Le Filippine fuori dal tunnel con una iniezione di contanti

Le Filippine fuori dal tunnel con una iniezione di contanti Manila negozia con il Fmi un prestito triennale di 900 milioni di dollari Le Filippine fuori dal tunnel con una iniezione di contanti Ma spesso il governo non riesce ad utilizzare gli aiuti - Si parla di un «piano Marshall» per il Paese © FINANCIAL TIMES MANILA — Dopo 18 mesi di stabilità polìtica, l'economia delle Filippine, per anni grande invalida del continente asiatico, appare molto migliorata. I medici internazionali rimangono attorno al capezzale del paziente, sorvegliando le necessarie trasfusioni di contanti. Ma dall'86, anno in cui Marcos è fuggito, la fiducia va aumentando. Pochi analisti credono che lo Filippine abbiano trovato la strada giusta per diventare un Paese industrializzato o una nuova Thailandia, attualmente la destinazione preferita dagli investitori asiatici. Ma il Paese non è più agonizzante e si trova piuttosto alle prese con una serie di problemi risolvibili. Tra questi c'è la carenza di beni di ogni genere, dal cemento alle bottiglie di birra, e una insufficienza dì energia elettrica che potrebbe far sentire i suoi effetti già dalla fine di quest'anno. E mentre le esportazioni sono cresciute di oltre il 20% nell'88 le importazioni hanno subito un'accelerazione ancora maggiore, influenzando negativamente la bilancia dei pagamenti. Gli imprenditori locali sono convinti che la crescita del Pil (6,7 per cento lo scorso anno) porterà solo problemi a breve termine. Il boom dell'edilizia, per esemplo, ha fatto raddoppiare i prezzi dei terreni in alcune zone di Manila. Ma la gente è fiduciosa anche riguardo alla minaccia più seria per la crescita: un debito estero di quasi 29 miliardi di dollari. Sebbene le spese del debito stiano riducendo la loro influenza sul Pil, rappresentano sempre il 37% delle entrate in valuta estera ed il 45 per cento del bilancio nazionale. Il Senato ha approvato una legge per cui il finanziamento del debito deve essere ridotto al 20% dei guadagni derivanti dalle esportazioni. Ma è improbabile che la Camera accetti una norma che potrebbe legare le mani dei responsabili della politica finanziaria del Paese nei loro negoziati con il Fondo monetario internazionale e le banche private. Ma il sostegno al governo potrebbe venire a mancare se i negoziatori filippini non riusciranno a finanziare il disavanzo della bilancia dei pagamenti con nuovi prestiti da parte del Fmi e delle banche private, e tramite accordi multilaterali. Sebbene i colloqui con il Fmi si siano interrotti il mese scorso, molti banchieri, funzionari filippini ed economisti, pensano che un accordo sarà praticamente inevitabile quando riprenderanno le trattative. In primo luogo se i negoziatori filippini, che sono dei moderati, dovessero essere sostituiti il loro posto sarebbe probabilmente preso da fautori della riduzione del debito. Secondariamente tutti gli altri negoziatori vogliono che il Fmi dia la sua benedizione alla politica filippina, concedendo un prestito di 900 milioni di dollari in tre anni. H Giappone, che finanzia cospicuamente le Filippine, applica una pressione ulteriore sul Paese congelando alcuni aiuti fino a quando non verrà firmato un nuovo accordo con il Fmi. Questo accordo riaprirebbe anche le trattative con le banche private, da cui le Filippine vorrebbero 1,6 miliardi ^i dollari, e porterebbe ad un aggiornamento dei debiti da parte dei Paesi creditori. Secondo alcuni sarebbe anche la base per una sorta di piano Marshall, finanziato da Usa e Giappone, che potrebbe portare al Paese 5 miliardi di dollari in cinque anni. Restano i problemi della finanza pubblica: il governo cerca di migliorare la raccolta fiscale, ma intanto non riesce a usare 3,8 miliardi di dollari di aiuti, che rimangono fermi perché Manila non riesce ad approvare in tempo i programmi di spesa. Richard Gourlay