Noi, giudici delusi e soli di Alberto Papuzzi

Noi, giudici delusi e soli CRISI DELLA GIUSTIZIA IL MALESSERE DI TRE MAGISTRATI Noi, giudici delusi e soli Spataro: «Sento l'amarezza dì non poter agire secondo il modello della Costituzione» - Vitari: «Non godiamo più della solidarietà dei cittadini» - Di Nicola: «A dieci anni dai fotti, una sentenza è sempre ingiusta. Io mi vergogno» - Il pentitismo: «Chi ha collaborato con la magistratura è allo sbando)» - Droga: «Nello stesso tribunale, si assolve per 70 grammi e si condanna per 10» DAL MOSTRO INVIATO MILANO—Tre giudici penali hanno accettato di raccontare il loro disagio, l'inquietudine, le ragioni di de-. Iasione, l'isolamento, davanti al bloc-notes del cronista. Questa volta non si tratta di lamentele per disfunzioni organizzative, mancanza di personale, sedi inadeguate, sovraccarichi di lavoro, polemiche in seno all'Ann (Associazione nazionale magistrati) o al Csm (Consiglio superiore della magistratura): Il malessere che confessano porta a galla una crisi di identità. Il giudice giunge a dubitare dèlia sua funzione nella società. «Sento l'amarezza di non poter lare 11 magistrato secondo 11 modello previsto dalla Costituzione», dice Armando Spataro, sostituto procuratore a Milano. «Certe volte uno pensa che, tornando indie tro, in una situazione dei genere il magistrato forse non lo farebbe più. Oggi sono molti quelli tra i quali circolano questa amarezza e questo dubbio. Temo effettivamente che ci avviamo verso tempi bui per quanto concerne l'amministrazione della giustizia-. Spataro, 40 anni, per otto anni si è occupato a tempo pieno di terrorismo e da dite anni si occupa di criminalità organizzata e mafiosa. Insieme con luì abbiamo ascoltato Enrico Di Nicola, 55 anni, presidente di tribunale a Roma, e Giorgio Vitati, 40 anni, giudice istruttore a Torino. Di Nicola è stato uno scomodo protagonista dei processi controia criminalità economica: fondi neri Montedison, fondi neri Iti, primo scandalo petroli; ha avuto aspri conflitti con alcuni procuratori generali. Vitàri appartiene come Spataro alia generazione^ gei magistrati entrati Incàrrié- ' ra negli anni'delterrorìsmo ed è statoilpm del processar Zampini contro pubblici amministratori di Torino. Nessuno di questi tre giudici ha legami con i partiti. Né hanno incarichi nell'associazione di categoria. Spataro e Di Nicola però sono stati tra i promotori del Movimento per la Giustizia, costituitosi un anno fa, come reazione dal basso al correntismo che si contende il governo dell'Anm e del Csm. All'inizio, gli aderenti al movimento venivano chiamati «i verdU. Siamo all'indomani di una inaugurazione dell'anno giudiziario che ha dipinto lo stato della giustizia come un fortilizio assediato. Siamo alla vigilia di un'assemblea nazionale dei magistrati che deciderà se usare o meno lo sciopero contro il governo. A fine anno entrerà in vigore il nuovo processo, una scadenza che è fonte di polemiche e divisioni sia all'interno dei magistrati sia tra magistrati e avvocati. In tale contesto, le dichiarazioni di Spataro, Di Nicola e Vitari, raccolte in questo e in un successivo articolo, rappresentano schegge di esperienze soggettive in cui si rispecchia la fase difficile che attraversa il rapporto tra giudici e cittadini nel nostro Paese. Il primo elemento di crisi è la perdita di prestigio e di fiducia da parte della gente. Spataro: «Abbiamo vissuto un periodo in cui i giudici, con le grandi inchieste sul terrorismo e sulla mafia, avevano acquistato credito presso la pubblica opinione. Fino agli inizi degli Anni Ottanta trovavo un'estrema gratificazione in ciò che facevo. Il credito pubblico offriva alla magistratura la possibilità concreta di lavorare in un clima ' sereno, senza fucili puntati alle spalle. E' questa la ragione per cui qualcuno ha avvertito la necessità di ridimensionare i nostri poteri. Per cui ecco il capovolgimento di valori: gli stessi magistrati che ieri difendevano le istituzioni e i cittadini sarebbero responsabili di una prassi che ne metterebbe in pericolo i diritti. li credito di cui godevamo non solo si è consumato in un attimo ma si è rovesciato nel suo contrario». Vitari: «Dobbiamo constatare una caduta di solidarietà net nostri confronti: Ciò si traduce in tante cose. Prendiamo anche le richieste del magistrato alla polizia giudiziaria: un tempo avevano immediata risposta, mentre oggi incontrano spesso difficoltà burocratiche, risposte evasive, scarsa attenzione. Tutti parlano di spirito di collaborazione, ma nella pratica ci scontriamo quasi sempre con i tempi lunghi». Spataro: «Per andare avanti bisogna avere la forza di andare contro corrente. Polemiche personali vera¬ mente gratuite si ripetono ora per i magistrati che si occupano di mafia. Quei giudici che danno lustro alla magistratura di colpo diventano oggetto di attacchi indiscriminati. Siamo arrivati al punto in cui il pool antimafia di Palermo ha perso tutto o quasi il suo credito. Puoi mettere in conto di lavorare giorno e notte, talvolta anche di rischiare la vita, ma non puoi mettere in conto di vivere sotto la spada di Damocle di uno scorticamento morale. La realtà è questa: la