L'utilità della Ferrari di Guido Ceronetti

L'utilità della Ferrari SUSSURRI E GRIDA L'utilità della Ferrari Cara Stampa, dopo quasi vent'anni di rispetto rigoroso delle regole di un quotidiano che tollera e ospita i miei umori, consentimi un'infrazione di codice che non si ripeterà. O forse sì, ma rarissime volte, guai se la cosa contagiasse... Mi rendo conto: un passo più in là ed è lo spettro della Disinformazione a levarsi! Da un certo tempo pensavo a confrontare, qui, nell'arena solita, un testo di Eraclito e uno di Qohélet, convinto che ogni avvicinamento tra Gerusalemme ed Atene valga, per il pensiero, anche più di quel che conta, in un orizzonte d'odii e di scannamenti, un avvicinamento tra Israele e Falastin. Fino alla morte, et ultra, sarò cittadino di Gerusatene, città che si visita solo cavalcando Baraq, i'ippogrifo notturno del Profeta; quanto all'Atene e alla Gerusalemme attuali le lascio a chi non sa vivere nel sogno, volo andata-ritorno, polaroid... Ma se rivelo nel titolo il contenuto, come vuole il codice, chi verrebbe ad attingere al mio pozzo, cara Stampa, chi? Già di lettori ne ho pochi, sempre gli stessi, affezionati, che invecchiano con me, quando tratto attualità, o quando, almeno, ci sia un'ombra di aggancio, e se mettessi l'unico titolo possibile, da rivista morta di noia, «Tra Qohélet ed Eraclito», anche i più fedeli, quel giorno, diserterebbero... Non solo: il pezzo resterebbe nel cassetto della redazione, per mesi, forse per anni, in attesa elei famoso aggancio, che potrebbe essere fornito dalla scoperta americana, attraverso il calcolatore, che Qohélet era greco, del dèmos Gargetto, e Eraclito, l'Efesio, di Hebron o di Betlemme. Evento possibile, ma chi sa quando? Con un titolo come «L'utilità della Ferrari» faccio un bel colpo: attiro alla filosofia gli appassionati della Formula Uno, presi all'amo dalla curiosità di scoprire che cosa trovi di utile nella «prestigiosa Casa» e nelle sue macchine un amante dell'inutile e non delle formule; prima che abbiano il tempo di sentirsi delusi l'articolo sarà già finito e gitene resterà, persistente, l'aroma sulle mani. Nello stesso tempo, chi stava per negligere un pezzo non abbastanza culturale, giudicandolo addirittura fuori posto, cadendogli l'occhio (figuratamente, gli auguro) sulla parola Eraclito, resterà preso dalla medesima esca: Ferrari e Presocratici non si trovano tutti i giorni sulla stessa colonna di giornale. Ti prego dunque di scusare, questa strana sortita, che ho tuttavia giustificato ampiamente, e . di ospitarmi ugualmente, sotto la maschera rossa dell'Utilità della Ferrari. (Il preambolo epistolare è terminato. Il vero articolo di quest'oggi comincia da qui). Un frammento di Eraclito afferma la novità giornaliera del sole: «Il sole è nuovo ogni giorno». Giorgio Colli - (La Sapienza Greca, III, Adelphi) dà a néos il senso di «giovane»: da ritenere. Di Qohélet nessuno ignora il (letterale): «Niente è nuovo sotto il sole». Mentre la versione latina ci ha tramandato il suo celebre nihil novi, la greca ha pròsfaton («nulla è giovane sotto il sole», nulla è fresco, recente, tenero, primaverile, sulla terra). Mi colpisce questo: che alla giovinezza perpetua del sole (néos ogni giorno) corrisponda, sotto il sole, l'assenza radicale di novità, nel senso della giovinezza come del «mai prima veduto». Il sole rinnova la terra, ma la terra non è mai nuova, mai giovane: nulla, sopra la terra, e sotto, lo è. Come mai questo? Ecco dove la filosofia contraddice il luogo comune: un rigeneratore che non rigenera è un enigma speculativo, sebbene, nella pura fisicità, dopo essersi mostrato «rigido e feroce» il pruno ritorni a «portar la rosa su la cima». In un altro frammento eracliteo il Fuoco è detto