di Guido Rampoldi

Armi chimiche, a Parigi si teme un finto accordo Armi chimiche, a Parigi si teme un finto accordo I Paesi arabi non cedono: collegare disarmo nucleare e gas DAL NOSTRO INVIATO PARIGI — Incalzato dalla Francia, Paese ospite, il comitato plenario della conferenza di Parigi sta facendo l'impossibile per elaborare una risoluzione finale a< cettabile sia dagli arabi sia dalle grandi potenze. Ai primi interessa affermare in qualche modo la necessità di legare il disarmo chimico al disarmo nucleare, soprattutto in relazione all'equilibrio strategico in Medio Oriente, dove si confrontano le atomiche di Israele e i gas degli arabi; ai secondi preme invece un impegno solenne della comunità internazionale a rilanciare il negoziato di Ginevra sulle armi chimiche, impantanato da 15 anni. Le faticose trattative avviate sin da lunedi sembrano destinate a concludersi con una soluzione di compromesso che nasconderà dietro una cortina di parole il conflitto emerso nel dibattito. A tarda sera alcuni delegati interpellati dalla stampa hanno espresso ottimismo: la soluzione sulla quale stavano convergendo i consensi — ha spiegato il portavoce dei Paesi non allineati — non menziona il nucleare ma riconduce l'impegno a bandire la produzione, lo stoccaggio e l'uso di armi chimiche nel contesto più generale del disarmo. Restava da risolvere ancora un problema: come alludere ai massacri compiuti dagli iracheni con armi chimiche senza urtare la suscettibilità di Baghdad, che è tornata a minacciare di disso¬ ciarsi dal documento finale. Così, un capolavoro di ipocrisia potrebbe chiudere nell'unanimismo questa conferenza nata sotto il segno di molte ambiguità. Agli effetti pratici, forse il negoziato di Ginevra avrà un sussulto e potrà ripartire in qualche modo; ma difficilmente andrà lontano, essendo chiaro che gli arabi non rinunceranno alle armi chimiche se contestualmente Israele non rinuncerà alle atomiche. Questa ricomposizione del «fronte arabo» sulla questione delle armi chimiche è, nel bilancio politico della conferenza, uno degli aspetti più vistosi. Ne potrebbe beneficiare soprattutto l'Egitto, per rinsaldare un quadro di alleanze messo in crisi dalle relazioni con Israele. Proprio agli egiziani si sono affidati gli arabi in questi giorni per ottenere che il documento finale della conferenza recepisse anche le loro ragioni. Ponendosi sul fronte opposto, l'Urss ha marcato una posizione nuova anche rispetto al conflitto mediorientale. Ancora ieri il viceministro degli Esteri, Viktor Karpov, ha ripetuto il «no» di Mosca alle tesi arabe sul legame tra armi chimiche e nucleari. Questa linea, apprezzata da Israele, deve avere deluso alcuni vecchi partner mediorientali di Mosca, in primo luogo la Siria. Ma adesso l'Urss è nelle condizioni di affiancare gli Usa in una mediazione per risolvere la crisi mediorientale. Un primo segnale in queste senso viene dal numero uno della diplomazia sovietica, Shevardnadze; i colloqui con gli israeliani in margine alla conferenza, ha detto in un'intervista a Le Figaro, "potrebbero rivelarsi molto utili». Tuttavia probabilmente non era questo il primo obiettivo dei sovietici. Schierandosi nel campo occidentale proprio in un momento di tensioni tra Usa e alleati europei, l'Urss si è proposta a questi ultimi come un interlocutore più duttile e rispettoso di Washington. E l'appeal sovietico verso gli europei potrebbe crescere se l'amministrazione Reagan, in carica per altri dieci giorni, deciderà di colpire con un'azione militare la fabbrica libica di Rabta. Un'evenienza che il magro bilancio di questa conferenza, lanciata dall'enfasi muscolare della diplomazia americana, porta a non escludere. Guido Rampoldi

Persone citate: Shevardnadze, Viktor Karpov