IL NODO DELLE RIVOLUZIONI

Liberi e uguali IL NODO DELLE RIVOLUZIONI Liberi e uguali Nel 1831 Pierre-Louis Roederer, un veterano della Grande Rivoluzione, pubblicò un saggio sull'Esprit de la Revolution. Recentemente, Mona Ozouf ne ha ricordato un illuminante passo, dal quale risaltano in piena luce i complessi nodi che legano le due fatidiche parole «libertà» e «eguaglianza» (e con esse «proprietà»). Dal 1789 in poi queste parole hanno dominato la coscienza politica contemporanea. Chi ha esaltato l'una a scapito dell'ala tra; chi le ha esaltate insieme; é( chi ha rigettato entrambe. 'Roederer affermava, da un lato, che la rivoluzione aveva stabilito l'inseparabilità dei due concetti (la quale si esprime anche quando per esaltare la libertà si fa la critiea,dpU'eguaglianza o viceversa); .dall'altro, che però il modo di considerare questi stessi concetti'era stato e continuava a essere fonte di mai risolte controversie. 11 passo di Roederer suona esattamente cosi: 'Benché la proprietà, la libertà, l'uguaglianza siano concetti inseparabili, essi possono tuttavia essere considerati dalle nazioni in modo disuguale, possono trovarsi suddivise in maniera molto diversa, avere Un'esistenza più o meno perfetta. (...) Tra l'uguaglianza dei diritti e l'uguaglianza di fatto, e tra le superiorità reali e le superiorità di opinione alle quali l'uguaglianza dei diritti autorizza ad aspirare, vi è una grande distanza (...)». * * Un simile problema, quale quello dell'importanza di libertà ed eguaglianza e della plurivalenza e persino contraddittorietà dei loro significati e implicazioni, mi veniva in mente ascoltando — al convegno svoltosi su questo tema il 16-17 dicembre qui a Torino presso la Fondazione Rosselli — la relazione di Steven Lukes. Questi, infatti, citando i punti di vista di Berlin, Kolakowski, Milton Friedman, Nozik, Hayek, Rawls, e altri, giunge oggi nella 'sostanza^ alla .hYectèsiinà, conclusione 'à cui' èra giuncò Roederer, vale a dire la pluralità e la conflittualità dei signi ficati. Tanto che parla di due concezioni essenziali: «Laprima secondo cui la libertà e f eguaglian za entrano in contraddizione l'una con l'altra in maniera irreconciliabile o basilare"; «la seconda per la quale esse entrano in tensione ma possono essere riconciliate nel qua dro di un unico contesto teorico». Lukes a un certo punto si domanda come siano da interpretare ■•queste dispute intorno al fatto se libertà ed eguaglianza siano in contraddizione oppure possano essere portate a coincidere». E mi pare significativo che non tenti una risposta, preferendo informare sui termini teorici e astratti della grande controversia. Un elemento che molto colpisce nel dibattito attuale (e in particolare lo si è potuto constatare in questo convegno,' al quale hanno presentato relazioni anche Francesco Forte, Martin Hollis, Nicola Matte-ucci, John Gray, Bruno S. Frey e Werner W. Pommerehne) è la riduzione delle concezioni socialiste marxiste della libertà ed eguaglianza a residui assai poco attivi. Si tratta di un dato interessante, che induce a riflettere sul ' problema sempre cruciale di quali condizioni di consenso sociale e culturale siano alla radice delle tematiche teoriche e ne determinino l'attualità. Nelle linee maestre la problematica odierna sul nesso libertà-eguaglianza è largamente dominata dal confronto che oppose il neo-contrattualista John Rawls, autore dell'ormai celebre Una teoria della giustizia del 1971, e il neo-liberista Robert Nozick, che nel 1974 rispose con Anarchia, Stato, Utopia. . . Rawls si fece teorico di un'idea di giustizia, la quale postulava che: «primo.-, ogni persona ha un uguale diritto alla più estesa libertà fondamentale compatibilmente con una simile libertà per gli altri. Secondo.