Libri, cinema e tv teneri con la mafia di Michele Pantaleone

Libri, cinema e tv teneri con la mafia E' mancata una denuncia globale e insistente sui mali vecchi e nuovi del potere mafioso Libri, cinema e tv teneri con la mafia C'è chi inneggia apertamente alle cosche e non soltanto in termini polemici: c'è la consapevolezza diffusa che nulla si muove senza il consenso delle organizzazioni criminali - Una pseudoletteratura tende a esaltare il falso significato dell'onore come avviene ad esempio in «Il padrino» di Puzo Se la cultura avesse qualificato mafiosi i politici-boss «amici degli amici» ed operato a formare la coscienza delle masse, oggi non pagheremmo un prezzo tanto alto all'incomprensione di un fenomeno che grava sulla Sicilia come uno smog morale Il -caso» del sindacalista della Cisl che, qualche settimana fa, di fronte al municipio di Palermo ha gridato •■Viva la mafia», per protestare contro gli amministratori del Comune che non accoglievano le richieste del dipendenti comunali dopo 13 giorni di sciopero, ripropone antichi problemi sociali e morali e nuove responsabilità per la formazione della coscienza e della cultura antimafiosa, fino ad ora in parte trascurate dalle forze del lavoro e dalla cultura. Il sindacalista — di certo — ha espresso la sua protesta con la coscienza di gridare un paradosso: 'Affermazione contraria al comune giudizio e inaccettabile-, solo che non ha tenuto conto che per una tale affermazione (in pubblico, avanti il palazzo del Comune di Palermo, amministrato da un'amministrazione comunale ritenuta anomala, in un Paese ove lo Stato è stato assente da secoli, ed a risolvere le situazioni ingarbugliate dei palermitani sono stati sempre i boss della mafia ed i politici-boss), si presta a tutte le interpretazioni, e può anche dare l'impressione che la città sia ritornata ai tempi bui. quando dal portone del municipio passavano, più o mero allo scoperto, più coppole storte e fucili a canne mozze che berretti e cinturoni di guardie comunali. Il guaio è che il grido «Viva la mafia- del sindacalista palermitano non è un caso isolato e non è sempre gridato come paradosso, perché spesso viene ripetuto da altri siciliani, dentro e fuori l'isola, anche da persone che per la loro collocazione nella società siciliana e per la loro cultura dovrebbero, quantomeno, essere più caute, ed avere maggiore senso della realtà dell'ambiente nel quale le parole vengono gridate. Il 12 novembre ultimo scorso, le stesse parole sono state gridate a Bari durante una mia conferenza-dibattito per la presentazione del progetto «Le mani sulla città- organizzata dal Teatro Kismet. In tale occasione in tutta buona fede un regista teatrale pa- lermitano, dopo avere gridato il suo «Viva la mafia», ha testualmente affermato che «per potere lavorare a Palermo devo passare sotto le forche caudine della mafia, e senza il suo "placet" nella città capoluogo della Sicilia none possibile realizzare cosa alcuna-. E si spiega quindi il cartello portato in giro in un corteo inneggiante Ciancimino, quello nel quale erano scritte le parole -La mafia del lavoro- e le altre analoghe affermazioni che spesso leggiamo a firma di autorevoli uomini di cultura nella stampa siciliana e nazionale. Una tale confusione di idee, destinate a tramutarsi in azioni prò e contro la mafia, impone un riesame degli impegni e delle responsabilità nella lotta per la repressione del fenomeno mafioso, lotta che non può più essere demandata ai tutori dell'ordine e dei poteri giudiziari, perché a tale compito debbono dare valido ed incisivo contributo le forze del lavoro e per esse i sindacati. Nella lotta alla mafia — che è già notevole, e dà i suoi frutti —, i sindacati e le forze politiche alle quali i dirigenti sindacali sono ideologicamente legati, non debbono contenere la loro azione ai cortei, alle dichiarazioni di rinnovato impegno, alle denunzie (pochine, in verità) delle violazioni della legge Rognoni-La Torre in materia di salari e di subappalti, ma debbono assumere maggiore impegno e vigilanza anche sugli indirizzi in materia di mafia e antimafia nei mass-media e in alcuni settori della cultura. Sindacato e qultura dovranno fare le loro riflessioni per nuovi impegni su ciò che oggi rappresenta «letteratura sulla mafia e letteratura della mafia, la Rai e la tv nella lotta della mafia e la Rai e la tv della mafia, la mafia nel cinema e il cinema della mafia». Film come «D. padrino», proiettati dalla tv nazionale e dalle televisioni private con continuità che non ha prece- denti, hanno, sovvertito tutti i vecchi archetipi mafiosi per presentare la mafia come un fatto che può anche fare rabbrividire ma che, in definitiva, ha molto di patriarcale, terribile, ma rispettabile. Il padrino viene presentato come un vecchio capomafia, saggio e onesto a suo modo, rispettoso delle vecchie regole non