Per Kraus il mondo è solo un plagio di Luigi Forte

Per Kraus il mondo è solo un plagio Il polemista che incendiò Vienna: una biografia e una raccolta di scritti da «La Fiaccola» Per Kraus il mondo è solo un plagio Kraus in un disegno di Kokoschka Tesi con una scella di lesti della Fiaccola aurata da Michele Cometa dal titolo Elogio della vita a rovescio (154 pagine, 20.000 lire). Di fronte alle oltre ventimila pagine complessive della rivista, i brani qui presentati sono poca cosa, sufficiente comunque per capire che tale autore è stato un unicum in tutto il panorama della cultura europea e, come nessun altro, ha vivisezionato ogni minuto brandello della sua epoca. Un suo illustre ed ideale allievo, Elias Canetti, ha definito Kraus -un segugio del suo tempo:- radicato come pochi nella realtà di Vienna, dove visse per tutta la vita, ma attento alle grandi tragedie moderne; maniaco del dettaglio e della polemica su fatti contingenti e locali e inesorabile difensore dell'autenticità dell'uomo in un'epoca che egli vede segnata da una sorta di generale mercimonio. Dietro le grandi battaglie di questo Don Chisciotte ossessionato dalla visione apocalittica di una natura decaduta ed offesa, si cela la convinzione che il mondo sia ridotto ad un plagio totale, vittima di frasi fatte e clichés, monotono e ripetitivo brusio in cui il Verbo, la verità sono declassati a chiacchiera. Kraus ha previsto ed intuito il mondo contraffatto del postmoderno. In uno spassoso FU come un terremoto. Qualcosa si lacerò di colpo, travolse il ritmo sonnolento ed abitudinario di Vienna, iniettò nelle sue vene il perfido veleno della polemica, incendiò animi paciosi e provinciali. Riferisce un testimone oculare, il socialista Robert Scheu: «E venne un giorno che tutto diventò rosso, fin dove l'occhio poteva arrivare. Un giorno così Vienna non l'ha più vissuto. Sussurri, bisbigli, brividi! Per le strade, sui tram, nel parco, tutti leggevano un quaderno rosso...». Un giovane venticinquenne, Karl Kraus, nato in Boemia nel 1874 da un'agiata famiglia di commercianti ebrei, metteva a soqquadro la vita culturale della capitale asburgica. Il primo numero della sua fiammante rivista La Fiaccola stava andando a ruba in quell'aprile del 1899. Le poche centinaia di copie, destinate soprattutto alla provincia, diventarono in pochi giorni diecimila. Un successo che ebbe del prodigioso, se si pensa che nessuno, tanto meno in campo giornalistico, avrebbe investito un centesimo in tale impresa. Kraus invece investi la sua slessa esistema pubblicando per ben trentasette anni e scrivendo, quasi esclusivamente da solo, la rivista. La Fiaccola, che raggiunse anche una tiratura di 38.000 copie, fu uno dei giornali in lingua tedesca più letti e diffusi. Il tono era corrosivo ma leggero, la lettura agevole e gustosa, l'ironia penetrante e inesorabile. La voce che si levava da quelle pagine di controinformazione era nuova e inedita' pronta a sparare a zero sulla corruzione della borghesia, su violenza ed arbitrio, su ipocrisia e doppia morale, decisa con maniacale ossessione a non lasciarsi intimorire da nulla e nessuno. Lo apprendiamo da una biografia politica di Kraus, autore l'austriaco Alfred Pfabigan, recentemente tradotta per l'editore Lucarini, un libro ricco di dati ed informazioni, specie sul difficile rapporto che legò per un certo perìodo lo scrittore alla socialdemocrazia, e tuttavia nell'insieme un po'scolastico e noioso, insensibile al fascino linguistico e all'intelligenza eccentrica e straniante del grande satirico austriaco C«Karl Kraus. Una biografia politica», traduzione di Paola Sorge, 255 pagine, 22.000 