Cinquantenni da buttare di Aldo Rizzo

Il caso Andreotti UNA. POLITICA ESTERA E UN LIBRO Il caso Andreotti Questa volta Giulio Andreotti mette a dura prova la fedeltà dei suoi fata letterari, che non sempre coincidono con quelli politici, insomma di tutti quei lettori che hanno decretato il successo della serie sui personaggi celebri «visti da vicino». Anche l'Urss, a. cui è dedicato il nuovo libro del nostro infaticabile ministro degli Esteri, è «vista da vicino» (Rizzoli); ma il lettore non'si aspetti la consueta galleria di bozzetti lievi e lievemente ironici. Questa è una stimma di quaranta e più anni di rapporti di ogni genere tra l'Italia e l'Unione Sovietica, , con comunicati ufficiali, lunghi resoconti di conversazioni . diplomatiche (che a volte tralignano nell'appunto burocratico), memorie puntigliose di episodi anche mìnimi. E tuttavia — ecco la notizia buona, dopo quella cattiva — e pur sempre un libro di Giulio Andreotti. Anzi, per certi versi, lo è più di altri. Intanto, se abbondano i documenti prolissi, non mancano neppure qui gli episodi gustosi e i saggi di humour, ai quali tanto deve la fama dello statista democristiano. Penso, per esempio, a quando, nel 1966, un Andreotti ministro dell'Industria accompagna a Torino il presidente sovietico Nikolaj Podgorny e registra lo sconcerto dei parlamentari comunisti per gli «elogi caldissimi del defunto professor Vittorio Valletta», ad opera del capo del Soviet Supremo. O a quando, più tardi, alla colazione ufficiale, ancora Andreotti siede alla destra del più alto, formalmente, rappresentante dell'Urss; e «a poca distanza, Giancarlo Pajetta mi guardava incuriosito, pensando probabilmente alle bizzarrie della storia». E Podgorny, di nuovo, clic prende da parte il ministro democristiano e gli chiede se, nell'udienza con Paolo VI, potrà almeno tenere fra le dita quella sigaretta,, senza la quale «nei colloqui importanti si sentiva confuso e perdeva lucidità». Penso anche al racconto delle incalzanti cerimonie funebri al Cremlino, in quei rre anni, dal 1982 al~1985, in cui mori rono tre segretari generali del pcus. Ma, anche nella parte più strettamente politica e diplomatica, sono molti i motivi d'interesse. Sia pure al prezzo d'interminabili, a volte, tra scrizioni di colloqui, che svariano sui temi più disparati, che un implacabile Andreotti mostra di considerare, anche a distanza di tempo, parimcn ti importanti, ci è concesso di vedere davvero «da vicino» l'evoluzione graduale e spesso contraddittoria della posizio ne sovietica sulle questioni d maggior momento, come gl euromissili e l'Afghanistan. Si vede, voglio dire, l'affievolirsi progressivo delle condizioni dell'Urss, sia per l'eliminazio ne degli SS-20, sia per il ritiro dall'Afghanistan, passando attraverso tentativi di rialzare il prezzo, poi regolarmente abbandonati di fronte alla fermezza della Nato. Che An dreotti, per la verità, non con traddice quasi mai, pur nella sistematica, tenace ricerca di punti d'incontro. E qui siamo già al perso naggio Andreotti, all'An dreotti politico e diplomatico che in questo libro, proprio perché diverso da altri più He.vi e divertiti, emerge più net tamente. Dunque Andreotti sa parlare, all'occorrenza, an che il linguaggio della fermezza, cioè, almeno sulle questioni importanti, non commette l'errore di proporsi come mediatore, o anche sol tanto di esporre una sua posizione, diversa da quella del resto dell'Occidente. In questo, si conferma migliore di una certa tradizione italiana, ispirata alla furbizia più che all'intelligenza, e alla voglia di un presenzialismo fine a se stesso. No, Andreotti non tenta di mediare tra Usa è Urss o tra .arabi e israeliani. Accetta la • logica bipolare del mondo in •cui viviamo e trova persino ■ opportuno, per ragioni dicia: mo così di ordine, che siano le : due superpotenze a guidare • gioco, ciascuna per la sua par- • te di mondo. Ma, fatta questa concessione di metodo, per : certi aspetti decisiva, mostra : nella sostanza di non ricono ; scersi, o almeno di.non riconoscersi completamente, in nessuna'delle due posizioni antagoniste, neppure in quella dell'Occidente. Il suo ideale di tipo ecumenico, e non potendo