In Italia c'è una terra promessa di Andrea Di Robilant

In Italia c'è una terra promessa A Ladispoli seimila ebrei russi dopo la «chiusura» delle frontiere Usa In Italia c'è una terra promessa Lasciano l'Urss approfittando della politica di Gorbaciov - Ora, costretti a fermarsi, stanno cambiando la cittadina - Il cinema è diventato una sinagoga, la scuola non basta - Il sindaco: «Così i conflitti saranno inevitabili» DAL NOSTRO INVIATO LADISPOLI — Prima di pranzo si riuniscono attorno alla fontana di piazza Vittoria, con le borse della spesa al braccio, per fumare una sigaretta e raccogliere le .ultime notizie. E in questi giorni non sono mai rassicuranti: ogni settimana che passa l'elenco degli ebrei russi respinti dagli Stati Uniti si allunga. Fino a poco tempo fa, i rifugiati in transito a Ladispoli, un paese a trenta chilometri da Roma, non avevano motivo di preoccuparsi: in meno di un mese erano sicuri di partire per gli Usa. Il numero di ebrei russi che riuscivano a lasciare l'Unione Sovietica, del resto, si era ridotto a poche centinaia all'anno nella prima metà di questa decade. L'avvento di Gorbaciov ha messo tutto a soqquadro. Ormai ottengono un visto d'uscita nel giro di tre mesi: se prima se ne andavano col contagocce, ora è un flusso continuo. Nel 1987 hanno lasciato l'Unione Sovietica in 6 mila, l'anno scorso in 10 mila e quest'anno le organizzazioni ebraiche prevedono più di 30 mila rifugiati. Contemporaneamente, gli Stati Uniti hanno cominciato a chiudere le maglie, sostenendo che in fondo non si tratta più di rifugiati politici. Il 15 settembre scorso, per la prima volta, il Dipartimento di Stato ha cominciato a respingere le richieste. Oggi i visti negati sono già 550. E Ladispoli, una cittadina balneare di 15 mila abitanti, si sta rapidamente trasformando. Oli ebrei russi che vi risiedono sono circa 6 mila, più di un terzo dell'intera popolazione. In piazza Vittoria ormai si parla solo russo e all'ora dello «struscio», quando il sole scivola sotto l'orizzonte e i rifugiati vengono fuori a passeggiare con il colbacco in testa, sembra davvero di respirare l'aria salmastra di Odessa. Attorno alla «fonlania» — così gli emigrati pronunciano una delle pochissime parole d'italiano che imparano durante la loro permanenza — c'è un pullulare di cambiavalute russi, traduttori, guide che offrono brevi escursioni nel circondario. E' anche il luogo dove i rifugiati si scambiano pettegolezzi e informazioni sugli appartamenti che si liberano. La loro presenza si sente ormai in tutta la città. Il cinema Arena è stato trasformato in una sinagoga. La scuola ebraica, che fino a pochi anni fa era deserta, ha più di cinquecento studenti e ora ha bisogno di altri locali. Il centro sociale, dove si ascolta musica e si gioca a ping pong, è così affollato che bisogna gridare per farsi sentire. Gli emigrati non possono lavorare in Italia. Un'organizzazione ebraica, The American Jewish Joint Distribution Committee (AJJDC), fornisce ad ognuno di loro un contributo mensile per le spese essenziali durante la permanenza a Ladispoli. Alla fine dello scorso anno, lo stipendio è stato ridotto per la prima volta perché la raccolta di fondi non riesce a stare al passo del vertiginoso aumento di rifugiati. Una famiglia di quattro persene ora riceve un milione e 40 mila lire al mese. Un «single», appena 420 mila lire. Ma, nel frattempo, il prezzo degli affitti è salito alle stelle. Un appartamento di una stanza costa dalle sei alle ottocentomila lire al mese, mentre un bicamere non si può avere per meno di un milione. I nuovi arrivati tendono a cercare casa a Santa Marinella, Cerveteri