Pilsudski lo spettro

Pilsudski lo spettro FOGLI DI BLOC-NOTES Pilsudski lo spettro OLIWA: nell'estrema periferia di Danzica. Già frazione autonoma della città baltica. Ospita la cattedrale cattolica dell'intera Danzica, in stile gotico primitivo, ultimo malinconico e un po' appartato residuo di un'abbazia medioevale dei Cistercensi. Soluzione obbligata, quando Danzica fu annessa alla Polonia dopo il '45. La città libera, nella sua effimera esperienza dal 1920 al 1939, aveva consolidato la maggioranza protestante, il culto luterano. Sotto Hitler aveva unito germanizzazione e decattolicizzazione. Non c'era una sola chiesa del centro storico della città adatta a svolgere quelle funzioni, degna del ritorno in forze dei cattolici (dalle campagne circostanti, quasi tutte polacche: sono le campagne in cui è nato Walesa, cittadino di questo paesaggio storicamente minoritario e quindi moralmente inflessibile). E' molto tardi; la chiesa è buia e spopolata. Scorgo soltanto, sul vasto piazzale, una minuscola insegna di oggetti religiosi. Mi affaccio alla finestrina dell'edicola: vedo una medaglia di Giovanni Paolo li affiancarsi a una medaglia del maresciallo Pilsudski, l'interprete del primo ciclo dell'indipendenza polacca dopo il 1920, il vincitore della battaglia di Varsavia contro la cavalleria sovietica del maresciallo Budienny. Semplice iscrizione: «Omaggio al maresciallo polacco Józef Pilsudski». Quasi due momenti di uno stesso culto: un culto in cui patria e fede si identificano, come in anni lontanissimi. POCHE ore prima, a colazione nella canonica di Santa Brigida, avevo ricevuto un'analoga e profonda impressione: nel salottino di monsignor Jankowsky — nella sacrestia che è considerata l'invulnerabile quartier generale di Solidarnosc — un , ritratto di Giovanni Paolo II si alternava a un ritratto del ' maresciallo Pilsudski," certa-" mente di anni non recenti, residuo del periodo della dittatura del generale, e della sua apoteosi. Non solo la Chiesa ripara dalle condanne politiche, ma stabilisce chi può e deve essere riabilitato. Ed è in corso un processo di lenta inesorabile riabilitazione del capo carismatico che aveva tanto impressionato il nunzio a Varsavia, il futuro papa Pio XI, fino a determinare il suo irremovibile no a Mosca: processo che ubbidisce alle stesse ragioni che portano ormai a parlare dovunque delle fosse di Katyn, le fosse degli ufficiali polacchi allevati alla scuola, e nel culto, del maresciallo Pilsudski. Un tema che il rispetto verso l'Urss, e il timore delI'Urss, avevano reso intoccabile fino a pochi anni fa. Una medaglia per gli ufficiali uccisi a Katyn sarà l'omaggio di monsignor Jankowsky. Ecco perché il volto del maresciallo rispunta nel Paese. Ecco perché il suo nome ritorna nelle università e nelle accademie; ecco perché i convegni di studi si susseguono sulla sua complessa e drammatica figura. E nuovi interrogativi si mescolano a vecchi fantasmi... NEL colloquio al ministero degli Esteri il titolare della politica internazionale di Jaruzelski, senza ipocrisie diplomatiche, mi dice apertamente che si sta cercando di togliere tutta la vernice caduta sul volto di Pilsudski, per liberarlo da Ogni incrostazione. Lo zelante e colto funzionario dell'attuale regime non lo considera un tema vietato, ne parla con naturalezza. E siccome il discorso era partito dai transfughi dal socialismo, fu in me spontanea la battuta: «L'Italia ha avuto Mussolini e voi Pilsudski». Immediata risposta di Olechowski: «No, no, Pilsudski non è la stessa cosa». UN'altra scena: incontro con gli intellettuali di Solidarnosc presso l'ambasciata italiana a Varsavia. A un certo punto parlo di «bonapartismo» e di «pilsudskismo», «per restare in casa vostra». Insorge Adam Michnik, che rappresenta l'ala sinistra del movimento di Walesa, che è stato in pi igiene non so quante volte, che è un personaggio di accenti e di vigore risorgimentali. «No, ho, Pilsudski è un'altra cosa, appartiene alla