lire). Possiamo però rifarci, dopo tante severe e pedisseque digressioni, andando à lèggere' udirettamente-Kraus: ci aiuta orato Studio collage sull'universo dellaréclame contenuto neWElogio della vita a rovescio, si leva come un grido di dolore l'interrogativo: «Esiste dunque una vita al di fuori dei cartelloni pubblicitari?». E' un dubbio che tormenta anche noi a ottantanni di distanza, convinti che questo caustico messaggero di un più reale umanesimo, come lo vide Walter Benjamin, sia l'ultimo profeta di un tempo irrecuperabile. Gran maestro del genere aforistico isi vedano i suoi Detti e contraddetti, a cura di Roberto Colosso, Adelphi 1972) come, prima di lui, solo Lichtenberg e Nietzsche, Kraus è un difensore accanito del linguaggio, che egli ritiene prostituito e corrotto dal giorna. lismo (famosi restano i suoi attacchi al quotidiano liberale di Vienna, la Neue Freie Presse); è imo strenuo paladino di regole e gerarchie grammaticali in cui lenta di condensare un'ultima organica immagine del mondo prima della fine. Così recita un suo aforisma: «Viene il diluvio universale, io vivo nell'arca di Noè. Non mi si può quindi rimproverare se ho accolto nelle varie gabbie ogni bestia e ogni tipo di verme secondo la specie». La sensazione della catastrofe lo trasforma in una sorta di entomologo e collezionista, in mio spregiudicato antiquario di for- me ed immagini, voci e suoni nell'ultima parala del mondo prima del Giudìzio Universale. Nel suo capolavoro, l'irrapresentabile dramma in ottocento pagine Gli ultimi giorni dell'umanità (a cura di Roberto Colosso, Adelphi), Kraus ha catalogato come una sola immensa citazione il divenire di una tragedia — la prima guerra mondiale — e l'ansante ritmo della vita nel suo tormentoso inabissamento. Qui miscuglio linguistico, dissonanze di tragedia e farsa, severità documentaria e comicità dei couplets generano un senso di vertiginosa sperimentazione, in cui il disordine dell'orrore non intende più sottostare alla serenità e al gesto liberatore dell'arte. Anche in ciò Kraus fu inesorabile: nello scrutare fino infondo l'insensatezza per colpirla con l'arma micidiale della satira. Certo il modello di autenticità e purezza che egli contrapponeva alla negatività del mondo era stato vanificato da gran tempo. Se ne accorse lui slesso quando non trovò parole per esprimere l'angoscia di fronte alla guerra o all'ascesa di Hitler. Eppure nessuno come lui ha saputo porsi dalla parte delle vittime, scendere nell'arena a combattere, per esempio, a favore delle donne. Uno dei soliti sferzanti aforismi può riassumere il suo punto di vista: «La donna può fare solo ciò che vuole l'uomo, ma solo se non lo vuole lei». Eppure su questo terreno Kraus non è riuscito a trasformarsi in un vero paladino dell'emancipazione, troppo legato, com'era, ad una metafisica dei sessi in cui la donna risveglia e rende fertile lo spirito dell'uomo, una femmina-natura che, come la Lulu di Wedekind, sgretola ogni morale borghese. Kraus, quell'ometto gracile dalla voce tagliente e mossa, in grado di elettrizzare durante le sue pubbliche letture centinaia di persone imponendo la dittatura della sua parola, ha innalzato con la Fiaccola non solo un inappellabile giudizio contro stupidità ed imbroglio, malvagità e violenza, ma anche una solida muraglia difensiva: fino ad isolarvisi completamente. Sulla soglia di un'epoca destinata a sconvolgere il mondo, egli ne scruta già le macerie c si avvolge in un silenzio di durissima quanto inutile condanna. Luigi Forte Kraus, al centro, tra Adolf Loos e la baronessa von Borutin

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