Gauguin, rivoluzioni di un indio

Gauguin, rivoluzioni di un indio GRANDIOSA RETROSPETTIVA DI PARIGI CERCA CARTISTA Gauguin, rivoluzioni di un indio Fu un artista complesso e innovatore - Interprete del mondo di Tahiti, ma anche di quello bretone - Grande sperimentatore di tecniche tra pittura, scultura, ceramica, incisione - L'intenso percorso: dall'impressionismo al sintetismo, al simbolismo, alla scoperta dell'arte «primitiva» - «Ci sono due nature in me, l'india e la sensitiva» PARIGI — Un Gauguin oltre il mito: è questo il senso dell'imponente e grandiosa retrospettiva appena inaugurata al Grand Palais. Il mito dell'artista maledetto ed esotico che lotta sino allo stremo in una lontana isola del Pacifico. «Voi siete un artista strano, leggendario che dall'estremità dell'Oceano, manda opere sconcertanti, inimitabili..», gli scriveva Daniel de Monfreid nel 1902. E lo stesso Gauguin, nei numerosi autoritratti, scritti, lettere, insiste sull'immagine del «selvaggio», richiamandosi alle origini peruviane. «Da parte di madre, discendo da un Borgia d'Aragona, viceré del Perù». «Devi ricordarti, scriveva alla moglie nel 1888, che ci sono due nature in me, l'india e la sensitiva...». Così, a Tahiti sbarcava con capelli lunghi, casco coloniale, tanto che lo chiamavano ì'«uomodonna», a Pont Avcn, in Bretagna, compariva con zoccoli e costume locale e, a Parigi, negli ambienti simbolisti sfoggiava cappa e berretto d'astrakan. Ma, oltre al mitico personaggio, esiste un artista complesso e innovatore non sempre conosciuto appieno al di fuori dell'ambito specialistico. Interprete del mondo di Tahiti, ma anche del bretone, grande sperimentatore di tecniche, come Degas, dalla pittura alla scultura, alla ceramica all'incisione. Con un intenso percorso, che lo porta dall'impressionismo al sintetismo al simbolismo sino alle soglie del Novecento alla scoperta dell'arte «Primitiva». Lo dimostra la retrospettiva, nata dalla collaborazione della Réunion des Musées Nationaux-Musée d'Orsay, della National Gallery di Washington e dell'Art Institute di Chicago (già passata per le due città americane) sponsor Olivetti.e American Telephon and Telegraph. La più grande, dopo le parigine del 1906 e del 1949, raccoglie 276 tra dipinti, sculture, ceramiche, disegni, incisioni e preziosi manoscritti. Cinque anni di lavoro alla ricerca di documenti d'archivio e delle opere, provenienti dai musei di diciannove Paesi del Mondo e da collezioni private. Il tutto documentato in un ricco catalogo (500 pagine, 750 illustrazioni, ed. Réunion des Musées Nationaux, 300 franchi). Opera per opera, ripercorriamo alla mostra le tappe di una vita straordinaria. Gauguin (1848-1903) comincia da outsider. Senza scuola, quasi per caso. Impiegato di banca a Parigi presso Berlin, amico del suo tutore Arosa, fotografo e collezionista di opere d'arte, dipinge per passatempo col collega d'ufficio Schuffenecker (immortalato con la famiglia in una tela dell'89). Ha alle spalle un'infanzia in Perù — dopo la nascita a Parigi — e anni di navigazione per il mondo come' marinaio: esperienze che racchiudono la nostalgia di terre lontane e portano all'insofferenza verso l'impiego. La pittura, anzi l'arte, come i viaggi, lo attraggono. Nel 1876 riesce a esporre un paesaggio al Salon: «Un artista che promette bene», si dice. Nel 1879, grazie all'amiciTia con Pissarro e Degas, due «maestri», entra nel gruppo degli Impressionisti, guardato con diffidenza come «dilettante» da Monet e