nostra storia». DA quella storia, dalla storia polacca, è impossibile in effetti sradicarlo. Della Polonia, egli ha incarnato tutte le contraddizioni. E' nato nel granducato di Lituania che fu uno dei classici strumenti zaristi per sradicare la «polonizzazione». Rappresenta la piccola nobiltà periferica, la stessa da cui è emerso Jaruzelski. Rivoluzionario Ioni court, ha la stoffa di un Lenin, ma al servizio della Polonia. Proviene dal tronco socialista; identifica fin dall'inizio lotta per la nazione e lotta per il proletariato. Deportato in Siberia a vent'anni, nel 1887, è destinato a rimanervene cinque. ' Ma non piegato dalle sofferenze, v Risorgerà"'indomito,' combattente di straordinario i vigore...Fonderà un. giornale clandestino che si chiama il Robotnik, L'operaio. Nel '900 sarà arrestato a Lodz e rinchiuso a Pietroburgo, ma riuscirà a fuggire. E' apostolo della liberazione del suo Paese a qualsiasi costo: nell'imminente guerra fra Russia e Giappone, si schiera dalla parte del Giappone (come farà Lenin con la Germania guglielmina) pur di infliggere un colpo alle spalle dell'impero attutai Impresa che non gli riuscirà; ma gli riuscirà quella di concentrare ogni sforzo nelle regioni polacche dominate dal tollerante regime dell'Austria-Ungheria. ON un'intuizione alla De Gaulle, Pilsudski annuncerà la rinascita della nazione polacca all'inizio della guerra, il 6 agosto 1914, guidando un corpo di volontari non molto più numerosi di quello della «France libre» del 1940: affiancato alle forze austro-ungariche. Aveva scelto il male minore; e comunque rilanciato la bandiera della Polonia combattente. E combattente su tutti i fronti, contro tutti gli avversari. La pace del 1918 troverà il futuro maresciallo di Polonia prigioniero nella fortezza tedesca di Magdeburgo. Salvo poi battere l'esercito sovietico, alla fine del 1920, sulle rive della Vistola. QUALCHE analogia, ancora, col modello gollista. Il padre della patria, che nella guida della Repubblica ha sposato le posizioni del nazionalismo duro e aggressivo — in cui c'è più poco di socialismo —, rifiuta la Costituzione che la Repubblica si è data. Troppo parlamentarismo, troppo garantismo, troppa aria di Weimar. Prefeiisce dimettersi da capo dello Stato, ritirarsi dal potere nel 1922. Sa di avere una destra e un centro nazionali e patriottici, che gli sono ostilissimi: nel 1923, dopo il ministero Witos, è esule in patria. Ma non aspetta una sua Algeria per risollevarsi. Dopo tre anni alla testa di alcuni reggimenti dell'esercito (che non aveva mai abbandonato) si presenta alle porte di Varsavia, sconfìgge le forze regolari, instaura un regime assoluto che qualcuno paragonerà al fascismo (e in Italia non mancheranno retori ed esegeti pronti a inneggiare al condottiero «fondatore della nuova Polonia»). Ed esercita la dittatura, anche se col solo titolo di ministro della guerra. SCENA culminante della leggenda: la rassegna militare di fine 1934 a Blonie vicino a Cracovia. Il maresciallo passa in rassegna i suoi ulani, mentre Hitler prepara i carri armati che avrebbero schiacciato la Polonia. Quarantamila ulani, quarantamila cavalieri, quarantamila cavalli: la famosa cavalleria che fu distrutta in poche ore nella guerra del '39. La cavalleria dei colonnelli Beck. CATTOLICESIMO e fascismo». Scorgo questo titolo in polacco nella vetrina di una delle pòche librerie antiquarie (si fa per' dire) di Varsavia. ~É il fondo di un settimanale dell'azione cattolica, che si chiama Rodzina pobka, di commento ai patti del Laterano. Ed è un'esaltazione assoluta della conciliazione dell'11 febbraio. Non senza un omaggio a padre Gemelli. Dovremo un giorno studiare quanto il modello italiano abbia pesato in Europa, in quei Paesi. Ma neanche il Concordato del '25, quello realizzato con la Repubblica polacca, difenderà i cattolici da tutte le de-, vastazioni naziste e totalitarie. Ci torna in mente Maeterlink: «La Nacion Crucifiée». • Giovanni Spadolini