società ci giudica nel modo più sbagliato perché non ci conosce». Il credito di cui godevano i magistrati sembra passato oggi agli avvocati. Non è forse vero che l'opinione pubblica li identifica come difensori dei diritti costituzionali del cittadino? Spataro: «E' vero che errori da parte nostra ci sono stati. Io credo, anzi, che la gran parte di noi desideri un potere disciplinare più rigido, per tutelare la categoria nel miglior modo...». Quali errori? Enzo Tortora, per esempio? «Errori giudiziari, certo, non lo nego. Però di errori è piena la storia della giustizia. Quelli di oggi non sono più gravi di quelli di ieri. Ma a me sembra assurdo, sembra una contraddizione in termini, che l'avvocato sia diventato il vessillifero dei diritti della collettività, proprio lui che per definizione tutela gli interessi privati del suo cliente». Un secondo elemento di crisi è la frustrazione di fronte al divario, talvolta enorme, tra i doveri del giudice e i risultati effettivi. Di Nicola: «Presso la mia sezione di tribunale sono pendenti tremila processi che risalgono agli armi '78 '87. Questo significa che l'80 per cento di quei processi andrà in prescrizione. Ma anche quando si concludono, la sentenza è sempre ingiusta, si tratti di condanna come di assoluzione. Perché quando si emana una sentenza a dieci anni dall'epoca dei fatti, sapendo che è una sentenza di primo grado, non sì fa giustizia. La sensazione è di agire contro tutti: l'imputato, il danneggiato, i testimoni che non possono più ricordare. Io sono un entusiasta del mio lavoro, ma per la prima volta, come presidente, vivo uno stato drammatico di frustrazione. Io mi vergogno. Io vorrei chiedere scusa continuamente a questo cittadino che viene magari tre volte da chissà dove per dire che è passato troppo tempo e non può ricordare. Questa impotenza mi distrugge psicologicamente». Spataro: -MI chiedo se la società in cui vivo voglia effettivamente che la criminalità sia contrastata con il massimo vigore possibile. Un tempo questo non me lo chiedevo. Così come mi chiedo perché i nostri politici, che all'indomani di ogni morte eccellente si recano alle esequie della vittima, non partecipano anche al funerale di qualche parente di pentito scannato. Dichiarano di voler fare il massimo, in realtà non fanno i passi minimi per proteggere i pentiti o anche per favorirne il reinserimento sociale. Se fosse possibile una verifica sul punto, potremmo constatare che si sono meglio reinseriti gli irriducibili e i dissociati passivi, spesso aiutati da ogni parte, mentre i pentiti, chi ha collaborato concretamente con la magistratura, sono allo sbando e si scontrano con una cultura che considera chi collabora un infame». Un terzo elemento: la situazione all'interno dell'Anm e del Csm. Spataro: «L'associazione dei magistrati accusa nei confronti dei problemi della giustizia le stesse contraddizioni che accusano i partiti nei confronti della società. Anche le nostre correnti sono diventate soprattutto degli apparati di potere. Con 1 magistrati che si occupano di associazionismo a tempo pieno, svolgendo in pratica i compiti di un funzionario di partito. Con tutto il cursus honorum che ne consegue. Per questo abbiamo pensato a un movimento, che esprime la speranza di stabilire contatti stabili con tutta la società civile. Si ricorda il referendum, il fronte dei no? Il nostro impegno è creare un fronte altrettanto articolato». Di Nicola: «Quella dell'associazione è una gestione clientelare. Quanto al Csm, ha ridotto la sua attività a un'ordinaria gestione del personale, come in un ministero». Queste drastiche valutazioni significano che la politicizzazione del giudice, campo di battaglia degli anni ruggenti, si è rivelata un'illusione come strumento sia di autogoverno della categoria sia di rapporto con la società? Vitari: «Non sono convinto dell'utilità di una politicizzazione. La società si aspetta sempre da noi una garanzia di neutralità. Il giudice non deve mai dare l'impressione di affermare una propria idea nelle decisioni che prende. La cosiddetta terzietà del giudice è il caposaldo della certezza del diritto. Per esempio, in materia di droga, capita che in un'aula si assolva un imputato pescato con 70 grammi, in una vicina se ne condanni un altro per soli 10 grammi. Queste divergenze che cosa rappresentano? 11 precipitato di una soggettiva convinzione del magistrato sul problema droga. Ma questa disparità è un fattore disgregante: non può che generare sconcerto nella gente e far credere che la giustizia sia un terno al lotto»: Di Nicola: «n magistrato deve non solo essere ma anche apparire assolutamente indipendente. E quello che non ammetto è 11 collateralismo partitico. Ma penso anche, in base alla mia trentennale esperienza, che quando è fatto alla luce del sole il collateralismo partitico è meno viscido e pericoloso del collateralismo economico e clientelare, praticato da magistrati nei salotti e nei circoli della buona società». Alberto Papuzzi Da destra, Enrico Di Nicola (Roma), Giorgio Vitari (Torino), Armando Spataro (Milano): tre magistrati penali raccontano la loro crisi d'identità

Luoghi citati: Milano, Palermo, Roma, Torino