Filosofia trasfigurata di Gianni Vattimo

Filosofia trasfigurata TORNA ABBAGNANO ESISTENZIALISTA Filosofia trasfigurata La prima, paradossale impressione che si prova oggi rileggendo gli Scritti esistenzialisti di Nicola Abbagnano (quelli del periodo 19391955), ora ristampaci in un ■ grosso volume dei classici della filosofìa Utet (a cura' <li B. Majorca), è che si tratti di scritti ben poco conformi all'immagine tradizionale della filosofia dell'esistenza. Soprattutto il primo, La struttura dell'esistenza (del 1939, mai ristampato da allora), che resta probabilmente il libro teorico' più affascinante e originale dell'autore, ha un andamento sistematico che lo apparenta strettamente a quella tradizione metafisica che l'esistenzialismo ha sempre dichiarato di voler superare. Ma, a ben vedere, questa prima impressione paradossale ha un significato preciso, che ci aiuta a capire quella che, forse, è la più autentica attualità dell'esistenzialismo per la cultura europea del Novecento. Questa attualità consiste nel fatto che — se si eccettuano alcuni autori come Sartre e Jaspers, rimasti fedeli costantemente a un pensiero sistematico (e forse proprio per questo oggi meno ripresi e proseguiti) — i maestri del pensiero dell'esistenza, a cominciare da Heidegger (ma possiamo pensare anche al lavoro di Luigi Pareyson, fino ai suoi sviluppi più recenti), hanno praticato la filosofìa sistematica solo per condurla alla sua definitiva dissoluzione, che non rappresenta tuttavia un fallimento, ma inaugura un nuovo modo di filosofare, caratteristico della recente filosofìa europea ben al di là dei confini dell'esistenzialismo. * * Nell'esistenzialismo, cioè, accade qualcosa che concerne tutto il pensiero contemporaneo, ma che in esso si annuncia con particolare chiarezza e con una'consapevolezza esplicita, assente^ invece- in, altre scuo.fe. e autori. L'es'stehziajismo è la premessa implicita di tutti i grandi testi «aforistici» e frammentari che sono diventati i classici di questi ultimi decenni: pensiamo, oltre che a Heidegger, a Adorno o al secondo Wittgenstein, per fare solo i nomi più noti. Ebbene, in forme che gli sono peculiari e che lo pongono in una posizione fortemente originale rispetto al resto della letteratura esistenzialistica, il pensiero di Abbagnano, che egli chiamò «esisten¬ zialismo positivo», ha anch'esso il senso di preparare, ancora in forma sistematica, quel passaggio a un nuovo stile — meno scientifico, più disarticolato e meditativo — che,, per quanto si vede oggi, rappresenta là vocazione della filosofia nella nostra cultura. In qualche senso, il titolo di uno dei saggi più famosi di Abbagnano, degli Anni Cinquanta, incluso in questa raccolta, Morte o trasfigurazione dell'esistenzialismo, si può applicare alla filosofìa stessa: con l'esistenzialismo, e soprattutto, forse, proprio con l'esistenzialismo positivo, la filosofìa sembra morire, ma in realtà subisce un processo di trasfigurazione, si dà una nuova forma che ne costituisce la permanente attualità. II significato più immediato, tra gli Anni Quaranta e Cinquanta, dell'esistenzialismo positivo fu duplice: Abbagnano intendeva liberare l'esistenzialismo dalla colorazione pessimistica che aveva assunto nella versione di Sartre, e che appariva ancora come un residuo romantico; e anche, spogliarlo di quei toni antimoderni (critica della scienza, critica della tecnica) che aveva preso soprattutto nelle sue versioni religiose, e che Abbagnano considerava un elemento àncora idealistico, contrastante con le vere intenzioni della filosofìa dell'esistenza. Oggi, entrambi questi aspetti dell'esistenzialismo positivo, pur legittimi, non appaiono più così essenziali, rimangono solo caratteristiche d'epoca; ciò che resta, invece, è proprio il significato più generale che l'esistenzialismo positivo riveste per la «trasfigurazione» cui la filosofìa europea è andata incontro negli ultimi decenni, e che esso ha contribuito a preparare. Questo significato è legato in Abbagnano alla centralità che egli riconosce alla categoria della passibilità.- L'esistenza, per. lui, si. caratterizza soprattutto come sfQrz'p verso, l'essere, movimento per trascendere la situazione data; o anche, in termini heideggeriani, come progetto. Questo significa però che l'esistenza è essenzialmente possibilità aperta, sempre librata tra positivo e negativo. La filosofìa, e in generale le scelte della vita quotidiana, devono mantenersi fedeli alla possibilità, che è la struttura essenziale dell'essere stesso. Sul terreno morale, per esempir», ciò significa che una scelta è buona se si decide per un corso di azione che è tale da poter essere sempre di nuovo scelto, da me e dagli altri. Un ladro o un truffatore, per esempio, non possono, volere che tutti rubino o truffino, hanno bisogno di un mondo in cui, normalmente; le cose vadano in modo diverso. Pròprio per il suo carattere essenziale di apertura, la possibilità che costituisce l'esistenza non è qualcosa di astratto, è sempre data come molteplicità di possibilità concrete e determinate: sono quelle che si danno all'uomo nelle varie forme specifiche della sua attività, nella scienza, nella tecnica, nell'arte, nella politica, nel diritto, ecc. Ma allora la filosofìa, che parla della possibilità e ne vuole parlare in concreto, potrà ancora distinguersi dai discorsi specifici che si fanno nei vari campi dell'esperienza? Non dovrà dissolversi totalmente in questi discorsi particolari, cessando di esistere còme sapere specifico? Una soluzione di questo problema, che Abbagnano sviluppò negli Anni Cinquanta, fu quella della filosofìa come metodologia della scienza, che si distingue dalla scienza vera e propria in quanto l'aiuta a precisarsi sul piano dei metodi. Era del resto la visione della filosofìa che proponeva il neopositivismo angloamericano di quegli anni, e Abbagnano contribuì ad aprire il dialogo tra quella tradizione filosofica e l'esistenzialismo, un dialogo che dura tuttora. Negli anni più recenti, tuttavia, sembra essersi fatta strada in Abbagnano un'altra soluzione: la filosofìa conserva il suo senso specifico nel «fecondare le ricerche positive», aiutandole a interpretare i propri risultati e ad evitare unilateralità e dogmatismi. Di fatto, questo può voler dire che, la filosofìa ha .un compito piùVmorale che teorico: è animazione o «edificazione» delle altre attività, un po' nel senso di quel «supplemento d'anima» di cui aveva parlato Bergson. Su questa linea sembrano muoversi i lavori più recenti di Abbagnano, ancora una volta in perfetta sintonia con molta filosofia contemporanea che, in questo senso, eredita, spesso senza saperlo, l'ispirazione più originaria dell'esistenzialismo. Gianni Vattimo