La «vita» a fumetti di Resnais

La «vita» a fumetti di Resnais La «vita» a fumetti di Resnais E' la storia di un vecchio cartoonist che approfitta dell'invito a un festival parigino per tentare di ritrovare la figlia - Protagonisti: Adolph Green, Laura Benson e Depardieu - Sceneggiatura di Feiffer PARIGI — Alain Resnais sta girando una commedia. Inutile fingere uno stupore fuori posto: dopo Mèlo, che era una tragedia borghese, come sempre il regista va altrove, in cerca d'altro. Il copione di I Want to go Home è del grande cartoonist americano Jules Feiffer, romanziere, autore teatrale, disegnatore, sceneggiatore del Popeye di Robert Altman, autore da trent'annl d'ima storia a fumetti settimanale per il Village Voice pubblicata da cento giornali di tutto il mondo, il film racconta la storia di Joe Wellman, vecchio cartoonist vulnerabile e deluso che approfitta dell'invito a un festival del fumetto a Parigi per tentare di ritrovare sua figlia, andata a studiare nella capitale francese, della quale non ha più notizie da due anni. Inseguimenti, equivoci, appuntamenti mancati, urti innumerevoli contro la barriera della lingua: riuscirà il nostro eroe, interpretato dal mitico veterano di Hollywood Adolph Green, a ritrovare la sua creatura? Avrà un'avventura con Micheline Presle, padrona d'un castello? Arriverà a comunicare con il suo più entusiasta fan francese, l'inconsueto professore universitario Gerard Depardieu? «/o griro un film per vedere come gira — dice Alain Resnais —. Ancora una volta, non so cosa ne verrà fuori. Rosa o nero? Miele o cioqpolata amara? Bisogna conservare questo sentimento d'incertezza, è essenziale: se no, tanto varrebbe pubblicare il copione e basta. Certo è tormentoso: continuamente hai voglia di indirizzare i personaggi, e invece non bisogna... Comunque, mi piacerebbe che I Want to go Home fosse una pochaUe. Sono andato a guardare nel dizionario la definizione originaria, non teatrale, della parola pochade: sorta di abbozzo a colorì, eseguito con qualche pennel■ lata. Diversamente dallo schizzo, la pochade è di per se stessa un quadro...: Sorride: 'Una pochade girata in sessanta giorni, e con molti soldi: contraddittorio, no?: Resnais non è mai perentorio; azzarda ipotesi che subito smentisce, non dice mai 'credo, penso; mentre dice spessissimo «mi pare». «Mi pare—dice—che per me sia un vantaggio girare un film parlato in americano all'ottanta per cento. Non ho bisogno di far credere che conosco l'America. Sono un po' nella situazione di Yvan Passer e Milos Formàn, tutt'e due cecoslovacchi, quando cominciarono a lavorare negli Stati Uniti. "L'esilio linguistico", m 'ha detto Passer, "dà idee che nella propria lingua madre non vengono, mette in movimento zone inesplorate del cervello"». Racconta la genesi del film, il suo incontro con Feiffer: 'All'inizio siamo partiti da un titolo proposto da me, Stranted on the Riviera: Stranted vuol dire, mi pare, intrappolato, incantonato. Un americano abbandonato, che non parla una parola di francese, si ritrova in un posto di sogno... Poi abbiamo deviato su una versione intitolata Les faux amis (Ifalsi amici). Un gioco linguistico: volevamo costruire dialoghi con termini americani e francesi somiglianti come suono ma dissimili come significato, per esempio il classico "eventually" che non vuol dire "eventualmente" ma "finalmente". Gli effetti ottenuti non ci piacevano, però durante questo lavoro erano nati i personaggi. Jules m'ha detto: "Questo Joe Wellman, comunque, è simpatico". Abbiamo dovuto accettarlo con il suo carattere insopportabile e commovente, abbiamo dovuto seguirlo... Attenzione: I Want to go Home non è un kolossal sul fumetto. Non vorrei si ripetesse l'equivoco di Stavisky il grande truffatore, con la gente che s'aspettava una biografia di Stavisky mentre il film cominciava dopo la sua morte». n regista dice che l'uscita di Roger Rabbit, che mette insieme disegni animati'e esseri umani, non l'ha per niente infastidito. Anzi. Heppcat, il gatto disegnato dal suo protagonista Joe Wellman, non si mescola alla realtà come il coniglio dì Zemeckis: è un'emanazione dei pensieri di Wellman, sta nel regno dell'immaginario e ci resta... Confessa Resnais: 'Ho sempre amato moltissimo le storie per immagini- preferisco questa definizione al termine "fumetti". Se sono stanco, prendo un libro. Se mi sento in forma, prendo un fumetto: lì bisogna fare attenzione all'illuminazione, alla posizione di ciascun personaggio, al suono dei dialoghi... Un'arte, mi pare, può venir definita attraverso il numero di decisioni che è necessario prendere per renderla concreta. Ogni strìscia di fumetti richiede un numero incredibile di decisioni: ne desumo quindi che il fumetto è un'arte». Daniele Heymann Copyright «Le Mondee per l'Italia «La Stampa-

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