In attesa della samba rossa

In attesa della samba rossa NEL BRASILE INQUIETO, TRA GENERALI E GIUNTE DI SINISTRA In attesa della samba rossa Dopo 21 anni di dittatura militare, una svolta sorprendente - Dal 1° gennaio tutte le maggiori città sono governate da sinde :i rossi - L'intera America Latina segue la «rivoluzione» ancora confusa e populista - Ma la Borsa di San Paolo e il mondo degli affari danno segni di paura - A novembre la prima verifica: le elezioni presidenziali dirette DAL NOSTRO INVIATO RIO DE JANEIRO—Il municipio di Rio è un vecchio e nobile edificio mal frequentato. Somiglia poco al Palazzo d'Inverno. La gente ci fa la coda sotto il sole dell'estate australe, e le mosche ronzano nell'aria appiccicosa; i poliziotti che sudano poggiati a un muro bianco si puliscono lentamente i denti con l'unghia. Sembrano fotogrammi di Herzog, ma la rivoluzione è cominciata anche dentro quei muri ili" gennaio, senza grandi clamori. Nei suoi cent'anni di repubblica, questo Brasile esplodente e irresistibile ha vissuto di tutto: 9 dittature, 4 presidenti deposti, 19 ribellioni militari, fi dissoluzioni del Parlamento, 12 stali d'assedio, 7 diverse carte costituzionali. Sono le storie dell'America Latina, uguali dovunque: dì generali intriganti, polìtici corrotti, grandi e ottuse oligarchie della terra, slanci intensi di utopismo, e poi la miseria infinita e disperata dei tanti milioni di gente qualunque. Bolivar e San Martin hanno percorso però altre strade, e il Brasile era l'unico Paese del continente, forse, a non avere avuto la sua rivoluzione, nemmeno quando Fedro II cedette alle beghe di coloni infuriati dall'abolizione della schiavitù. Era il 1889, e ipochi resti di quell'Impero oggi vengona consumati senza rimpianti nelle gite frettolose che le agenzie offrono ai turisti inalati di samba, portandoli per mezza giornata di svago culturale tra i giardini e i palazzi bianchi di Petrópolis. Con la puntualità ironica dette coincidenze che nessuno cercava, ora, allo scoccare del secolo da quel passato fatto ormai soltanto di marmi convenzionali e di muschio grigio, in Brasile arriva anche la rivoluzione che mancava'dot suo calendàrio 'di doveri sudamericani. E la storia del continente può mettere fi nalmente a posto le sue pagine ben ordinate. Ancora è una rivoluzione atipica, che non ha avuto grancasse, né mitraglia, né moti di piazza; e che forse sarebbe anche ingiusto chiamare rivoluzione. Ma nelle latitudini senza fine dell'America Latina, la complessità dei fenomeni politici stenta a ritrovarsi dentro lo schema ereditalo dalla cultura onnicomprensiva dei Conquistadores: e revotyfltón, o revolucao per i brasiliani, è un concetto da far indossare indifferentemente ai guerriglieri di Castro o di Ortega come ai processi riformistici dell'Apra peruviana o della signorina Erundina, fresco sindaco marxista di San Paolo. (La retorica travolgente delle lingue iberiche, e le ambizioni dei governanti di queste terre, arrivano poi a inventare, senza ironia, come fanno i messicani, perfino la Rivoluzione, Istituzionals)i.i:- i Questa del Brasile, comunque, una qualche revolucao lo è davvero, perché dal 1° gennaio non solo San Paolo o Rio, ma anche Belo Horìzonte, SantoS e tutte le grandi città, sono governate-da sindaci di sinistra: e per" un Paese àhe^ha ancora -sut^oUo il fiato dei generali, dopo 21 anni di dittatura militare e un breve interregno fatto di ambiguità e compiacenze, il cambio del segno politico va* le quanto uno'strappo dram* degli anni del silenzio. La sinistra che ha vìnto, anzi stravinto, le elezioni di qualche settimanafa è una sinistra confiisa, populista, radicale, teologica, sognatrice, anche arrabbiata e al limite della rivolta. Più,cfte un'alleanza sociale è una, somma intricata e litigiosa di tensioni e di speranze. Male *vene