«Piemonte non è veleno» di Bruno Pusterla
«Piemonte non è veleno» Si riaccende la polemica sull'atrazina, tornano in discussione le soglie di inquinamento fissate dalla Cee «Piemonte non è veleno» Il direttore della Federazione regionale agricoltori: «I territori comunali incriminati sono una cinquantina su oltre 1200» - «Una delle cause è la poca considerazione del mondo politico» Molti degli aspetti che compongono il mosaico dello «scandalo» delle acque Inquinate dagli antiparassitari richiedono attenti approfondimenti, più caute considerazioni ed opportune precisazioni. Innanzitutto, limitando il discorso al Piemonte, va tolto definitivamente di mezzo il luogo comune che dipinge questa regione come ricettacolo di acqua potabile avvelenata: bisogna, infatti, chiarire subito che i territori comunali focriminati (ed in svariati casi lo sono soltanto parzialmente) sono una cinquantina su un totale di oltre 1200. Con ciò — beninteso — non intendiamo svuotare di significato il problema dell'inquinameto o, quanto meno, cercare di minimizzarlo all'interno di dimensioni trascurabili; vogliamo semplicemente ricondurre 11 fenomeno nei suoi reali confini. In ogni caso, le preoccupanti vicende di questi giorni dimostrano la non considerazione del mondo politico nei confronti dell'agricoltura: questo settore, infatti, perde sempre più colpi, e non certo per intrinseca mancanza di capacità professionale o di peso economico, bensì per la noncuranza — appunto — che il potere politico, sia pure con le differenziazioni riconducibili alle diverse «bandiere», riserva ad essa. I fatti, comunque, sono chiari, almeno per chi li vuole leggere senza strumentalizzazioni di sorta o senza essere prevenuto a tutti 1 costi. Donat-Cattin ha ragione a non voler concedere più proroghe, se non altro perché ogni volta l'opinione pubblica gli si solleva contro. Ma il «vizio» sta all'origine. Una gestione più attenta e oculata delia vicenda in cui sono venuti a trovarsi i presidi sanitari usati in agricoltura avrebbe potuto certamente evitare—assieme all'allarmismo che si è diffuso tra i cittadini — la semplicistica ondata di criminalizzazione che si è riversata sugli imprenditori agricoli. Proprio il nostro Paese, spesso e volentieri restìo ad adeguarsi con puntualità alle normative comunitarie, ha dimostrato un'inusitata so¬ lerzia nel recepire una direttiva come la 778/80 che necessitava — come si poteva vedere a «occhio nudo» — di una serie di opportuni approfondimenti e di conseguenti valutazioni. Tanto che la non chiara situazione aveva indotto la Germania, adottando la direttiva, a premunirsi stabilendone la sospensione dell'applicazione in attesa di acquisire maggiori elementi di conoscenza sulla materia e di prepararsi convenientemente alla sua attuazione. Soltanto Olanda e Belgio, oltre all'Italia, hanno recepito la normativa, ma la loro agricoltura è caratterizzata da produzioni che richiedono limitati trattamenti antiparassitari o, addirittura, non ne richiedono affatto. Il mondo agricolo italiano ha piena coscienza della situazione nella quale opera: impiega quantità inferiori di prodotti chimici privilegiando quelli a breve persistenza di azione, utilizza i nuovi e meno tossici preparati industriali, sta riducendo la monocoltura, sta tornando alle rotazioni ed alla concimazio¬ ne organica, si sta impegnando negli avvicendamenti colturali, si sta interessando alla lotta biologica, alla lotta guidata ed a quella integrata, sistemi che devono ancora, per un motivo o per l'altro, essere perfezionati. Ma ciò, evidentemente, non basta, e non può bastare se non si terrà conto dei risultati cui è pervenuta l'Organizzazione mondiale della sanità (O.M.S.), la quale indica, per i residui nelle acque potabili di diserbanti contenenti i principi attivi sotto accusa, valori di molto superiori a quelli in essere come limiti di pericolosità per la salute umana: 2 microgrammi/litro per l'atrazina e 7 per il molinate invece dello 0,1 stabilito dalla normativa comunitaria e degli altri limiti successivamente fissati dalle ordinanze ministeriali e regionali. Per l'atrazina, in particolare, è Indicata una soglia di sicurezza estremamente ristretta (i 2 microgramml/litro sono stati ricavati utilizzando un coefficiente di sicurezza 1000 al posto di 100): ciò perché, prima di esprimersi del tutto sulla sua tos¬ sicità, l'O.M.S. preferì attendere di conoscere i risultati di uno studio dello Iasc (Centro ricerche sul cancro), elaborato in collaborazione con il governo ungherese, sui suoi effetti cancerogeni sull'uomo. Quanto al bentazone, i risultati di approfondire prove tossicologiche parlano di un livello massimo ammissibile pari a 350 microgrammi/litro. Se l'O.M.S. è credibile (e nessuno finora ha mai messo in dubbio la sua competenza), in attesa che la Cee modifichi la sua frettolosa ed imprecisa direttva, basata su una documentazione scientifica ormai superata, non resta che modificare urgentemente la normativa comunitaria a suo tempo recepita dal nostro Paese o, quanto meno, quella nazionale. Se ciò non avverrà, il deficit agroalimentare aumenterà enormemente e sulle nostre mense arriveranno, comunque, prodotti insicuri da Paesi in cui i controlli sanitari sono molto blandi. Bruno Pusterla Direttore della Federazione regionale degli agricoltori del Piemonte
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