«A Kabul ma senza comunisti»

«A Kabul ma senza comunisti» Intervista a re Zaher mentre Mosca conferma il ritiro «A Kabul ma senza comunisti» «Un partito che porta questo nome non può far parte del governo di transizione» - «Per ora è difficile fissare una data per il mio ritorno, ma prima è meglio sarà» - «A Najib direi: dimettiti alla svelta» - «Se la maggioranza vuole una Repubblica islamica, non c'è nessun problema» MOSCA — "Il ritiro delle truppe sovietiche sarà completato secondo gli accordi entro il 15 febbraio» lo ha confermato in una Intervista alla televisione sovietica il comandante dell'Armata Rossa a Kabul, Gromov. Nell'intervista (non è stato però precisato in quale data è stata rilasciata) il generale'ha ribadito che «il piano del ritiro è già stato messoapuntO'. A Roma il ministro degli Esteri Andreotti si è incontrato con Zaher, il re afghano che vive in esilio in Italia. Sul contenuto del colloquio non sono emerse indiscrezioni. Pubblichiamo alcuni stralci di un'intervista concessa da re in esilio. NOSTRO SERVIZIO — Allora, maestà, preparate i bagagli? «Oh, sapete, la situazione è così instabile, così in evoluzione, e c'è una così elevata percentuale di imponderabilità. Per ora è difficile fissare delle date ma prima sarà, meglio sarà». — Avete posto delle condizioni per il ritorno? «No, nessuna condizione, né richiesta personale. Il mio ritorno in Afghanistan dipende solamente dalla volontà del popolo e per quanto mi riguarda sono pronto a svolgere il ruolo o la missione che questi vorrà affidarmi. Ho sempre conservato in me la speranza di ritrovare il mio Paese, si intende una patria indipendente e libera da qualsiasi occupazione straniera, naturalmente...... — L'avete detto ai sovietici? Come è stato il vostro colloquio del 24 dicembre con Vorontsov, l'inviato speciale di Gorbaciov? «E' stato uno scambio di vedute, mi ha illustrato le sue posizioni, che si sono allineate con le mie, che sono conformi ai voleri del popolo afghano, cioè indipendenza, integrità territoriale, diritto alla autodeterminazione». — Alcuni capi dei mujaheddin a Peshawar (Hekmaytar dell'IIesu-I-islami in particolare), hanno detto che i sovietici con questo incontro non cercavano altro che dividere la resistenza. «Queste reazioni vengono da gruppuscoli che possono dire quel che vogliono. La visita di Vorontsov si inquadra in una serie di contatti che i sovietici hanno deciso di avviare con gli afghani». —Anche con il governo comunista di Kabul? Dareste udienza al suo capo, Najibullah, se lo chiedesse? «...No, questo governo è illegale e illegittimo e questo perché il popolo in massa si è ribellato contro di lui...». — Ma se ve lo trovaste di fronte cosa gli direste? «Dimettetevi. Dimettetevi alla svelta e lasciate posto a un governo di transizione». — Ne farebbero parte i comunisti? «No, un partito che ha questo nome non può avere un ruolo in questa fase, perché non è accettabile per la maggioranza dei miei concittadini. La condizione per il successo di un governo di transizione è che possa disporre della fiducia dei cittadini e che sia coerente». — D'accordo, ma come fare? «Noi pensiamo a una loya jirga (una grande assemblea tradizionale degli uomini), rappresentativa di tutta una componente della società in modo che possa pronunciarsi nella legittimità e nella legalità». —Avete contatti con un gruppo di mujaheddin. Che pensate di loro? «Ho sempre avuto contatti con...... — ...tutti i gruppi? «VI riferite a quelli di Peshawar o ai comandanti dell'interno?». — Peshawar. «Sì.tutti. Direttamente con alcuni, indirettamente con altri... Ma per tornare alla vostra domanda, ci sono molte valutazioni e progetti diversi». — E allora, nell'attesa, bisogna continuare a combattere fino alla caduta di Kabul, dopo il ritiro dei sovietici? «Spero che in un futuro molto vicino, prima del ritiro totale dei russi, gli sforzi che sono stati avviati in tutte le direzioni ottengano dei risultati. Molti sforzi sono dedicati attualmente a questo obiettivo, lo sapete. Detto questo, se il comunismo afghano può essere analizzato in due periodi distinti, prima e dopo l'intervento sovietico, e se questo comporta pure due fasi, prima e dopo l'avvento di Gorbaciov al potere, per gli afghani non c'è che un lungo periodo di lotta e di sofferenze. Il ritiro sovietico è un atto positivo, ma l'importante è l'autode¬ terminazione, che bisogna realizzare». — Non c'è un ruolo per l'Onu? «Sì, gli compete preparare e organizzare il perìodo di transizione». — Veniamo al futuro. La Repubblica in Afghanistan è un fatto irreversibile, c quale forma deve assumere? Islamica, teocratica o laica? «Tocca al popolo decidere con metodi democratici. Per me il problema non sì pone nemmeno». — Voi avrete certo una preferenza. «Per la verità nessuna». — Una Repubblica islamica non vi preoccuperebbe? «L'Afghanistan ha sempre preservato i suoi valori islamici e le sue tradizioni nazionali. E' una parte vitale della sua esistenza. Penso che qualsiasi governo, per essere legittimo e, spero, democratico, dovrà perseguire una linea conforme alle aspirazioni del popolo musulmano dell'Afghanistan. Se la maggioranza vuole una Repubblica islamica, nessun problema». Patrice Claude Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa»