All'inseguimento del tartufo bianco di Sandro Doglio

All'inseguimento del tartufo bianco All'inseguimento del tartufo bianco UN altro anno se ne è così andato, senza che siamo riusciti a raccogliere i «nostri" preziosi tartufi. Viviamo su una collinetta monferrina nel cuore della regione del tartufo bianco: giù nella valle, di notte — fra settembre e dicembre — si aggirano ombre e si sente il fioco abbaiare dei cani. La nostra, non c'è dubbio, è una zona ricca di tartufi, una di quelle che i cercatori della regione definiscono «una buona pastura». Dove poi si trovino, questi benedetti tartufi, nessuno lo sa con matematica precisione, se non i raccoglitori; quando se ne parla, i contadini della zona ammiccano misteriosi, fanno discorsi vaghi. Un buon trifolau (cosi si chiamano in Piemonte i cercatori di questo aromatico e costoso «fungo ipogeo a forma di tubero», come lo definiscono gli esperti) non svela mai i suoi terreni di raccolta, non ammette estranei nelle sue riserve segrete. Ma noi sappiamo per certo che la nostra piccola valle è ricca di tartufi bianchi. Per via dei cani e delle galline e delle oche di Ann, tuttavia, il piccolo.pezzo di terra che circonda la nostra vecchia casa è cintato, e quindi i trifolau non possono venire a prendere i tartufi nel nostro fazzoletto di terra. E noi da tempo ci ripromettiamo di cercarceli da soli. Per cercare tartufi, però, ci vuole un cane specialmente addestrato: il cosidetto labui, di solito un bastardino dal fiuto infallibile. C'è chi li sa addestrare, lo fa per professione o quasi, e guadagna quanto un cercatore, dato che un cane da tartufi davvero bravo può valere milioni. Invece i nostri simpatici cani — ahimè abilissimi a correr dietro ai gatti, a immobilizzare e spennare le galline che hanno la sventurate, idea di uscire dalla cinta del pollaio, furiosi e temuti guardiani contro postini, zingari e venditori ambulanti di passaggio — di tartufi proprio non capiscono niente. Abbiamo provato a farglieli annusare: la cosa li ha lasciati del tutto indifferenti, forse anzi vagamente disgustati. Li abbiamo incitati a frugare nella terra ai piedi della grande quercia, a ficcare il naso tra le radici dei noccioli e dei salici, a passeggiare avanti e indietro a lungo all'ombra del tiglio — sono gli alberi che più di tutti «fanno- i tartufi — ma i risultati sono stati deludenti. I maschi ne hanno approfittato per alzare più volte la zampa; una delle femmine una volta si è rotolata pancia in su e voleva carezze, del tutto indifferente alle ricchezze gastronomiche che supponiamo esserci in questo minuscolo pezzetto di terra. Abbiamo pensato di cercarli noi stessi, zappetta alla mano: ma il risultato è che abbiamo scavato qualche dozzina di inutili buchi, senza trovare altro che pietre, radici, un vecchio isolatore di ceramica dell'elettricità, qualche bulbo di fiore selvatico e un mucchietto di ossicini appartenenti a chissà quale animale sepolto da tempo immemorabile. «Senza canejion riuscirete mai a trovarli», ci ha spiegato un vecchio cercatore: «I tartufi sfuggono all'uomo; dovreste mettere sottosopra tutto il terreno, e anche così mettiamo, che devono esserci i più belli, anche perché è proprio sotto quella quercia che meticolosamente andiamo a gettare da sempre quei pochi grammi di terra che raschiamo con delicatezza dai tartufi che compriamo: sembra che contenga le spore che li fanno nascere). Parlavamo, dunque, di questo altro anno di «nostri» tartufi non raccolti; facevamo addirittura ipotesi di allevarci un cagnolino per specializzarlo in questa profumata ricerca. Immaginavamo questo ipotetico cane dal naso finissimo scavare con affanno, mettere alla luce un bel tartufo bianco, e scodinzolare felice in attesa del meritato premio (una crosta di pane e una carezza: i cani da tartufi si accontentano di poco). Ma Ann per consolarci sostiene che forse tutto sommato è meglio così. Noi siamo certi che sotto i nostri piedi ci sono giganteschi e profumatissimi tartufi, divino condimento di fondute e tajarin, delizia per il gusto di due uova al burro o, addirittura, tocco da re su uno zabaglione al Barolo (l'abbiamo visto fare da Roberto Beltramo a Caselle, e l'abbiamo assaggiato: una gradevole sorpresa). Anno dopo anno ci crogioliamo nel piacere di sapere che abbiamo una piccola ricchezza — e soprattutto un frutto prezioso della terra — a portata di mano. E' una specie di supplizio di Tantalo, «Ma se poi, venendo un trifolau con il cane più bravo del mondo, ci dovessimo rendere conto che, nella valle regina dei tartufi, proprio nel nostro piccolo pezzo di terra non ce n'è Invece neppure uno?», sostiene Ann, sapendo che si è ricchi quando si crede di avere; mentre sì diventa poveri quando si scopre di non avere nulla. CI stiamo insomma arrendendo. Ci teniamo l'illusione di poter ogni giorno camminare su una ricchissima pastura di tartufi: e ci consoliamo pensando che le cose più belle sono quelle che si desiderano, e tali restano fin che si possono sognare. non trovereste probabilmente niente. C'è la magìa...». Un po' di superstizione non può mancare attorno a questo tartufo, che fino a ieri non si sapeva neppure che cosa fosse, né come, né da dove nascesse. A dozzine, senza esagerazione, sono gli amici trifolau che ci hanno proposto e promesso di venire un giorno con 11 loro cagnolino specializzato a cercare tartufi nel nostro piccolo recinto: «Vengo appena la luna cambia», «Una di queste sere arrivo con Diana, e vedrà...». Ma, autunno dopo autunno, lì stiamo sempre aspettando: una volta non sono riusciti a combinare, un'altra volta noi ci eravamo dovuti improvvisamente assentare; poi 11 cane aveva il raffreddore o che so io... Anche quest'anno, insomma, i «nostri» tartufi sono rimasti nascosti all'ombra del tiglio, del salice o del nocciolo: e ormai la stagione è finita. Cosi restiamo con questo desiderio inappagato dì vedere un cane-specialista annusare l'aria e precipitarsi ai piedi della gran quercia piantata da mio padre (è lì, ci scom¬ Sandro Doglio

Persone citate: Roberto Beltramo

Luoghi citati: Piemonte