destra: Lefebvre progettava un pellegrinaggio al Divino Amore con 5 vescovi da lui consacrali... Non ci conviene coinvolgere la Chiesa a tal punto e, così, far soffrire il Papa...». A questa parrocchia Piero Pintus—di origine sarda, nato a Montecarlo, già docente di Filosofia teoretica alla «Pro Deo» — è arrivato nell'80, a 58 anni. Veniva da una borgata, Casal Morena, a Sud di Roma: 40 mila persone, due bar, «mai visto un vigile urbano», strade senza luce, case senza fogne, degrado e abbandono, «un solo partito, il pei, e gli altri neanche di nome». In uno scantinato e In un pollaio installò una stazione radio. Gliela distrussero quattro volte. Sui muri, per strada, scrivevano «Pintus boia, pagherai tutto». La sua rendita era di 6 mila lire la settimana (adesso lo Stato gli passa 562 mila lire al mese, («e morirei di fame se non lavorassi anche la notte: i miei fedeli sono ricchissimi, ma avari e gretti, gretti anche culturalmente, per la presunzione di sapere tutto»), «1 giovani mi dicevano: che cosa vuoi? Sei un boss anche tu? Io rispondevo a quei ragazzi: non voglio niente, vivo qui per l'animaccia tua. Ho imparato molto, lì. Sono stato coraggioso. Mi ha preso il male della borgata. E' un'esperienza che non si cancella». San Lorenzo In Lucina, racconta, «poteva essere una sinecura. La chiesa era semiallagata, vuota. Chi ci veniva? Se il parroco non si fa conoscere, questa gente qui vive benissimo a casa sua. Invece mi sono rimboccato le maniche. Ho installato tredici citofoni, una stazione radio. Alle mie messe di mezzogiorno viene un sacco di gente, anche se so benissimo che gli fa comodo perchè, poi, vanno a mangiare al Cìrcolo della Caccia o al Circolo degli Scacchi qui accanto». Dopo la borgata, qual è ora la sua linea pastorale? «Questa è una parrocchia anomala, una struttura complessis- sima. I miei fedeli stanno ai vertici dell'economia del Paese. Gestiscono banche, decidono la sorte di imprese e lavoratori. Sono diventato il parroco della nobiltà. E allora? Mi devo rifiutare di dire messa per loro? Forse che i nobili non hanno un'anima? Spesso sono più poveri dei poveri, per formazione religiosa. Anche se hanno alle spalle pontefici e cardinali: 9 papi nella famiglia Ruspoli, 100 cardinali i Caffarelli. Se riesco ad aggregare queste persone, per lo meno le rendo più innocue: Racconta: «A volte le mie prediche gli arrivano come un pugno nello stomaco. Io denuncio il peccato del banchiere, ad esempio, gli creo problemi di coscienza. Uno non è più voluto venire per un anno, dopo una mia predica particolarmente efficace. Poi mi ha messo un bell'impianto di riscaldamento. Almeno 300 mila lire di spesa. Un altro mi ha mandato cinquanta vestiti da sposa, di cinque-sette milioni ciascuno: li manderò in una missione e faranno felici cinquanta ragazze». In questa basilica, dove si celebrano i grandi funerali e matrimoni dell'aristocrazia romana, Monsignor Pintus vara iniziative che a tanti sembrano singolari. «Me lo chiedono. Io sono disponibile a tutti» dice. Ecco, secondo la sua versione, come sono nate le cerimonie di suffragio per i reali di Francia. «Per là meno si è pregato un po'. Si è fatto capire che i bambini e le donne massacrati nella Vandea non erano indispensabili per l'umanità che conquistava le sue libertà». «Questa gente è impermeabile» ammette. Ma lui non la contrasta. Ecco perchè in chiesa c'è la testa in marmo dell'ultimo re d'Italia, Umberto II, come Vittorio Emanuele aveva chiesto («Io mi batterò perché cada un divieto assurdo e incivile che tiene i Savoia lontani dal loro Paese»). E senza alcun retroscena sarebbe anche la messa che ogni settembre celebra in memoria di Grace Kelly: «Non è vero che ne ho proposto la santificazione. C'è un comitato a Filadelfia che lo fa. Io mi sono limitato a dire che è stata sposa, madre e regina esemplare, una persona che dev'essere sacralizzata, come Isabella di Castiglia». Liliana Madeo

Luoghi citati: Castiglia, Filadelfia, Francia, Italia, Montecarlo, Roma