Guerra civile al largo di Lissa di Sergio Romano

Guerra civile al largo di Lissa UN DOCUMENTO SULLA SCONFITTA DELLA FLOTTA ITALIANA NEL 1866 Guerra civile al largo di Lissa I nostri marinai erano genovesi, piemontesi e napoletani; quelli austriaci erano veneti e dalmati ■ Cercavamo una rivincita sul mare • Trovammo una disfatta che sconvolse l'opinione pubblica e i capi militari • La spiega l'autodifesa dell'ammiraglio Persane, ora ripubblicata • Una giostra tumultuosa di corazzate che cercavano di speronarsi - Errori tattici, negligenze • Su uno solo ricadono responsabilità di molti Uno storico inglese, Denis Mach Smith, ha l'abitudine di osservare che la battaglia di Lissa, combattuta nelle acque dell'Adriatico il 20 luglio 1866 tra la flotta italiana e quella austriaca, fu un episodio di guerra civile. Le navi appartenevano a due Paesi nemici, ma gli equipaggi parlavano italiano, con una prevalenza di genovesi, piemontesi e napoletani da una parte, veneti e dalmati dall'aura; e gli ordini, naturalmente, venivano dati in italiano. Si assomigliavano, paradossalmente, persino i due comandanti. Persano, di ventuno anni più vecchio, aveva studiato alla Regia scuola di Marina, a Genova; Tegetthoff, al Collegio imperiale di Venezia. Il primo, a 19 anni, aveva partecipato a una spedizione contro i pirati barbareschi di Tripoli; il secondo, a trent'anni, era stato catturato dai pirati nel corso d'una spedizione in Arabia e in Egitto. Tutti e due erano stati aiutanti dì campo: di Vittorio Emanuele il primo, dell'arciduca Massimiliano il secondo. Tutti e due avevano fatto le guerre del '48 - del '59 e assediato città: Tegetthoff come alfiere di vascello su una delle navi che avevano partecipato al blocco di Venezia nel 1849, Persano come comandante della divisione italiana che aveva messo l'assedio alle fortezze borboniche di Messina, Gaeta e Ancona dal settembre del 1860 al febbraio 1861. Tutti e due furono membri della Camera alta del loro Paese: Persano entrò al Senato un anno prima di Lissa, Tegetthoff alla Camera dei Signori un anno dopo. L'austriaco aveva una grande fronte stempiata, grandi labbra carnose e grandi favoriti che mettevano in evidenza una fossetta sul mento. Il piemontese aveva una grande fronfe. ste^piata^ grandi tlabbra carnose e una.grande barba cavouriana. che lasciava intravedere una fossetta sul mento. Ma Tegetthoff aveva occhi sottili e ghiacciati che gli tagliavano il viso come fessure mentre Persano, all'epoca di Lissa, aveva occhi leggermente cadenti, palpebre pesanti e sguardo accigliato più che imperioso. In quasi vent'anni di ostilità le loro navi si erano tutVal più incrociate a distanza, soprattutto nell'Adriatico. Ma avevano un appuntamento, senza saperlo, per il 20 luglio 1866 nelle acque dell 'isola di Lissa, di fronte alle coste meridionali della Dalmazia. La battaglia durò poco più di un'ora, dalle undici e un quarto alle dodici e venti del mattino, e terminò con l'affondamento di due navi italiane: la corazzata Re d'Italia, che fu speronata dalla nave ammiraglia di Tegetthoff, e la Palestre che saltò in aria quando un incendio raggiunse la Santa Barbara. Non è facile oggi rendersi conto di quanto quella sconfitta sia costata al Paese, moralmente e politicamente, di quanto abbia sconvolto l'opinione pubblica, diviso Z'establlshment militare e pesato come un incubo sul futuro della marina italiana. Ci aiuta a comprenderlo una voce d'oltretomba. E' quella dello stesso Persano che nell'ottobre del 1866, mentre la stampa lo faceva a pezzi e l'avvocato militare stava istruendo il suo processo, pubblicò una memoria difensiva intitolata I fatti di Lissa Essa riappare oggi con una bella e documentata prefazione di Ezio Ferrante presso l'editore Studio Tesi di Pordenone, che dedica particolare attenzione alla letteratura e alle vicende dell'Europa centrale. La guerra era scoppiata il 20 giugno e quattro giorni do¬ po La Mormora era già stato sconfitto a Custoza dalle truppe austriache dell'arciduca Alberto. Ma il 3 luglio, a Sodoma, gli austrìaci erano stati sbaragliati dai prussiani con perdite altissime: 20 mila prigionieri, 25 mila tra morti e fe¬ riti. Le operazioni, praticamente, potevano dirsi finite. Ma in attesa dell'armistizio, che fu concluso alla fine del mese, l'Italia voleva un successo che ridesse alla sua immagine militare un po'del lustro