Uno scienziato con humour

L'imperatore che non fu più dio La scomparsa di Hirohito: è durata 62 anni Fera della «pace illuminata» L'imperatore che non fu più dio La sua vicenda umana coincide con quella storica del Giappone nel XX secolo - Tra sconfitte e trionfi, salvò se stesso e il suo trono Uno scienziato con humour L'Imperatore Hirohito ha regnato per 62 anni, U periodo più lungo nella storia della dinastia. Ogni era imperiale porta un nome in Giappone. La sua ni battezzata Showa, che significa «pace illuminata». Ma è stata un'era di guerre e di turbinose trasformazioni: l'espansione militare degli Anni Trenta in Manciuria e in Cina, il conflitto mondiale negli anni dal 1941 al 1945, i bombardamenti atomici di Hiroshima e di Nagasaki, l'occupazione militare americana, e poi lo sbalorditivo sviluppo industriale del dopoguerra che ha portato il Giappone ad essere la seconda potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti. Hirohito è passato attraverso crolli, convulsioni e rinascite come una salamandra attraverso il fuoco. E cosi ha salvato se stesso e il suo trono. La ragione prima della sua sopravvivenza politica sta nella specificità della figura dell'imperatore In Giappone. Quella giapponese è la più antica casa regnante nel mondo, vanta una continuità di 1500 anni e ha un carattere sacro (o almeno l'ha avuto fino al 1945) che deriva dalla sua discendenza diretta, come vuole la leggenda, dalla dea del sole, Amaterasu-Omikami. Al massimo di sacralità ha corrisposto un minimo di potere politico. L'imperatore è stato sempre «più un papa che un Cesare» e mai ha esercitato una supremazia paragonabile a quella dei monarchi europei dell'assolutismo. A governare erano altri: lo «shogun» prima dell'era Meiji ( 1868) e poi le oligarchie politiche e militari nell'ultimo secolo. Come dicono 1 giapponesi: •L'imperatore è al di sopra delle nuvole». * * Questo non vuole dire che Hirohito sia vissuto al di fuori degli eventi che hanno sconvolto il suo Paese. Anzi, è stato sempre nell'occhio del ciclone. E' impossibile separare il suo destino da quelli del suo popolo. La sua vicenda umana coincide perfettamente con la vicenda storica del Giappone: da quando in uniforme militare e su un cavallo bianco passava in rassegna le truppe che si preparavano a conquistare il mondo accanto alla Germania nazista e all'Italia fascista a quando si è ritirato nel ruolo di un grigio sovrano di stile scandinavo intento a tagliare nastri e ricevere gli ospiti stranieri. La sua metamorfosi da imperatore mitologico a capo di Stato istituzionale corrisponde alla metamorfosi del suo Paese da potenza guerriera a società super-industriale e mercantile. I biografi di Hirohito soprattutto gli americani e gli inglesi — si sono spesso domandati: l'imperatore avrebbe potuto impedire l'entrata in guerra del Giap pone nel 1941? E' un inter rogativo che fu sollevato già nel 1945 quando il rappresentante del governo australiano propose di processare l'imperatore come criminale di guerra accanto all'ex primo ministro Hideld Tojo, che poi fu impiccato. La dichiarazione di guerra reca Infatti, una a fianco dell'altra, le firme di Hirohito e di Tojo. Come era possibile distinguere le colpe dell'imperatore da quelle del suo governo? * ★ Hirohito ha più volte risposto a questa domanda sostenendo che la Costitu- ' zione non gli accordava alcuna possibilità di contrastare una decisione che era stata adottata all'unanimità dai membri del governo. Un suo rifiuto di firmare avrebbe probabilmente comportato la sua deposizione e la nomina di un reggente meno recalcitrante ai voleri dell'apparato politico-militare. Va tuttavia rilevato che l'imperatore non ha mai detto di aver firmato «controvoglia» quel documento, mentre ha rivendicato il merito di aver imposto, a un governo diviso e incerto, l'accettazione della resa incondizionata due settimane dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki. "Non reggo al pensiero di altre sofferenze inflitte al mio