Per un nuovo Ippocrate di Ezio Minetto
Per un nuovo Ippocrate IL MEDICO EI MODERNI PROBLEMI MORALI Per un nuovo Ippocrate A 2400 anni dalla sua formulazione, che cosa rimane del giuramento di Ippocrate, so-' Icnne e nobilissima dichiarazione di morale e deontologia medica? Cimelio da biblioteca, anticaglia da buttar via oppure eterna verità messa alle strette dai tempi o codice da ritoccare e riscrivere? In apertura di Milano Medicina, un tribunale eccellente (Enzo Biagi, Giuliano Amato, Giorgio Cosmacini, Giulio Giorello, Ida Magli, Paolo Màntcgazza, Vittorio Staudachcr, Ersilio Tonini, Vittorio Ventafridda) ha intentato, con rispettosa provocazione, il «Processo a Ippocrate». Assente P«anzianissimo» imputato — ma idealmente presente nella sua falsa tomba a Coo e concordemente nel cuore di tutti j— l'«assoluzione», ovviamente, è stata piena, immediata c concorde. Tutti d'accordo sul valore eterno di un giuramento che'detta legge per la supremazia del «bene» del malato c, in assoluto, del bene per l'umanità, specie se sofferente. Tutti d'accordo, d'altra parte '—. con Carlo Bo — che quell'insegnamento, per forza di cose, chiede aggiornamento ai tempi, a fronte dell'incredibile progresso della scienza medica e dei sempre più incalzanti suoi risvolti pratici. E così, nell'Aula Magna dell'Università di Milano, tre illustri medici (V. Staudacher, G. Cosmacini, G. Burgio) hanno presentato e fatto autorevolmente declamare il giuramento, riscritto c aggiornato in chiave moderna e sacro rispetto. Sarebbe contento, il vecchio Ippocrate, della riedizione, corretta e riveduta, del suo insegnamento? Certo non basta riesumare Ippocrate, così com'era, scriveva nell'86 Giacomo Mottura, maestro e professore emerito dell'Università di Torino nel saggio //giuramento di Ippocrate. Doveri del medio > nella storia (Editori Riuniti), semplicemente sostituendo il nome dell'Onnipotente — o, oggi, per lui, dell'autorità civile o sanitaria — all'originaria invocazione ad Apollo. A dispetto di tutto, quel giuramento è sopravvissuto ai tempi, col giusto peso di un'idea che non muore, nonostante la sua sempre più anacronistica radice corporativa e il suo sempre più inestricabile adattamentoconflitto con una irruente «realtà diversa», scientifica, sociale e politico-sanitaria. E' cambiato il mondo, la medicina ha fatto miracoli e, insieme, ha perso casta e sacralità. Siamo ogni giorno alle prese con problemi più grandi di noi sui vantaggi-complicazioni delle più sofisticate tecnologie, sulla «buona» o «cattiva morte», sull'eutanasia di questo o quel tipo, sul diritto alla dignità di morire senza troppi accanimenti terapeutici — vedi le «supcragonie» da ragion di Stato di Franco, Tito e Hirohito — sino al più svilito «segreto professionale» e agli «uteri in affitto». Accanto alla progressiva spersonalizzazione e burocratizzazione della professione medica, fioriscono le più fruttuose ultraspecializzazioni e le più avveniristiche e persino impensabili realizzazioni d'avanguardia. A splendidi esempi di ippocratico comportamento e fede — alla dottor Schweitzcr e Miss Nightingale e mille altri — c'è, in tempo di «normative» e ideologie politiche, un «terzo colloquiante» che — al di sopra del medico e del malato — ha nome medicina di Stato, medicina assicurativa e altro: quando non addirittura — come, per ora, negli Usa — di un vero business di avvocaticeli! pronti a imputare il medico per ogni importante nonnulla. ' Meglio lasciarlo intatto, nei secoli, lo spirito del giuramento ippocratico, con relativa «divina» e antiquariale sovraintendenza di Apollo: e intanto — come giudiziosamente ha fatto l'Ordine dei Medici — scriverne, da capo, uno nuovo, pieno degli infiniti codicilli che richiede ciascuno dei moderni interrogativi umano-etico-professionali di noi, malati e sani, in prossimità del terzo millennio. L'intima obbedienza a Ippocrate, nel medico, non è certo spenta: e parla, più che alla ribalta dei grandi congressi, in mille anonimi atti quotidiani di chi — anche se declassato e non certo più «divino» — ha cura della salute degli altri. Ezio Minetto
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