perduto a Custoza. Fu deciso di usare la flotta, per la quale erano stati fatti negli anni precedenti grandi sforzi finanziari. Gli obiettivi possibili erano due: puntare su Pola, dove era la squadra di Tegetthoff, costringendo gli austriaci a battersi in mare aperto, o occupare Lissa per avere un pegno al tavolo dei negoziati Persano, dopo avere lungamente esitato, decise di sbarcare a Lissa. Arrivò di fronte all'isola nella iarda serata del 17 c cominciò a bombardare i forti nella mattina.del 18. Mandò anche una nave a tagliare il cavo telegrafico che univa Lissa al continente, ma la nave, al ritorno, gli riferi di avere intercettato, prima dell'interruzione, un telegramma da Trieste alla guarnigione dell'isola che raccomandava di resistere e annunciava l'arrivo della squadra di Polo. Cominciarono cosi due giornate confuse e inconcludenti, fatte d'incertezze, ripensamenti e iniziative lasciate a metà, durante le qua¬ li Persano aspettava rinforzi tenendo d'occhio contemporaneamente i forti di Lissa, molto più duri del previsto, e la linea dell'orizzonte dalla parte di Fola. Poteva davvero sperare che la squadra austriaca se ne sarebbe rimasta chiusa nel suo porto fino all'occupazione dell'isola? Si era finalmente deciso allo sbarco per la mattina del 20 e aveva appena dato istruzioni sul modo in cui procedere quando una delle sue navi gli segnalò «bastimenti sospetti in vista». Erano le otto del mattino, rinunciò allo sbarco e cercò di mettere in linea tutte le navi di cui disponeva. Tre ore dopo le due flotte erano di fronte: quella austriaca su tre cunei, l'uno dentro l'altro, con la nave ammiraglia di Tegetthoff al vertice; quella italiana su due linee con le navi corazzate davanti e quelle più vulnerabili in seconda fila. All'ultimo momento Persano decise di trasferirsi sull'Aifondatore che era allora la più rapida e corazzata delle navi italiane. Sostenne, nei Fatti di Lissa, che voleva essere pronto ad intervenire liberamente e fulmineamente in punti diversi della battaglia. Sostenne anche di avere segnalato il trasferimento al re¬ sto della flotta, ma sembra che molti non abbiano compreso la sua decisione o ne siano stati disorientati Le corazzate italiane andarono all'assalto infila, strette l'uno all'altra come soldati di fanteria nelle battaglie terrestri d'allora. Ma in pochi minuti la distanza fra i due schieramenti scomparve e il mare divenne una sorta di giostra tumultuosa fra navi che cercavano di speronarsi o si passavano accanto rovesciandosi addosso nuvole di proiettili. Persano, sembra di capire dal suo stesso racconto, saltò di qui e di là senza riuscire a impedire che Tegetthoff gli mandasse a fondo una nave e gliene incendiasse un'altra. E per di più, quando si guardò indietro, scopri che le navi di seconda fila non si erano impegnate nella battaglia e stavano a guardare come spettatori neutrali. Dopo avere colpito duramente la flotta italiana, Tegetthoff lasciò immediatamente il campo di battaglia. Persano avrebbe potuto inseguirlo o proseguire l'operazione di Iàsso Non fece né l'uno né l'altro. Poche settimane dopo scoppiò il primo scandalo militare dell'Italia unita. Accadde per certi aspetti quello che accade oggi in occasione di certe partite di calcio quando i tifosi celebrano la vittoria prima di averla e reagiscono alla sconfìtta come a un intollerabile tradimento. Persano non aveva soltanto perduto una battaglia. Aveva deluso le attese di quella parte della pubblica opinione che chiedeva al campo di battaglia la prova del 'risorgimento' nazionale. Attaccato violentemente dai giornali, chiese un processo e scrisse I fatti di Lissa Come senatore comparve di fronte alla Camera alta e fu giudicato «per inesecuzione di missione per negligenza ed imperìzia e per essersi allontanato dagli ordini ricevuti». 7Z15 aprile del 1867 fu condannato alla perdita del grado e della pensione. Al momento del processo e negli anni successivi ebbe più stile di quanto non ne avesse avuto durante la battaglia. Sapeva che la responsabilità era di molli, ma conosceva probabilmente la massima di Tacilo che Ferrante ricorda alla fine della sua prefazione e che può tradursi, grosso modo, così: la vittoria ha molti padri, la sconfìtta uno solo. Sergio Romano La battaglia di Lissa in una stampa del secolo scorso. Sotto, Carlo Pellion conte di Persano, che comandava la nostra flotta