Paolini nell'enigma delle moderne Muse

Paolini nell'enigma delle moderne Muse IN MOSTRA A ROMA, 28 OPERE RACCONTANO TRENTANNI DI RICERCA ARTISTICA Paolini nell'enigma delle moderne Muse ROMA — Alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, fino al 26 febbraio, omaggio a Giulio Paolini. E' una delle mostre più importanti di questi ùltimi tempi. Visitandola, credo si possano capire meglio alcuni •misteri'» dell'arte contemporanea Considerato dalla critica internazionale tra i maggiori artisti odierni, con una poeticità che sfiora illirismo, Paolini porge, con discrezione e sottilissima intelligenza, la chiave. Naturalmente è necessaria molta attenzione. Fin dai primi passi nel salone d'ingresso. Ancora di più, se possibile, quando ci si affaccia nel grande salone successivo che contiene la maggior parte delle 28 opere, di vari periodi, che formano la mostra. Vorrei suggerire di cogliere, prima di ogni altra cosa, con un colpo d'occhio, tutto l'insieme. E auscultare la sensazione (cioè, il sentire totale) che provoca quella specie di teatro. O, per dirla con Paolini stesso, quella «scena di conversazione: La quale, per come è composta, è un sommesso invito a vagare con lo sguardo dall'insieme, alle diverse opere, poste sul pavimento e sulle pareti. Senza trascurare la fascia vicina al soffitto, che corre su tutti i lati. Formata da una sequenza di altri lavori, anch'essi di vari periodi che, come una decorazione, concorre ad unificare lo spazio e le opere stesse. Contemporaneamente, conduce lentamente rocchio dell'osservatore verso la lunga parete di fondo, su cui campeggia la scritta Mnemosine, che è il titolo del lavoro conclusivo, nonché madre delle muse e dea della memoria. Comprende immagini di settecenteschi valet de chambre o, meglio, «maestri di cerimonia» (secondo i propositi di Paolini: l'artista stesso) che presentano, con grazia, una specie di scena formata da grandi tele rovesciate contro il muro. Una soltanto è dritta e dipinta con un pavimento colorato in prospettiva Appoggiate a queste tele e sulle braccia dei «valletti", alcuni piccoli quadri immacolati. Una sorta di punto focale in cui sembra concentrarsi quella che è sempre stata la sua idea-guida: l'enigma del fenomeno della pittura, il mistero della straordinaria potenzialità delle aiti visive. Ancora una volta più che un'antologica una mostra che, in sostanza è una nuova opera Come una summa teorica della propria ricerca, ormai quasi trentennale. Una specie di condensazione del suo lavoro che, approfittando dell'occasione espositiva, punta a creare un'epifania. Come rilevò Italo Calvino, che fu uno dei suoi più penetranti esegeti, fin daU'iriizio, Paolini ha sentito il bisogno di realizzare opere che contengono le precedenti. Formando un unico discorso, coerentissimo e in continuo svolgimento. Con acutezza Gianni Vattimo, nel catalogo della mostra (Mondadori-De Luca), ho. sottolineato come questo itinerario paoliniano richiami quello di certa filosofia contemporanea Che — ad onta della perdita irrimediabile di un orizzonte di pienezza — postula la necessità di evocarlo sempre di nuovo, «come svelamento utopico dèlia tragicità insuperabile della nostra condizione». Per nostra fortuna Paolini è solito accompagnare ogni sua nuova opera con riflessioni e scritti esplicativi. Già dagli esordi, negli ormai lontani pri- mi Anni 60. Testi lucidissimi, mentalmente vertiginosi, con cui caparbiamente insiste a chiarire le sue idee sul suo lavoro e sull'arte in generale. Ultima fatica, il recente volume Breve storia del vuoto in tredici stanze (ed. Hopefulmonster), che è un po' un compendio. Pure per questo, frequentemente, viene definito artista «concettuale». Come, ancora più erroneamente, era stato intruppato nella cosiddetta «arte povera». Mentre il rigore analitico, assai accentuato specie agli inizi e questa sua esigenza di una scrittura che si sviluppa di pari passo con le opere visive, confermano semmai una volontà costruttiva Insieme col desiderio di spiegare, con la massima chiarezza, la collocazione del suo lavoro, che si è sempre mosso al di fuori delle «etichette». Con modestia e, al tempo stesso, con fermezza, come egli ha detto, la sua è semplicemente «l'assoluta dedizione al fenomeno antico del vedere'. Ripetendo più e più volte che la sua ricerca, come per ogni altro artista, è tesa verso immagini assolute. Ma con la consapevolezza (dove a volte affiora persino un velo di autoironia) che tali immagini sono soltanto una misteriosa illusione. Credo che in questa mostra romana, oltre alle tele a rovescio e ai piccoli quadri bianchi, questa sensazione di mistero e, al tempo stesso, questa sua ostinata volontà conoscitiva, si rivelino in pieno pure nell'unico dipinto posto tra le tele rovesciate. Come ho accennato, vi è raffigurato un pavimento in prospettiva Secondo me, una precisa indicazione, per lo meno di certe regole da osservare. Anche se è solo un'ipotesi, suggerita con l'abituale finezza e discrezione. Che d'altronde, idealmente, si riallaccia alle risposte date dagli artisti del passato, al medesimo, ricorrente interrogativo: perché la pittura? Perché l'arte? Già in altre opere c'era stato, in vari modi, questo riferimento alla storia dell'arte e ai maestri di un tempo. Soprattutto era emersa un'idea di classicità, magari venata di nostalgia in molti suoi lavori: spesso sotto forma di calchi di statue antiche, interi o frantumati. Ma in questo caso mi pare che il riferimento avvenga in maniera meno allusiva, più diretta Probabilmente è il segno di una maggiore decisione. Quella stessa decisione ricordata da Saverio Vertone, sempre nel catalogo, che lo ha spinto, di recente, a rispondere in modo per lui inusitato a una inchiesta delia rivista Flash Art sugli artisti e il loro ruolo: «Mi apparterò... niente più vernissages, interviste, reportages... quotazioni, percentuali, spedizioni... una vita senza prezzo». Senza dubbio, malgrado l'ironìa, anche uno scatto d'insofferenza e d'orgoglio. Con la solita autenticità, con il consueto rigore intellettuale. Forse tra tanti dubbi, pure quello sull'attuale «sistema dell'arte». Anche su ciò che Luca Ronconi, per quanto riguarda il teatro, chiama «la crisi del pubblico: Che, in maggioranza, oggi vuole cose divaganti, senza spessore, scacciapensieri. Proprio l'opposto dell'arte di Paolini. Francesco Mncitorio Giulio Paolini: «Mimesi» (1975-76), tra le opere esposte a Roma

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