Sanvitale difendo il romanzo psicologico di Francesca SanvitaleMario BaudinoFrancesca Sanvitale

Sanvitale: difendo il romanzo psicologico La scrittrice agli incontri dell'Associazione culturale italiana Sanvitale: difendo il romanzo psicologico TORINO — La realtà è un dono, spiega nel titolo della sua ultima raccolta di racconti Francesca Sanvitale; ma non certamente un banale regalo. Per capirlo e accoglierlo ci vuole scavo, impegno, lavoro. Nel caso della scrittrice cresciuta a Firenze alla scuola di De Robertis e da tempo attiva a Roma si tratterà in particolare di scavo e lavoro psicologici, per capire e narrare che cosa lega e divide la gente, qual è 11 senso del nostro stare con gli altri. Ma per far questo sono necessari degli strumenti: le scienze umane, le moderne tecniche di indagine della psiche. Francesca Sanvitale ne ha discusso ieri pomerìggio al Teatro Alfieri per i «Venerdì letterari» dell'Associazione culturale italiana. «Un narratore e le nuove frontiere della psicologia» è il titolo della sua conferenza nella quale parla di sé e della tradizione del «romanzo psicologico», dalla grande fioritura nell'800 con autori come Stendhal (di cui si è occupata come saggista) alle crisi e trasformazioni del '900. Il romanzo psicologico, spiega, è stato un genere letterario preminente in un'altra epoca, ma non ha più corso. — La sua narrativa però, da II cuore borghese al successo di Madre e figlia, nell'80 (tutta edita da Mondadori e disponibile anche negli Oscar), è tramata proprio di situazioni e di atmosfere che potremmo definire «psicologiche», dai rapporti interper¬ sonali alle tensioni tra genitori e figli, o tra partner. «Sì, perché il mio tentativo è quello di catturare il divenire anche psicologicamente. 1 nostri romanzi sono pieni di modi verbali come "pensò", ma non ci dicono o non sanno dirci che cosa si nasconda dietro quel "pensò"». — Allora che cosa la interessa come scrittrice: il romanzo psicologico o il problema della psicologia? •Veda, certo non intendo mettermi in rapporto diretto con una tradizione che è definitivamente chiusa, perché era diverso l'uomo che veniva rappresentato dal romanzo psicologico ottocentesco. Però è sempre l'uomo, un altro uomo, quello che viene rappresentato oggi nei nostri libri, e mi sembra assurdo non affrontarne un'indagine aggiornata». — Di qui le nuove frontiere della psicologia come strumenti per lo scrittore? «La certezza ottocentesca di conoscere se stessi e gli altri è caduta con i primi anni del '900. E la nostra ci. viltà tecnologica ci bombarda di immagini cui manca però un quadro generale. La comunicazione diventa assai complicata, ma almeno abbiamo degli appigli. Se continuiamo a trattare i personaggi come nipotini di Madame Bovary, potremo magari scrivere delle cose piacevoli: io però mi pongo il problema di ciò che è cambiato, e lo sento molto legato alla vitalità stessa del romanzo». — E' una critica ai romanzieri italiani? «No, credo che il romanzo italiano sia vitale. Diciamo che a me interessano le tematiche psicologiche perché le trovo centrali. Non avrei mai osato descrivere, in L'uomo del parco, una mente scissa se non fossi stata affascinata dalle letture dei testi di Laing o Bateson sulla schizofrenia». Mario Baudino Francesca Sanvitale

Persone citate: Bateson, De Robertis, Francesca Sanvitale, Laing, Mondadori, Sanvitale

Luoghi citati: Firenze, Roma, Torino