e nei paesi vicini. Nonostante la presenza sempre più massiccia dei rifugiati russi, i loro rapporti con la popolazione locale sono rimasti buoni. Né da una parte né dall'altra vengono denunciati episodi rilevanti di intolleranza o di violenza. Del resto questa piccola città, fondata alla fine del secolo scorso dal principe Ladislao Odescalchi, viene considerata un luogo di transito ideale a causa del numero elevato di «seconde case» che rimarrebbero vuote in inverno se non ci fossero i rifugiati ad affittarle. La città, insomma, ci guadagna ad ospitarli. Ma Siro Bargiacchi, sindaco democristiano di Ladispoli, comincia a preoccuparsi. Dice: «C'è un'atmosfera che non mi piace. E' vero che ancora non ci sono stati fenomeni di rigetto. Ma sappiamo che quando una popolazione estranea aumenta rapidamente, fino ad oltrepassare una soglia di sicurezza, s'innescano inevitabilmente dei conflitti. Finché sono 2-3 mila la situazione non preoccupa. Ma oggi sono più di seimila e cominciamo ad avere timore». Il partito comunista, che governa la città assieme alla democrazia cristiana, ha già presentato un'interrogazione in Parlamento per avere chiarimenti da parte del ministero dell'Interno sul nuovo atteggiamento degli americani. E sullo stesso argomento si interrogano ogni giorno i rifugiati attorno alla 'fonlania» di piazza Vittoria. •Non riusciamo a capire in base a quale criterio gli americani diano il visto a una famiglia e lo neghino a un'altra», dice Sergey, giunto da Odessa due settimane fa con la moglie e due figlie. «Non c'è un sistema di selezione, ma piuttosto una lotteria, un tiro della monetina. E questo sta generando molta apprensione, soprattutto tra i più anziani di noi, che hanno affrontato un lungo viaggio e ora contemplano un futuro pieno di incertezze». Tutti gli ebrei russi che emigrano sbarcano a Vienna e li si dividono: una minoranza prosegue verso Israele, mentre gli altri vengono a Ladispoli in attesa di ottenere visti per gli Stati Uniti, il Canada o l'Australia. Solo il dieci per cento degli emigrati sceglie di andare in Israele, ma il governo di Gerusalemme adesso vuole sfruttare la chiusura delle frontiere da parte del governo americano per incrementare quella per¬ centuale. 'Si cerca di persuaderli a scegliere Israele, lavorando con loro in modo sottile», spiega Merrill Rosenberg, direttore del Hebrew Immigration Aid Service, l'organizzazione che si occupa delle pratiche dei rifugiati e del loro trasporto. Un modo «sottile» è di mettere a loro disposizione corsi di cultura e religione ebraica e di proiettare documentari su Israele. n rabbino Hirsch Rabiski, un trentunenne dallo sguardo severo e dalla barba incolta, è stato mandato a far proseliti dall'ufficio di New York del Movimento di Lubavitch, un'organizzazione che si occupa di diffondere la cultura ebraica nel mondo. Dice: «Gii ebrei che escono dall'Unione Sovietica non hanno avuto modo di studiare la loro storia, la loro religione. Non sanno nulla di nulla. Non sanno chi era Davide, chi era Mose, chi era Salomone. Il novantanove per cento dei rifugiali non sa nulla di sé e noi siamo qui per aiutarli a identificarsi con la loro nazione». Ma l'opera del rabbino Hirsch Rabiski non è facile. Lo spiega con parole molto semplici un ragazzo di Mosca, Anatoly Gurievitch, la cui richiesta di espatrio negli Usa è stata respinta poche settimane fa. Ora lavora come guida turistica e sogna ancora di andare un giorno a New York: «Mi piace Israele, ma voglio andare in America». Andrea di Robilant

Persone citate: Gorbaciov, Hirsch, Joint, Ladislao Odescalchi, Merrill Rosenberg, Siro Bargiacchi