aperte» del continente che Oaleano aveva denunciato malico iteUàlunga memorta^ nell'amarezza della sconfitta alcuni anni fa, ora sono tornate a pulsare con passione. Oggi l'intera America latina guarda a questo Brasile, incerta se credere, e quanto credere, a un processo di irasformazione nei rapporti di potere che passa per altre vie da quelle, tradizionali, di Castro, del Che, degli stessi senderisti perduti lungo le inaccessibili gole andine di un ideologismo tardomaoista. E mentre Castro, il Che, anche Ortega, netta geografia ridotta dette loro rivoluzioni nazionali rappresentavano la trasgressione dell'Ordine, e solo la pericolosa tentazione del Lyisordine, il Brasile che è il gigante vero del mondo latinoamericano — l'ottava potenza industriale dell'Occidente, pur con tutte le sue mi- ^erie e i morti di fame nette strade di ogni giorno — diventa la minaccia di un modello affascinante e credibile. La revolucao è ancora solo ai suoi primi passi La Borsa di San Paolo l'ha registrata con una brusca caduta dei valori azionari, e dollaro è montato verso una decisa rivalutazione già nette prime ore dopo la pubblicazione dei risultati elettorali; era la paura, che comincia a farsi vede¬ e . o a a i è e i ¬ re dietro le comode abitudini del mondo degli affari, una paura ancora stupefatta ma già diffusa. Aloisio Azevedo, uno studioso delle strutture politiche, dice: «Stiamo vivendo la prima grande sconfitta dello Stato coloniale, il panorama politico del Brasile ne risulta trasformato profondamente». A Rio, questa mutazione ancora non traspare: i riti del mercato internazionale del turismo continuano a consumare indifferenti le loro giostre multilingue, e dietro la cinta dei grandi alberghi l'altro Brasile — quello vero, dei disperati senza domani — trascina ignorato nella violenza di sempre le sue giornate affamate di vita. In questo Paese, vasto quanto un continente (nei suoi 9 milioni di chilometri quadrati ci sta comoda l'intera Europa, e resta ancora spazio per un altro paio di Italie), hanno coabitato pacificamente due mondi che neanche si sfioravano, quello di una società opulenta, sviluppata, moderna e consumista, e un mondo di povertà e di fame, di 30 milioni di bimbi che nascono vivono e muoiono abbandonati nette strade delle città. Qualcuno aveva coniato il nome di f Belindia, fondendo i dati dello sviluppo del Belgio e i parametri detta miseria indiana, ma il miracolo di questa fusione stava tutto nello stacco imperturbabile che comunque divide le due società nazionali. Un paio d'anni fa, al tempo dette illusioni del Plano Cruzado, quando sembrava che il Brasile stesse per esplodere di ricchezza e di ottimismo, ero venuto a trovare il decano dei sociologi della politica, il prof. Helio Jaguaribe, un gran vecchio solido è allegra. Jaguaribe aveva appena preparato per il suo Paese l'Enciclopedia del futuro possibile, un sostanzioso compendio di 400 pagine, dove si raccontavano al governo del presidente Sarney gli scenari del Brasile per l'anno Duemila. E nel vento generale di euforia che allora s'incontrava a ogni angolo di strada, lui predicava attenzione e misura. Mi aveva detto: «Siamo lo Stato con le più forti contraddizioni e le disuguaglianze più aspre; qui il 20 per cento dei più ricchi guadagna i tre quarti della ricchezza nazionale, mentre il 20 per cento dei più poveri deve vivere con appena 112 per cento di quella ricchezza. La netta sproporzione di queste cifre rappresenta un percorso verso la catastrofe, rischiamo di continuare su una strada dove le disuguaglianze alla fine provocheranno l'esplosione di conflitti». E il voto che ora ha portato i municipi per la prima volta sotto il controllo integrale delle sinistre parrebbe un nuovo passo lungo quel percorso, segnando l'apertura reale di un processo di transizione rivoluzionaria