proporlo esplicitamensi accontenta d'inserirlo come può, al riparo della teoria dei due campi, che egli, come dicevo, accetta, ma più esattamente subisce. Un ideale, in qualche modo wojtyliano, che porta avanti nei modi concessi, non a un Papa, ma al ministro degli Esteri di un grande Paese della Nato. Il caso Andreotti». Si capisce che la presenza a Mosca di un personaggio come Michail Gorbaciov esalta questo disegno, facendolo uscire dal regno dell'utopia. Andreotti aveva trovato del buono anche nei suoi predecessori; persino, si direbbe, in Stalin («Quel povero.Maresciallo...»), dalla cui attuale demonizzazione prende in ogni caso lé distanze, per rimettersi al giudizio della storia (un giudizio, però, che già c'è). Figurarsi con Gorbaciov, che oltretutto preannuncia «il ritorno a Dio» nella patria del materialismo. Ma anche altre affermazioni contenute nel libro acquistano un significato particolare, alla luce di queste considerazioni generali sul caso Andreotti. Mi ha colpito, per esempio, lo. scetticismo, espresso qua e là, sul valore e sull'importanza degli «esperti» («ma esistono davvero?»). Fra l'altro, non so quanto potrà essere apprezzato dai funzionati della Farnesina, dei quali Andreotti è il ministro Ma il punto è che, pur essendo una persona precisa e persino pedante, un ministro che si studia con diligenza i dossiers, preparatigli dai collabo ratori, Andreotti assume co me fattore-guida l'intuizione politica e, al limite, caratte riale, nel dialogo con la controparte. Un'altra cosa che mi ha colpito è il sospetto, che il,ministro rivela più volte nel libro, dell'esistenza di gruppi o. persone che agiscono dietro le quinte per fare dispetto agli uomini di buona volontà («i soliti ignoti che cercano ogni mezzo per contrastate la distensione internazionale»), Salvo errore, il sospetto valeva per l'incidente italo-americano di Sigonella, subito dopo il sequestro dell'Achille Lauro come per la «pista bulgara» seguita per qualche tempo in Italia e in America, nel tenta tivo di fare luce sull'attentato a Giovanni Paolo II. Naturalmente, non ho elementi per ritenere che Andreotti abbia ragione o torto; ma un po' mi stupisce, lo confesso, la reductio di casi complessi a una sorta di teoria del complotto, nella quale vedo l'insofferenza, tipica del credente, verso chi ostacola i santi percorsi della Provvidènza. Con questo, non vorrei autorizzare l'impressione di un Andreotti mistico o quasi. Il ministro degli Esteri sarebbe il primo a riderne. E c'è addirittura chi, in un altro contesto, ha paragonato Andreotti a Belzebù... La mia impressione è un'altra, ed è che, nonostante Io spregiudicato tatticismo del quale l'eminente uomo politico è accreditato, almeno nel quadro interno italiano, agisca seguendo un criterio di fondo generalissimo, che è quello di cercare di mettere d'accordo il maggior numero possibile di persone, sempre e dovunque, all'interno e all'estero. All'estero, questo significa distensione a tutti i costi; all'interno, stabilità del potere e del sistema, indipendentemente da chi, di volta in volta, vi concorre. In somma l'ecumenismo, magari a geometria variabile: quanto basta per avere una stella po lare per il proprio personale destino (nel senso migliore), senza l'obbligo e il tormento delle vere scelte di campo. E il rischio di sbagliare. A proposito di errori, vorrei, per chiudere, prendere un momento le parti degli «esperti», e fare rispettosa mente presente all'Autore, per la successiva edizione, che il negoziato Mbfr (per la riduzione delle forze convenziona li nel Centro Europa), citato come motivo di delusione in una conversazione con Kossighin dell'ottobre 1972, cominciò in realtà esattamente (e inutilmente) un anno dopo il prenegoziato, tre mesi dopo. Per carità, niente ìl'im portante, la delusione era sol tanto anticipata. E contesterei, infine, il giudizio sul vertice di Reykjavik del 1986 come di un immediato successo, stranamente misconosciuto dai media italiani. No, in termini imme diati, Reykjavik fu un fiasco anche drammatico. Ma, d nuovo, Andreotti guardava più in là, verso quello che sarebbe potuto accadere dopo E non aveva, in verità, tutti torti. Aldo Rizzo