Il biberon dei teen-agers

Il biberon dei teen-agers IN MOSTRA A MILANO I MIGLIORI VIDEOCLIP DEGLI ANNI 80 Il biberon dei teen-agers I filmati di pochi minuti che accompagnano in tv le canzoni sono ormai un fenomeno che interessa semiologi e sociologi - Per un crìtico «sono la sintesi dei diversi linguaggi artistici. Ciò che l'avanguardia promette, la tecnologia mantiene» - Chi li considera neobarocchi, chi neoromantici - L'influenza su cinema e letteratura - All'origine c'è la computer-grafica, inedita, aggressiva, velocissima MILANO — Sono il biberon dei nuovi teen-agers, il canale Videomusic li trasmette 24 ore su 24 (ma fanno ormai capolino su tutte le reti), influenzano la pubblicità, la grafica, la pittura, i telefilm, i film e adesso anche la narrativa. I videoclip, quei filmati da tre a cinque minuti che accompagnano una canzone, escono dai sotterranei e chiedono un po' d'attenzione tutta per loro. Prodotti audiovisivi a più facce, non trovano competenze precise: i crìtici musicali ne parlano di striscio perché musica soltanto non sono, mentre quelli d'arte si occupano appunto d'arte già codificata. Costituiscono un caso di forma tecnologica e popolare che prende in contropiede il sapere acquisito e trova udienza solo presso qualche volonteroso esperto in comunicazioni di massa. Ora la situazione pare stia cambiando. A marzo si tiene il primo Premio internazionale interamente dedicato a loro, con giurie a Londra, Parigi, Madrid e Roma; ad aprile il sociologo Alberto Abruzzese li esaminerà a Napoli in un seminario sulle videoculture; entro quest'anno il semiologo Omar Calabrese li inserirà nel suo muovo ciclo "Immagina» su Raiuno. E si chiude proprio oggi al Castello Sforzesco di Milano una mostra intitolata "Cover & Cover. Anni 80; in cui la fanno si da padrone le copertine dei dischi, altro esempio di comunicazione da noi dimenticata, ma in cui sono ospitati anche 250 videoclip. «Abbiamo scelto quelli che ci sembravano 1 più intelligenti», dice Enzo Gentile, che ha curato l'esposizione insieme con l'architetto-editore Alberto Tonti. «E' un territorio ormai immenso, ancora tutto da esplorare, catalogare, interpretare». / videoclip sono un'alluvione, una colata, un universo formicolante in cui si trova tutto e il con^qrta.di tutto. Ogni linguaggio, ogni stile, ogni sentimento, ogni nota. Ci sono quelli che riproducono passivamente il cantante o il complesso in concerto, ma ci sono quelli che abbracciano le avventure visive più gratuite e spericolate. Sono a colori o in bianco e nero, documentari o visionari, distesi o sincopati al limite del delirio: un'inquadratura può durare anche mezzo secondo, come in Blue Monday dei New Order, dove la prima raffica di flash spara immagini che sembrano quadri di Kandinskij. Nei clip si va per estremi. Ecco struggenti immagini da un qualche Paese del Sud America, o forse dal Messico, tra mare e terra aspra, polvere e fango: mani e piedi piagati da una lebbra,. un'auto con una pistola penduta sul parabrezza, un asino sotto un campanile, una bambina che tialU* f.'utra vola lenta appesa a un ra-.r.j. Ritmo da ballata in color seppia, fra dolore e nostalgia. E' il filmato per Twist on my sobrie ty, di Tanita Tikaram. Ed ecco invece alcune mele sospese nell'azzurro, fra labbra di donna e ondeggianti parole scritte di desiderio. Ispirato un po' a Magritte e un po'a Man Ray, è l'invito al peccato che singhiozza Prince in I wlsh your heaven (Desidero il tuo paradiso). Ma in ognuno manca una storia, una serie lineare e logica di eventi. Si procede per illuminazioni, per fulminei accostamenti di mini-sequenze. Manca cioè il tempo, la durata, che è tipica del racconto, del romanzo, appunto delta storia, n videoclip somiglia piuttosto alta condensazione lirica, tipica delta poesia. Con questo non si dice che il