scritte, secondo le quali l'uomo solo è debole e ritdqfafirnssrap rimane surclassato e fagocitato dalla forza del potere e dalle leggi dello Stato, dalle quali dovrà difendersi ovvero farsi difendere dall'eroe mafioso. Analoghi risultati hanno raggiunto le scene dei film nei quali i grandi boss sono stati presentati come validi sostenitori nelle lotte elettorali di candidati portatori di pseudo-valori democratici e ddqdccvsspif di libertà, contro ogni forma di presunta eversione. La mafia — soprattutto quella americana, al servizio della quale vi sono stati anche uomini di indubbia capacità manageriale — ha manovrato sul piano finanziario, su quello del potere politico e su quello pseudo-culturale per disporre di strumenti idonei per presentare sotto forma di messaggio-informa¬ zione alcuni aspetti della vita americana, infarcita di pseudo-cultura e di falso messaggio politico, con l'evidente scopo di fornire strumenti tecnici per l'ideologia commerciale del delitto, della socialità, della violenza e del sopruso mafioso. Il cittadino, Io spettatore di tutte le età, è stato condizionato e sommerso da una pseudo-letteratura e da una produzione cinematografica che dall'edicola alla tv alla sala_ cinematografica lo ha raggiunto e gli ha imposto di allinearsi e accettare e assimilare l'inconscio messaggio di falso campanilismo e di romanticismo della violenza e del distorto senso dell'onore, in un mondo stanco e nauseato della violenza e della decadenza del costume morale e politico. Nell'Indifferenza generale, senza che vi fosse stata la pur minima mobilitazione della cultura e delle forze del lavoro, la mafia è riuscita a commercializzare un prodotto non morale e non legale e ad un incalcolabile numero di compratori spettatori con il quale ha neutralizzato l'ondata sempre più crescente di preoccupazioni e timori per il diffondersi della droga e per il crescente numero di omicidi, molti del quali onesti funzionari dello Stato. Sotto gli occhi indifferenti degli stessi operatori culturali, la mafia ha potuto e saputo servirsi degli strumenti tecnici di potere, di massa e finanziari ed è riuscita ad ottenere l'inconcepibile e imprevedibile risultato che, oggi—di fronte al crollo di miti, di ideali e di istituzioni —, molti buoni paciosi padri di famiglia italiani e americani rimpiangono il presunto ordine della mafia e il non meno inquietante ordine fascista. E' in questa cornice che si collocano le incomprensioni e le sottovalutazioni del fenomeno mafioso; le strumentalizzazioni di lotta di maniera di veri e presunti comitati antimafia, strumenti elettorali di gruppi di potere e di correnti di partito; le diatribe tra autentici rappresentanti della cultura e abili mestieranti del giornalismo siciliano e nazionale, ed è su questo terréna che a Palermo si creano fronti opposti prò o contro una linea politica vera 0 presunta antimafia, sulla gestione della cosa pubblica, ove tutto rimane fermo ed immutato come se a Palermo, su tutto e su tutti, gravasse una sorta di «smog» morale del quale è difficile se non impossibile liberarsi. Se la cultura avesse in tempo assunto un ben definito ruolo contro la triste piaga della mafia per qualificare mafiosi i politici-boss, gli onorevoli «amici degli amici», 1 ministri compiacenti o collusi e avesse operato per la formazione della coscienza delle masse, per isolare i mafiosi; se i partiti avessero rispettato le loro funzioni e i ° loro ruoli, evitando le «ammucchiate» per la conquista e la partecipazione del potere assieme ad altri partiti notoriamente contaminati dal-. la mafia; se la commissione antimafia avesse presentato, il vero laido volto del sistema di potere politico mafioso senza coprire colpe e responsabilità, oggi non pagheremmo l'incalcolabile prezzo del-, l'incomprensione e della responsabilità di fronte alla triste piaga della mafia. Se la Rai, la tv e il cinema avessero presentato in immagini i rapporti,tra mafia e poteri pubblici, tra boss della mafia e politici-boss, avrebbero aiutato le masse a liberarsi dall'omertà e dal silenzio —la prima provocata dalla paura, il secondo dalla constatazione dell'inutilità della collaborazione con la giustizia —, e le avrebbero abituate a discutere «delle cose viste e sentite», cioè abituate a parlare e testimoniare contro la mafia, oggi noi potremmo dire di essere veramente sul punto di avere eliminato la mafia. Invece purtroppo ci troviamo dinanzi a continui casi-Palermo che denotano la presenza della mafia. Michele Pantaleone II film «Il Padrino» di Francis Ford Coppola tratto dal romanzo di Mario Puzo è uno spaccato perfetto della società mafiosa ti h tit ttti riman uclassato e fagidi libertà contro ogni forma zione alcuni aspetti della vita

Persone citate: Ciancimino, Francis Ford Coppola, La Torre, Mario Puzo, Puzo

Luoghi citati: Bari, Comune Di Palermo, Palermo, Sicilia