Ma il prof. Jaguaribe ancora una volta si sceglie una posizione poco conformista, che rifiuta il contagio dette paure improvvise e irrazionali II deterioramento degli equilibri sociali non gli appare irreversibile: «H capitalismo che stiamo realizzando, dice, attraversa la fase delle diversificazioni sociali II successo clamoroso dei partiti della sinistra è la conseguenza inevitabile di due fattori contemporanei: la crescita di una classe operaia articolata, moderna, e la caduta improvvisa degli stili di vita della nascente borghesia, distrutta da un'inflazione incontrollabile». Nell'analisi di Jaguaribe la revolucao torna a mettersi da parte, almeno per qualche tempo ancora. La fase politica segnata dal voto a sinistra non è l'inizio di una transizione, ma piuttosto un passaggio netta modernizzazione di questo Paese e, anche, il prodotto della sua crisi finanziaria: lo sfascio dei conti denuncia un'inflazione del 1000 per cento, cioè più di un punto al giorno, e diventa impossibile tener dietro con successo al crollo dei prezzi. Ma il Brasile non è un nuovo Cile, perché le tensioni nella società, e i voti dell'elettorato, ancora non si raccolgono in modo credibile attorno a poli capaci di catalizzare la crescita organica, e le reazioni, della protesta popolare. Qui non c'è ancora un Attende che sappia interpretare i desideri di una classe compatta e consapevole, e non c 'è nemmeno il progetto di una conquista del potere per una gestione socialista dell'economia; il controllo dei governi municipali ha un valore dirompente, ma resta ancora soltanto una dichiarazione di principio, alla quale dovrà seguire la concretezza convincente e quotidiana dei risultati pratici nella vita della gente. Soltanto dopo, sarà possibile immaginare che la rivoluzione elettorale sia diventata una rivoluzione e basta. Quando c'incontrammo con Jaguaribe, due anni fa, nella stanzetta della Facoltà di Sociologia, il vecchio professore poneva giusto il tempo di un biennio come limite allo scatenarsi dell'inferno, se non fossero intervenute riforme adeguate nella distribuzione detta ricchezza. Il biennio è passato e le riforme non sono arrivate; non è arrivato nemmeno l'inferno, ma certo il voto a valanga sulle sinistre lo anticipa e, forse, anche lo annuncia. Viaggiando in questi giorni il Brasile della politica e dell'economia, i ministeri eleganti della sua capitale perduta nel vuoto, le banche strapiene di dollari e di moneta senza valore, i grattacieli lucidi dei suoi centri direzionali, dovunque si respira un'inquietante atmosfera d'attesa. Come in un gigantesco scenario di Beckett, politici e finanzieri raccontano inutili parole infinite e girano a vuoto recitando inconsapevolmente la commedia detta sfiducia, del dubbio, forse anche della paura (dei personaggi di Beckett non hanno però la statura, e perciò non sanno nemmeno riprenderne l'angoscia). L'attesa durerà soltanto 11 mesi, giusto il tempo per arrivare alle elezioni presidenziali dirette, a metà novembre, quando il Brasile chiuderà definitivamente i conti con il proprio passato militare e si sceglierà senza tutele l'avvenire politico. Ma anche questo Godot potrebbe non arrivare mai Nelle elezioni dì qualche settimanafa, un elettore ha riconosciuto tra gli altri cittadini in coda al. seggio il generale Joao Figueiredo, l'ultimo presidente della dittatura, e gli ha detto che, se si candidasse anche a novembre, lui lo voterebbe. «Sempre che questo voto alla fine ci sia», gli ha risposto, sorrìdendo, U vecchio militare. E sembrava dire di un'attesa che non si chiude mai Mimmo Candito Rio de Janeiro. Un poliziotto presidia la strada di una favela: poco lontano dai grattacieli sopravvivono zone di miseria estrema

Persone citate: Aloisio, Azevedo, Beckett, Bolivar, Herzog, Joao Figueiredo, Mimmo Candito, Ortega