videoclip è poesia, ma che funziona come la poesia. Fino a pochi anni fa, i videoclip erano subalterni, servivano solo per lanciare una canzone; adesso hanno conquistato autonomia, si vendono a tutte le televisioni e sono accessibili a chiunque in cassetta. A prenderli un po' per volta, possono risultare piacevoli. Alberto Moravia dichiara che alta mattina, appena sveglio, accende Videomusic. Si distrae, si riconcilia col mondo. Il critico Achille Bonito Oliva invece si gusta la sua razione di videoclip prima di addormentarsi, verso le cinque del mattino ('«sono la mia camera di decompressione»). Ma a ingurgitarne dosi massicce ci si frastorna, ci si scinde, si annaspa. Il ritmo,visiva stritola l'occhio. Molti .allora j li seguono distrattamente, come rumore dì fondo, come carta da parali. Così fa lo scrittore Pier Vittorio Tondelli. E così preferisce Roberto D'Agostino, che di cultura giovanile si intende, al di là di certe sue stravaganze mondane e televisive. D'Agostino lancia una micidiale definizione dei videoclip: se essi sono trucioli, spezzoni che recuperano immagini sparse del nostro immaginario culturale, citazioni effìmere in quell'unico shaker c/te sono gli Anni Ottanta, e aspirano dunque al destino di "Spazzatura» (trash), allora sono "trash-endenti», andando oltre la piatta riproduzione naturalistica. E' Achille Bonito Oliva che funge da guida, da Virgilio, nella selva dei videoclip. «Sono lo l'unico critico d'arte che li studia. Un giorno ne scriverò». Esulta perché per lui il videoclip realizza la mitica convergenza delle arti, quell'unione dei linguaggi auspicata dalle avanguardie storiche all'inizio del secolo. «Ciò che l'avanguardia promette, la tecnologia mantiene». Enumera: musica, cinema, pittura, balletto, poesia, scenografia, architettura, grafica: tutto confluisce in un clip, che è perciò «moderno e sperimentale». E gli stili contemplano la velocità futurista, lo spaesamento dadaista e surrealista, il gusto pop, la baraonda dei/tiappening. n tutto compresso in un formato minimo, in una brevissima frazione di tempo, in un frammento. L'ar¬ ma che consente U compattamento è l'ellissi, l'arte del sottintendere, del bruciare i nessi non essenziali. Il clip è una girandola, un bengala, uno «sconfln.' .lento nell'arte totale attraverso l'uso intensivo della tecnologia, capace di trasformare ogni ricerca profonda in risultato di superficie, su cui scorre un sistema di segni provenienti da vari linguaggi». Non tutti i clip, beninteso, sono degni di tanta considerazione. Solo i migliori. Il clip come frammento, omologo allo spizzicare col telecomando. Parola ricca, frammento. Suscitatrice di parentele illustri, di analogie fascinose. «Da Nietzsche in poi tutto è frammento», dice Bonito Oliva. «La filosofia, il pensiero moderno procede per frammenti, per aforismi». «Dopo il Sessantotto non si possono più fare discorsi continui», concorda Sergio Talenti, direttore del quotidiano telematico a Videomusic. «Il clip risponde non solo alla sensibilità dei nuovi spettatori, ma anche a un più generale orizzonte di cultura». a clip appare alla fine come un prodotto «cocato», come lo chiama D'Agostino, cioè intriso di cocaina, esasperato nella sarabanda delle immagini. «Bruno Munari dice che ognuno vede quel che sa», continua D'Agostino. «Invece io credo che oggi si debba dire che ognuno sa quel che vede. Ci troviamo di fronte a un puro edonismo di superfìcie, che evita sì la profondità, ma che però stimola l'i- ronia, elimina il superfluo e la retorica, consegue molti punti diversi. Una disseminazione, ma anche un'arte dell'impacchettamento. Il linguaggio dei clip diventa un metodo di presentazione e di visione. Insomma, è la cornice che fa il quadro, come diceva Warhol». Il campo ora s'allarga. Alcuni studiosi inseriscono il videoclip in prospettive