pieno di saggezza e d'intelligenza (frìnimon) e l'intelligenza è attributo di Elios come di Shàmash (Inno a Shàmash, in Testi sumerici e accadici, UTET, a cura di Giorgio Castellino); filologi e filosofi concordano nell'identificare Elios e il Fuoco: se è così Elios, il sole, si spoglia della fisicità e si veste di metafisico. Elios-Fuoco non è più tanto l'astro che si leva e-tramonta, ma qualcos'altro, d'inafferrabile dai sensi. In senso fisico, puramente, la giovinezza del sole è piuttosto dubbia, e gli astrofisici scuotono la testa, a ragione. Una splendida parola di Merleau-Ponty osserva malinconica: «noi viviamo dell'agonia di un astro»; perché il sole non è affatto giovane, è decrepito, ed era già agonizzante prima che l'uomo, sulla terra, si agitasse tra gli stagni del paleolitico, gonfi di coccodrilli, sfamandoli di se stesso. Ma il sole «giovane ogni giorno» è un Fuoco «sempiterno» che non conosce agonia: l'astro detto Elics non ne è che un'immagine. Così lo Shàmash accadico è sole e ben più che il sole: se fosse il sole fisico, quello nostro, rogo termonucleare destinato ad estinguersi, non scende"Tebbe fino all'Ade e non rischiarerebbe i pensieri dei malvagi, fino a punirli. La differenza sosranziale tra i due testi solari di Eraclito e di Qohélet è che l'Elios eracliteo è, arcaicamente e profondamente, sia iVsico che metafisico (essenzialmente è metafisico), mentre lo shàmesh di Qohélet è il sole-astro, senza attributi divini, opera di Dio e non Dio. Il nome è il medesimo in ebraico e in accadico ma, nei testi scritturali, Shàmash è una divinità scoronata, che si leva e tramonta, ma non sarà sempre giovane, e dovrà morire. Sotto un sole che invecchia, nihil novi, niente è giovane, e la novità, la giovinezza è Quel-che-non-è: le generazioni che appaiono nuove sono in realtà decrepite, tanto da essere incapaci di non ripetere gli stessi errori, incapaci di dire qualcosa che sia nuovo «sotto il sole». In un verso di Toast funebre, Mallarmé distilla la verità — «i fuochi del puro sole mortale» — della solarità fisica, che si autoalimenta d'atomi moribondi, fino al Buco Nero finale, mentre il Fuoco eracliteo e lo Shàmash di Babilonia seguiteranno a bagnarsi nella propria Fontana di Giovinezza, al di là del cielo mortale. Sotto questo sole tutto è nuovo; sotto l'altro, mortale, tutto e rinnovarsi, in tremendi cicli, di vecchiaie che generano vecchiaie: l'ambiguità straziante di questo essere, fuori posto dappertutto, che chiamiamo, certamente sbagliando, uomo, è di partecipare insieme di quella giovinezza immortale e dì questa vecchiaia senza fine, giovane da vecchio e vecchio da giovane, senza memoria precisa di una giovinezza eterna che invano gli rammentavano le statue di Apollo, e tutto occupato a tirare in lungo una vecchiaia che comincia prima del concepimento e che un ingente apparato di Luna Park deliranti, di crolli, musiche e sangue, non riesce a fargli dimenticare. C'è un rametto di mandorlo fiorito sulla tavola apparecchiata dell'oscuro presocratico, la cui acqua rimane limpida e inconsumata, visione che allieta un poco, pur così distante, anche noi; la visione del sapiente asmoneo è di puro deserto roccioso di Giudea, triste nonostante la vicinanza del Tempio dove il Fuoco acosmico sempre giovane e nuovo abita, triste ma con dentro la formidabile energia contagiosa delle luminosità nude di speranza, il magnetismo del pelago asciutto senza miraggi. Qualcosa si trova sempre scavando, scavando... Quel che resta, per me, introvabile, momento del pensiero che ricusa sciogliersi, è l'utilità della Ferrari. Guido Ceronetti

Persone citate: Giorgio Castellino, Giorgio Colli, Ponty, Profeta

Luoghi citati: Atene, Babilonia, Betlemme, Falastin, Gerusalemme, Israele