- le ineguaglianze sociali ed economiche devono èssere combinate in modo da essere a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno; b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti». Nozick rispose a Rawls sostenendo che affermare a priori un sistema di diritti dei meno favoriti contraddice i principi di libertà, i quali possono risultare garantiti unicamente in uno Stato le cui funzioni siano ridotte al minimo: «Qualsiasi Stato più esteso violerebbe (violerà) i diritti degli individui». Come dicevo, il dibattito odierno è sempre più ricondotto entro questi termini essenziali. L'idea socialista che la libertà possa essere fondata solo sull'eguaglianza creata dalla scomparsa della massima fonte della diseguaglianza, e cioè la proprietà, nòti ha più còrso. £' Invece' in"ballo il confront^ijra coloro- che ipotizzano un mercato e rapporti sociali quanto più affidati alla propria autoregolazione e coloro che cercano di difendere, sia pure attraverso una riduzione giudicata necessaria dei suoi ambiti, lo «Stato del benessere» dagli attacchi del neoliberismo. Questa linea è stata di gran lunga prevalente fra i relatori presenti al convegno della Fon: dazione Rosselli. Al punto che quasi ne è emersa una pur articolata rassegna di obiezioni alla linea che potremmo chiamare Hayek-Nozick. A partire da Forte, che ha sottolineato l'urgenza bensì di ridefinire il volto dello Stato del benessere, i non di affossarlo. Poiché a quest'unica condizione è possibile per l'individuo «avere non solo spazio di scelte», ma anche la «dotazione effettiva di mezzi» che dà senso alle scelte scesse. Certo, la crisi della vecchia concezione assistenzialiscica appare chiara in Forte, là dove egli dice che lo Stato del benessere dovrebbe «aiutare ad aiutarsi, , non meramente aiutare». Una posizione non dissimile da quella di Hollis, che, premesso di voler, «argomentate in favore dell'eguaglianza in nome della libertà» e criticato a fondo Nozick* 'finisce conducendo un attacco 'contro il thatcherismo accusato di ridurre le persone ad «atomi sociali, legati solo dalla razionalità strumentale df uri .nesso., contabile». . : 1.1: .** E a James Buchanan è alla sua concezione dei rapporti fra libertà, mercato e Stato si ispira John Gray. La libertà può non entrare in conflitto con l'eguaglianza a patto di non contraddire quella «conveniente distribuzione della ricchezza» la quale forma il substrato morale e sociale di un'autentica società liberale. Possono il mercato e il sistema dei prezzi vivere di vita propria? Bruno S. Frey e Wener W. Pommerehne rispondono negativamente. Analizzando le basi di legittimazione ecica del mercato risultanti da interessanti indagini empiriche condotte in Svizzera e Germania, essi arrivano a sostenere che meno che mai è attualmente pensabile un sistema dei prezzi meramente regolato dal rapporto domanda-offerta. Esistono pressanti vincoli di natura etica (fatto sul quale ha insistito in' .un noto saggio Amarcya Sen), in conseguenza dei quali, ad esempio, «quanto più un bene ha carattere dì prima necessità, tanto meno viene accettato il sistema dei prezzi». Un convegno, insomma, interessante, Certo rappresentativo in particolare di quella corrente di pensiero che sjmuovei tra liberalismo sensibile ai vaio-, ri sociali e la socialdemocrazia. —-Per"parte -sua~Nieol*-'Mat-' ceucci ha rivendicato che non solo il liberalismo «sta ridiventando attuale» e quindi occorre ripensarlo, ma soprattutto che la sua essenza non sta nelle dottrine astrane né nei valori mecastorici, bensì nella sua capacità o meno di «disegnare un possibile ordine politico». In effetti, anche a me pare che di ciò in primo luogo si tratti. Poiché le diverse sfide teoriche trovano su questo terreno, vale a dire nel nesso con la capacità di promuovere consenso sociale è istituzioni grado di regolare in maniera efficace i rapporti sociali, il loro redde rationem. Un problema di natura squisitamente politica. Massimo L. Salvador!

Luoghi citati: Germania, Svizzera, Torino