Renoir. Partecipa alle mostre. Molte delle prime opere, qui raccolte ad apertura dell'esposizione, rivelano un linguaggio impressionista ancora incerto sui modelli: Pissarro nei grandi paesaggi (Meli dell'Hermitage, Dintorni di Pontoise, 1879, Effetto di neve, 1883), Degas nel modernissimo studio di nudo detto Susanna che cuce del 1880, nei tagli audaci (Interno del pittore, me Cartel, 1881), nei nudi (// bagno, 1887) e in medaglioni e cofanetti scolpiti con chanteuses e danseuses. C'è, in tutti, la stoffa del grande artista, ma Gauguin non è soddisfatto. E' alla ricerca di uno stile nuovo e di un ambiente più adatto che lo tolga da Parigi e dalle dispute artistiche del gruppo degli impressionisti. Lasciato il lavoro, l'arte è ormai ragione di vita. Comin- eia il lungo pellegrinaggio, tra difficoltà economiche, che Io porta dall'86 al '90 in Bretagna, a Panama e Martinica, ad Arles. Sono anni di grande sperimentazione e di grossi risultati, di scoperte di stili e di terre, che la mostra rende accostando testimonianze diverse, quasi sconcertanti per la rapidità dei cambiamenti. E' il momento delle prime, bellissime,'prove nella ceramica presso il maestro Chaplet a Parigi, che possiamo ammirare nelle sale accanto alle pitture cui sono strettamente legate: un aspetto poco noto ma importante. Pezzi originali, che rompono con l'eclettica tradizione di Sèvres e a cui l'artista dà La vita di una figura: vasi bretoni, giapponesizzanti, ispirati ai vasi-ritratti peruviani, ceramiche-sculture (la Venere nera), teste come il suggestivo Vaso-Autoritratto (1889) di Copenhagen. In Bretagna, a Pontaven, Gauguin arriva una prima volta nell'86 (e vi tornerà nell'88, nell'89, nel '90, nel '94). Riempie i taccuini di paesani, pastorelli, oche, pecore. Scopre un mondo medievale, fatto di costumi e cuffie, di misteri, paure. Lì, dice, trova il «selvaggio», il «primitivo» e lo dipinge. La famosa Visione dopo il sermone del 1888 di Edimburgo (esposto solo a Parigi) rappresenta la svolta cercata. Con i colori accesi e piatti, e il connubio tra realtà e immaginazione (da un lato le strepitose bretoni incuffiettate, dall'altro, sullo sfondo rosso, la lotta immaginata tra Giacobbe e l'angelo) rompe con l'impressionismo 'e' si impone come prima opera sintetico-'simborisfa. Fatta per una chiesa1, scandalizza ed è rifiutata. Seguono altri capolavori del periodo bretone: La bella Angela, che fa dire alla ritratta, Angelique Satre, «Che orrore», ma che piace a Theo Van Gogh, mercante di Gauguin, // Cristo giallo di Buffalo, l'Autoritratto con Cristo giallo (collezione privata) e tanti altri sino alle nature morte giapponesizzanti. Il distacco dall'impressionismo era cominciato nell'87, durante il breve soggiorno in Martinica (giugno-novembre), dove Gaugin va con l'amico Lavai, preso da un improvviso raptus dei tropici. Ma il paradiso sognato, con frutti a portata di mano, finisce in un drammatico ritorno con malaria e dissenteria. Diverse da quelle bretoni, le tele della Martinica rappresentano lussureggianti paesaggi tropicali e attonite rive marine. Nell'autunno dell'88, tra un salto e l'altro in Bretagna, c'è una sosta ad Arles, presso Van Gogh e il fratello Theo. I due — è noto — non vanno d'accordo, interrompono tragicamente l'amicizia, ma dipingono insieme e si influenzano. Les Alyscampes del Museo d'Orsay, Al caffè del Museo Puskin di Mosca, e poi donne, pagliai, alberi blu di Arles, riflettono innegabili scambi, nonostante lo stile diverso. Nel 