Ci seduce ancora la poesia di Saba «onesta e brutta»

Ci seduce ancora la poesia di Saba «onesta e brutta» Tutti i suoi versi nei «Meridiani» Ci seduce ancora la poesia di Saba «onesta e brutta» E, difficile dire, oggi, se l'ingresso nella collana di Mondadori «I Meridiani» corrisponda a una consacrazione accademica definitiva, anticamera dell'immortalità, un po' come accade per la «Plèiade» francese, ó non si riduca piuttosto a un'operazione editoriale di prestigio. Nei «Meridiani» si trovano, di poeti contemporanei, Gozzano, Cardarelli, Ungaretti, Montale, Quasimodo. Ma rischiano dì rimaner fuori, e per ora ci stanno, Rebora e Campana, in attesa di Palazzeschi. L'ultimo accolto, quest'anno, è Saba, in un'edizione che si raccomanda per tre buone ragioni: la molto bella, fascinosa introduzione di Mario Lavagetto; la cura di Arrigo Stara, con un ricco apparato di note; la completezza della raccolta, col recupero delle poesie disperse o cadute dall'ultimo Canzoniere. Perciò un bel libro, utile sia per una risistemazione mentale delle proprie ragioni sabiane (in attesa delle prose, la grossa sorpresa potenziale, avendo ormai rinunciato all'epistolario, dopo trent'armi di rinvìi), sia per. una riconsiderazione della sua presenza oggi. Un'occasione si ebbe già con i congressi celebrativi del centenario sabiano. Un'altra, di riflesso, mi sembra potrebbe cogliersi nella contemporanea pubblicazione di tutte le poesie di Rebora, da Garzanti, nel senso di due «casi» in qualche modo analoghi. Di «fuori giro», che tra loro rimandano non uno stile ma un'idea della poesia. E un uso della poesia, una funzionalità. Lontano dalla poesia pura ma anche dal sublime parodiato dei crepuscolari. Saba offre due chiavi di lettura, e sono quelle che utilizza pure Lavagetto, due chiavi proposte dallo stesso poeta come due poli di attenzione, complementari ovviamente, già nella Storia e cronistoria del Canzoniere. Una psicologica e una stilistica. Come vero e bello. Che s'incontrano in quella struttura lirica e narrativa, di «romanzo» più che di confessione, tipicamente sabiana. Ciò corrisponde un poco all'Innesto problematico di due culture, la triestina e l'italiana, Vienna e Firenze, Freud e Carducci-Pascoli-d'Annunzio, che connotano la linea di sviluppo della sua poesia. Saba vive, insomma, in quel carrefour culturale che è la Trieste austriaca ma egli «si sente» italiano. E lui sta in mezzo a questa duplice tensione e tentazione. In cosa consiste questa sua italianità? Più di molti suoi contemporanei (Ungaretti e la Francia, per dare un esempio grossolano) Saba ha voluto fare i conti con la grande triade incombente, oltre che con i modelli ormai accademici del lirismo, Petrarca-Leopardi, muovendovisi in mezzo come nell'unico terreno per lui praticabile. Costruendo con quei segmenti la sua inconfondibile scrittura. Molto italiana, ripeto. Molto mediterranea, tra romanzo e melodramma, liticati. Il romanzo, però, di un unico protagonista, girato e rigirato impietosamente attorno e dentro le piaghe e le bellezze di Berto, innocenza e malizia, coll'universo mondo a suo supporto. Impietoso verso di sé, sia chiaro, quanto luminosamente pietoso col mondo, con gli altri, con gli uomini, con la gente, con i suoi corrispondenti personali (la moglie, la figlia, gli amici, alcuni giovani, i commilitoni...) cosi come col genere in sé. Umilmente e superbamente. Tra pietà e' brama. Tra aspirazione a confondersi, normalizzarsi, ed esaltazione della propria poetica virtù. Tra comunicazione e terapia. Tra la «malattia» e 11 compiacimento dei propri mali, distintivi. Tra un'apparente semplicità é un reale complicatissimo intrico. il tutto ambientato nella più difficile delle situazioni, condizionante, con l'impero absburgico e Trieste irredentista, la Voce e la prima guerra mondiale, il fascismo e le persecuzioni razziali, illusioni e delusioni del secondo dopoguerra; che non è davvero poco per uno come Saba, che si affida sempre alla concretezza della storia. Di quel romanzo il poeta è un bel personaggio, perciò (un personaggio sveviano? un tardo romantico?), tra i più complessi e affascinanti (persin patetici) della nostra narrativa moderna, ancorché esibito e mascherato di semplicità. La semplicità artefatta (fatta ad arte) dello stile. Qui cade la domanda: perché mi interessa ancora? Per le ragioni di cui sopra, naturalmente, ma soprattutto per quanto vi è di irrisolto, irrisolvibile, nella sua poesia, per il mistero di una poesia «onesta» e «brutta». E seducente. Non solo, ma dirò che ora, e ancora, mi attira il primo Canzoniere, quello del '21 (qui ricomposto), per la convinzione che il senso o il succo del mistero sia racchiuso lì, avanti la conversione, se così si può chiamarla, alle scaltrezze moderne, «belle», di Parole, di Ultime cose, di Meditarranee... Va da sé che non si tratta di giudizi di valore, ma della sensazione, se non della convinzione, che l'originalità di Saba, i motivi della sua tenuta, i suoi connotati più autentici siano da ricercarsi in quella prima stagione. Qui si parla del Saba delle «cose» e degli «uomini» (oltre che di Trieste), del rispetto e della fiducia nelle «cose», il più ingenuo e scoperto e indifeso. Che pure è quello che già risolve il presente in sé, nel- : l'atto di scrivere. Contraddizione? Man mano che si compromette ctìtì le «"cose» Saba cerca un affidamento metastorico, che valga per sé come per tutti gli uomini di tutti i tempi e i luoghi, utopico e acronico, riabilitando quello che i romantici, lì alle porte, chiamavano «eterno» o «universale». O «natura». A ciò Saba perviene accogliendo tutte le prosposte, pescando tutte le offerte disponìbili, ma mimetizzandole, truccandole, riducendole a sua misura e immagine, cioè appropriandosene (d'accordo, ci vuole il microscopio per la decifrazione dei contributi). Può darsi che in questa capacità di assorbimento o di possesso stia la sua fiducia nella poesia, come materiale per un'operazione terapeutica o consolatoria o catartica (il melodramma che viene a galla?). Che però è un modo di rimettere in circolo, da un'altra parte, il sociale eluso-escluso dalla metastoricità. Capisco che «consolazione» è termine assai equivoco, qui, specie sapendo che la consolazione sabiana non riposa nella tranquillità di una fede, né ha una sottintesa teologia a sostegno. E' innanzitutto una consolazione ansiosa, di scriverla, di farla, la poesia. Mentre resta il mistero, la misteriosità di un meccanismo che produce piacere a dispetto degli elementi che lo compongono, se le sue sono poesie «brutte» che generano un piacere sconcertante. Come mai una certa quantità di fastidio (il «brutto») alla fine riesce a trasformarsi in un fremito piacevole? Il brivido del rischio? Forse in questa contraddizione inconciliabile, in quella diabolica innocenza, sta la scommessa vinta dalla poesia di Saba. Folco Portinai-i Saba, «Le poesie», Mondadori, 1230 pagine, 49.000 lire.

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