popolo — furono le sue parole il 13 agosto 1945—io sono pronto a sopportare le prove più insopportabili e voi dovete fare altrettanto». Se non fu processato e neppure, come qualcuno suggeriva, costretto ad abdicare a favore di suo figlio Akihito (che allora aveva appena 12 anni e oggi sale al trono a 55 anni) lo deve al generale MacArthur, governatore militare del Giappone, il quale temeva che la caduta del simbolo imperiale potesse precipitare il Giappone in un caos difficilmente controllabile dalle truppe di occupazione. Ma a favore di Hirohito giocarono anche il coraggio e la dignità con cui seppe allora comportarsi. Egli si assunse in prima persona 'la responsabilità di tutto ciò che è accaduto», secondo un codice etico che ancora oggi modella la gerarchia giapponese e in base ai quale il direttore di un ufficio o un manager aziendale si considera responsabile di tutto ciò che accade nel settore di sua competenza anche per atti compiuti, a sua insaputa, da un dipendente. E' famosa una fotografia del 1945: Hirohito in giacca nera a falde e pantaloni a strisce, piccolo e impettito, accanto al massiccio ed invadente MacArthur in ma niche di camicia. Quella foto divenne agli occhi del mondo l'emblema del Giappone sconfitto e umiliato, Ma tra i giapponesi suscitò un sentimento diverso e più profondo: Hirohito incarnava il senso nipponico del de coro, la capacità di mascherare la sofferenza nei periodi di sventura. Quella im¬ magine conferì al sovrano una popolarità di tipo nuovo, una popolarità laica, che si sostituì al rispetto semireligioso che fino ad allora gli veniva tributato. Va ricordato che fino al 1945 era vietato guardare l'imperatore dall'alto in basso, e perciò venivano chiuse tutte le finestre quando egli percorreva una strada. Nei tram che passavano davanti alla residenza imperiale i passeggeri si levavano in piedi e facevano un Inchino. Ti" eroe giapponese per eccellenza era il cittadino che si bruciava le mani pur di salvare il ritratto dell'Imperatore da un incendio. I kamikaze, 1 piloti suicidi della Seconda guerra mondiale, morivano gridando: «Possa l'imperatore vivere diecimila anni*. Questa mutazione della figura imperiale è stata accolta e vissuta senza traumi. E' vero che i rappresentanti della destra mistica ed irrazionale, i nostalgici della purezza culturale nipponica si richiamavano (e si richiamano anche oggi) alla sacralità dell'imperatore. Ma erano e sono rimaste correnti marginali La stragrande maggioranza del popolo giapponese ha saputo dimostrare anche nell'accettazione della democrazia la sagacia mimetica che caratterizza tutta la sua storia: che poi sia solo un adattamento «superficiale», come molti stranieri sostengono, mentre i valori profondi restano inalterati, è una tesi suggestiva ma controversa Non è questa la sede per riaprire la discussione. * * Nel suo nuovo ruolo, di imperatore invisibile e, quasi dimenticato, Hirohito si sentiva à suo agio. Non ha mai più indossato uniformi né mai preso iniziative che avessero un qualche significato politico. Era 'il simbolo della nazione», secondo il dettato della nuova Costituzione. Non disponeva di una corte né di una guardia militare e viveva appartato, dedicandosi a un hobby inconsueto: le ricerche di biologia marina, un campo di studi che — come ha osservato un suo biografo—«non richiede un pensiero creativo ma una memoria da archivista». Egli ha pubblicato nove volumi sulla biologia dell'Oceano Pacifico e ha scoperto una rara specie di gamberi che porta ora 11 suo nome: *Sympasiphaea imperialis». Dell'uomo Hirohito non sappiamo gran che: era timido, taciturno, non amava le apparizioni pubbliche Qualcuno sostiene che non era privo di humour e cita un curioso aneddoto. Nel 1945, dopo aver dettato la famosa dichiarazione (impostagli dagli americani) nella quale negava la sua natura divina, pare si sia rivolto alla moglie con queste parole: 'Ed ora dimmi, ti sembro più umano?». c. st.

Persone citate: Akihito, Fera, Hideld Tojo, Tojo