1889 l'Esposizione del gruppo impressionista e sintetista, organizzata da Gaugin e amici al Caffé Volpini di Parigi, rappresenta il primo manifesto della nuova estetica. Gauguin vi partecipa con diciassette opere (zincografie, pastelli, dipinti, molti oggi esposti). La mostra va male, l'artista passa il suo tempo nei padiglioni esotici a sognare terre lontane. Così, dopo un altro anno in Bretagna, a Pouldu, dove nascono altre complesse opere (Le piccole bretoni davanti al mare di Tokyo o le Raccoglitrici di algìie di Essen), la decisione: partire per Tahiti. Ma lì, nell'isola della' Polinesia, dove sperava di fondare un «Atelier dei tropici» con gli amici e di vivere a buon mercato mangiando pesce e manghi, le prime delusioni. Tahiti, scoperta nel 1867 dal navigatore Bougainville e diventata colonia francese nell'81, non era più l'isola di sogno descritta da navigatori e libri. Non rimaneva che evocarla con la pittura. I quadri tahitani — che vediamo in numero eccezionale — sono certamente tra i più affascinanti. Grandi superfici di colore violento, incandescente, figure assorte c silenziose, inserite in nature vergini e umide, che coi loro titoli evocano sensazioni misteriose. Ecco Fatunima (Sognatrice, Kansas City), una bella ragazza bruna seduta su una seggiola con un abito fucsia. Ed eccone un'altra del Museo di Worchester, imbronciata e pensosa, con grandi gambe incrociate su una stuoia (acquistato da Degas per la sua collezione). E poi Teha' amana, l'amante quattordicenne del pittore e il superbo la orano Maria (Ave, Maria) di New York, un'annunciazione polinesiana. Una rivelazione sono le sculture lignee ispirate non solo all'arte delle isole Marchesi come il suggestivo Idolo con la conchiglia del 1892 o il Cilindro decoralo con Hina, ma all'arte egizia, indiana come L'idolo con la perla, peruviana, giapponese o anche inventate sui racconti locali. Una grande rottura con la tradizione destinata a nuovi sviluppi nel XX Secolo. Nell'agosto del 1893 Gauguin torna a Parigi. Riprende i contatti con gli scrittori simbolisti (Morice, Aurier. Mallarmé), organizza mostre per far conoscere l'opera tahitiana, si dedica all'incisione su legno. Redige tre manoscritti (L'ancien culto Mahorie, Le chaierpour Aline e Noà Noa di cui è esposta la versione del Louvre illustrata con acquerelli e incisioni originali). La celebre, mostruosa scultura Ovili («selvaggio»), che influenzerà anche Picasso, e tra i capolavori del momento. Ma il richiamo della Polinesia è ancora forte. Dopo i 22 mesi passati nella civiltà, Gauguin torna a Tahiti e poi a Hivaoa, nelle isole Marchesi per passare i suoi ultimi anni. Intensissimi: tele, incisioni su legno (più di 400), disegni, arredi di case (come i pannelli della Maison du Jouire) e ancora articoli e manoscritti. Una quantità di materiale mai sinora messa in rilievo. Le pitture, sempre più attraenti ed enigmatiche, mitiche e monumentali, ricercano un mondo perduto, come quella Te ani valline (La donna del re, del Musco Puskin di Mosca), che entusiasma lo stesso Gauguin: «Ho fatto una tela di'Un metro e 39, ancora' migliore di quanto ho fallo fin qui... Una regina nuda distesa su un tappeto verde». Una traduzione esotica di tutta una cultura occidentale da Cranach a Manet. Maurizia Tazartes Paul Gauguin: «Il Cristo giallo» e «Giovane bretone». La grande esposizione di Parigi rimarrà aperta fino al 24 aprile Paul Gauguin: «Bambine bretoni davanti al mare», tra le opere in mostra al Grand Palais