culturali e storiche. Omar Calabrese lo vede all'interno del gran fenomeno neobarocco che oggi pervade tutti i settori delta comunicazione e del comportamento quotidiano. Barocco, e cioè imprevedibile, instabile, a più dimensioni, in contrapposizione a ciò che è classico, ordinato, sistematico. Dioniso insomma contro Apollo. Il suo libro L'età neobarocca (Laterza) è appunto una ricognizione accurata delle parentele formali che collegano i linguaggi degli odierni mass media con l'alta matematica, le tendenze filosofiche e i romanzi d'autore ai nostri giorni. «L'unione di linguaggi artistici, quale avviene nei videoclip, sostiene Calabrese, è una tipica idea barocca Come è barocca l'ellissi, la scorciatoia narrativa». Alberto Abruzzese preferisce invece parlare dei videoclip come forma neoromantica, all'interno del più vasto, epocale fenomeno neoromantico che oggi ci caratterizzerebbe. «E' un termine che sottolinea, dice Abruzzese, la dimensione di industria culturale, tecnologica e metropolitana, in cui gioca il clip. Perché mi rifaccio ai problemi affrontati il secolo scorso da un Poe e da un Baudelaire, quando l'arte entra per la prima volta nell'epoca della riproducibilità tecnica». Sono questi i temi del suo recente Metafore della pubblicità (Costa & Nolani. Non è finita. R clip, questa scheggia audiovisiva, vanta ormai un rapporto di vicinanza con la video-arte, qvell'arte cioè concepita apposta per il video e che si consuma in apposite occasioni. «Ci sono oggi degli scambi fra i due settori, assicura Calabrese. Ieri la video-arte era più intransigente, più lenta, persino noiosa. Oggi invece è vivace, dinamica». Tanto che un ex critico musicale, Franco Bolelli, ci si dedica pienamente, organizzando eventi e mostre e allestendo libri, come il nuovo Presagi. L'Arte e l'Immaginazione visionaria negli Anni Ottanta (Agalev edizioni). Diabolico videoclip. Minuscolo e polimorfo. Influenza il linguaggio dei telefilm, sempre più veloci. Dei film, sempre più spettacolari, sempre più ricchi di effetti speciali, sempre più aggressivi e sorprendenti. E alcuni registi vengono proprio dai clip e dagli spot, come Alan Parker (Saranno famosi), Ridley Scott (Biade Runner, Alien, I duellanti), Adrian Lyne (Flashdance, Nove settimane e mezzo; e Russell Mulcahy (Highlander), autore di tanti filmati per il complesso dei Queens. «Tuttavia il passaggio non è facile, perché non tutti sono in grado di dirigere gli attori», dice il regista Gabriele Salvatores, che ha appena iniziato un nuovo video, dopo il film Marrakesch. «Quanto a me, cerco di oppormi al ritmo ossessivo dei clip, preferendo inquadrature più riposate, meno superficiali». Ma l'ombra dei videoclip si allunga anche sulla narrativa scritta. Esistono nuovi lettori che chiedono alta pagina la stessa velocità assorbita nei clip. I romanzi Meno che zero e Le regole dell'attrazione (Pironti), del ventiquattrenne americano Bret Easton Ellis, funzionano già per questi lettori. E' un unico circuito di diverse forme di comunicazione di massa. Si studierà che cosa si perde e che cosa si guadagna. Gli apocalittici, coloro che vedono nero, che paventano destini a capofitto in un baratro di rimbambimento onnivoro, sono per ora in minoranza. Mentre all'origine di questa gran frenesia comunicativa, dalla sintassi inedita e fulminante, si erge sempre lui, il computer, con le sue possibilità visive. E' la corriputer-graphic che dilaga nei clip. Consente la manipolazione di ogni istante e di ogni immagine. Colora, inietta, scrive, accelera, evoca spazi e geometrìe che fanno sussultare il povero Euclide. E siamo solo agli inizi. Claudio Alta rocca Michael Jackson, campione dei videoclip, «un territorio immenso, ancora tutto da esplorare»

Luoghi citati: Londra, Madrid, Messico, Milano, Napoli, Parigi, Roma, Sud America