Nel turbine con Bach e Mozart

Nel turbine con Bach e Mozart IL LIBRO POSTUMO DI GLENN GOULD, PIANISTA GENIO Nel turbine con Bach e Mozart Da Schumann a Bartók non sono così rari i musicisti che sanno scrivere, soprattutto quando scrivono di musica, E sono sempre attesi da chi vuole conoscere l'opinione del produttore sul prodotto che gli appartiene. Come vorremmo poter trovare uno scritto di un Salteri sull'opera di un Mozart oppure leggere un Gershwin che racconta l'arte di Ravel, Gii Evans che riflette su Puccini, Arturo Benedetti Michelangeli ajfabulatore ripiegato sui suoi Chopin o Debussy. Insomma la voglia matta è infine quella di sentire un genio che parla di un altro genio e lo fa con la cultura (detto con una bruita parola: la competenza) di chi condivide quel medesimo mestiere: «deeds not words», fatti non parole: musica e non solamente letteratura. Arrivare al nocciolo della questione. Glenn Gould era un indagatore di quella razza. Si è tanto scritto di lui, uomo e concertista, delle sue stravaganze, del suo anticonformismo, del suo essere originale, forse, a ogni costo. Finalmente leggiamo .Gould. E' lui l'autore, questa volta: L'ala del turbine intelligente (Adelphi). Il libro non è un'autobiografìa, ma le sue pagine fanno queU'effetto, anche. Se Gould scrive di Bach o di Schoenberg (gli amatissimi) parla anche di se stesso. In quelle pagine si intuisce una personalità, quella dello scrittore e del concertista, e intanto si va anche molto più vicini all'opera dei protagonisti. Nessuno, come chi ha letto e poi interpretato una partitura, può raccontare, quando ne è capace, che cose c'è dentro la musica, che cosavogliom significare quelle note, percìvé sono state disposte in quella maniera, che percorsi intende indicare l'autore, da dove arriva, dove vuole andare. Glenn Gould trionfava gio¬ vanissimo con un'incisione ormai eterna delle Variazioni Goldberg: ma il suo Bach scritto è all'altezza di quello suonato e lascerà il segno nella letteratura musicale. Il volume comprende saggi, articoli (tra cui le acute e ironiche interviste a se stesso) scritti in mom.enti differenti. Scriveva molto, anche su commissione. Il suo primo disco lo aveva inciso a 23 anni, nel '55, a New York, in piena estate. Era arrivato in sala d'incisione in una bella giornata di giugno, ma Glenn Gould portava il solito cappotto, un caschetto di lana, la sciarpa attorno al collo e calzava una paio di guanti. Soffriva il freddo sempre, in ogni stagione, aveva cura di sé morbosamente e suonava il pianoforte con un paio di quei guanti che lasciano le dita scoperte (le mitaines delle vecchie madame), «un eccentrico», venne definito, «un genio», verrà acclamato fino alla morte (per ictus, il 4 ottobre '82). Il pubblico per lui delirò «in diretta» fino al giorno in cui, a trentadue anni, decise di uscire di scena, almeno per quanto riguardava le pubbliche apparizioni. Diede l'addio ai concerti: d'allora in poi, Gould sarà un disco. Tanti dischi, e che dischi. Si costruì uno studio d'incisione in casa e vi si rinchiuse: lavorava con con il chiodo del perfezionismo (tecnico, filologico, stilistico). Non amava gli applausi, anzi non amava per niente suonare in pubblico: la gente lo urtava e lui stesso si sentiva fuori luogo nella pompa maestosa del palcoscenico, quasi un re al di sopra dei suoi sudditi. E poi la folla lo disturbava, anche fisicamente. Era uno snob. Uno snob divertente, sottile: «Per Mozart ho fatto del mio peggio», dice in un dialogo mozzafiato e .dissacratore. Poi dichiara, strafottente, l'ostacolo di un'ampia zona d'ombra nella propria memoria musicale, una zona comprendente quel periodo che va da Bach a Wagner: «Tutto ciò che c'è fra questi due estremi riesco al massimo ad amrnirarlo, non ad amarlo», con un'eccezione: Menaelssohn. E' l'ennesima battuta regalata per chiarire e siglare una volta per tutte le proprie scelte, la propria fede di artista e di intellettuale. Storce il naso anche di fronte a Beethoven («qualche riserva», «mi lascia perplesso», pare mormorare con voce forse querula, a mezza bocca, concedendosi) e lo accetta solo in parte ed è un Beethoven minore il suo, non quello da hit parade, quello degli «altri». Giovanissimo, ascolta la «Quarantesima sinfonia» di Mozart- «Non la potevo soffrire». Sarà così per tutta la vita. Detesta la teatralità cui oppone, dice, «la mia anima di puritano». Una sorpresa ma fino a un certo punto: Gould è un estimatore di Richard Strauss, un «gigante del Novecento» (insieme con l'amatissimo Schoenberg). E associa ma distingue i due grandi quando con poche parole scopre una formidabile realtà e mette in dubbio l'equazione: novità = progresso = grande arte. E afferma: «Non credo affatto che un uomo come Richard Strauss, solo perché bollato come incorreggibile passatista dal verdetto degli esperti, sia necessariamente inferiore a un uomo come Schoenberg che fu per tutta la vita un capofila dell'avanguardia. Chi sceglie questo criterio di giudizio scoprirà di dover scartare anche Johann Sebastlan Bach, altro incorreggibile passatista». Il critico ma anche lo scrittore (di classe) emergono già da un semplice capoverso in I un articolo dedicato a I Sctoenoero: «Per molti versi, Schoenberg sembra il soggetto ideale per un film di Ken Russell. Il suo esibizionismo egoico non ha nulla da invidiare a quello di Wagner, anche se la sua vita privata fu relativamente tranquilla (due mogli, cinque figli, svariati cani, un coniglio). Nel 1921, dopo avere elaborato la tecnica dodecafonica, dichiarò modestamente di avere "garantito la supremazia della musica tedesca per i prossimi cent'anni". Vogliamo fare trentacinque?». C'è colore, intuizione, pettegolezzo, psicologia.analisi, critica: in poche righe. «In onore di Ernest chi???» è un capitolo in omaggio al compositore Krenek, e Gould scrive, tra l'altro: «L'anno scorso... tracciavo un parallelo tra Krenek e George Santayana (lo scrittore americano nato in Spagna, n.d.r.): un parallelo di ordine rigorosamente stilistico, perché sarebbe difficile vedere in loro qualche somiglianza di carattere e di opinioni. La mia tesi era che il perfetto senso del ritmo che accomuna 1 due autori può derivare dal fatto che entrambi, avendo imparato l'inglese come lingua straniera, si sentono liberi di arricchirlo con movenze ritmiche tipiche dell'Europa». Lo applaudirono anche nell'Urss. Sbalordì e frastornò i moscoviti con un programma massaciante (e un po' sadico): Bach, Hindemith, Berg, Schoenberg e Krenek. In Italia si sentì parlare per la prima volta di lui nel '61 (grazie a uno Stóckhausen entusiasta). I suoi dischi, tanti, sono in parte reperibili su etichetta CBS. Chi vuole saperne di più su di lui può leggersi quel granbel romanzo che è II soccombente dì Thomas Bernhard (Adelphi): «Non si concedeva la più piccola inesattezza. Solamente dal pensiero estraeva 1 suoi discorsi», eccetera eccetera eccetera. Franco Mondini

Luoghi citati: Europa, Italia, New York, Spagna, Urss