Su Bagnoli è scontro politico di Eugenio Palmieri

Su Bagnoli è scontro politico La Cee impone la chiusura entro giugno del «cuore» dell'impianto siderurgico Su Bagnoli è scontro politico De Michehs sconfessa l'operato di Fracanzani - Giovedì la polemica in Consiglio dei ministri -1 socialisti: «Bisogna trattare ancora» - La Fiom accusa di «ambiguità» il ministro delle Partecipazioni Statali - In pericolo 2500 posti di lavoro ROMA — Si riapre il «caso» Bagnoli. E giovedì al Consiglio dei ministri c'è il rischio dell'ennesimo scontro tra il responsabile delle Partecipazioni Statali, Fracanzani, e il vicepresidente De Michelis. Due linee di condotta diverse che potrebbero trovarsi in rotta di collisione, come accaduto in passato, dopo la pubblicazione del documento Cee che impone la chiusura del cuore dello stabilimento napoletano entro il 30 giugno, senza deroghe o scappatoie. Il clima politico è di nuovo rovente: in ballo vi sono 2500 posti. Ambiguità politiche? Manovre tra lobbies industriali? Malintesi interessati? Bagnoli data in pasto ai «falchi» della siderurgia tedesca per spuntare dalla Comunità europea gli aiuti che alleneranno la situazione debitoria dell'acciaio di Stato? Le domande si rincorrono negli ambienti direttamente coinvolti nella drammatica storia dell'impianto che sì allunga di fronte a Precida, in una conca splendida. Giorgio Napolitano, esponente del pei, è uno dei pochi uomini politici a rompere il silenzio delle.feste di fine anno: -Non si possono lasciar circolare per settimane equivoci e illusioni", ti chiede un intervento al massimo livello: -De Mita deve rispondere sulle reticenze di Fracanzani e su delicate questioni di rapporti con la Cee che ancora una volta vengono in luce». C'è allarme anche nelle file della maggioranza. Dice il presidente della commissione bicamerale per le partecipazioni statali, Biagio Marzo, socialista: 'Dobbiamo leggere bene la delìbera della Cee e dobbiamo capire. Certo, è una situazione inedita e molto preoccupante. Fracanzani deve tor- nare a trattare per la parte dell'area a caldo. Non ha senso chiuderla nel momento in cui la congiuntura marcia con il vento in poppa. L'integrità del ciclo produttivo va mantenuta». I sindacati, divisi, vogliono tornare subito al tavolo della trattativa con il ministro: la Fiom accusa Fracanzani di "ambiguità»; la Uil sostiene che si tratta di una decisione, quella della chiusura dello stabilimento, che compete all'autonomia del governo italiano; la Clsl invece accusa le altre confederazioni di strumentalizzare la vicenda 'perché tutti gli addetti ai lavori sapevano benissimo quali erano i piani tanto che per un anno e mezzo si è discusso della reindustrializzazione». E' certo che il comportamento del governo e dei sindacati centrali non ha generato chiarezza, ma soltanto una diffidenza crescente verso la credibilità delle proposte avanzate, cancellate, modificate, in tutti questi mesi. "Bagnoli è salva», 'Futuro assicurato a Bagnoli», erano i titoli che, meno di un mese fa, face¬ vano bella mostra sui giornali, alla televisione, alla radio. E l'effetto tam-tam delle dichiarazioni ottimistiche di alcuni ministri, alla fine di una trattativa difficile coni partner comunitari, era rimbalzato il 14 dicembre da Bruxelles, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti quelli che si stavano giocando il posto di lavoro. Poi la doccia fredda. Il documento della Commissione Cee reso noto dal Sole 24 Ore il 30 dicembre che non lascia spazio alle interpretazioni: -E" fatta eccezione per l'area fu¬ soria di Bagnoli, la cui chiusura dovrà essere completata entro il 30 giugno 1989». Un paragrafato pesante come un macigno, tanto da provocare l'immediata precisazione del ministro Fracanzani: il piano dell'In, condiviso dalla Cee, prevedeva la chiusura totale e quindi è stato un successo del governo italiano aver tenuto in vita il laminatoio; per Bagnoli c'è un piano di reindustrializzazione, discusso con i sindacati, 1000 miliardi di investimenti in settori diversi dalla siderurgia, per la creazione di 4400 posti di lavoro." Allora tutto a posto? Niente affatto. Il 23 dicembre, infatti, il vicepresidente del Consiglio Gianni De Michelis, che da sempre controlla dalla sponda socialista le iniziative di Fracanzani, aveva rilasciato un commento di ben altro tenore. Aveva sentito odore di bruciato? Forse. Fatto sta che le sue parole non lasciano dubbi: "Bagnoli svolgerà un ruolo strategico dì grande importanza. L'assetto dello stabilimento resta un problema esclusivamente italiano da risolvere, nell'ambito di valutazione strettamente economico-industriale, senza scadenze predeterminate». Praticamente una sconfessione della linea seguita a Bruxelles. Il Cipi, il comitato dei ministri, riunitosi in giugno, aveva approvato il piano e, su richiesta dei socialisti, aveva aggiunto un clausola (poche parole ma fondamentali) sparita nel testo Cee, che prevedeva la sopravvivenza dell'area fusoria (il «cuore», dove la matèria prima viene trasformata in grandi pani di acciaio) qualora la produzione propria fosse più conveniente di quella acquistata in altri impianti. In giugno una commissione tecnica avrebbe dovuto fornire elementi di giudizio. Insomma le versioni e gli impegni presi a Roma e a Bruxelles non coincidono. Si deve riaprire il negoziato con Bruxelles? E' quello che chiedono le opposizioni, ma giovedì lo potrebbe chiedere anche qualche membro del governo visto che oggi un chilo di acciaio prodotto a Bagnoli costa 300 lire contro il prezzo di mercato di 400 lire. Eugenio Palmieri

Luoghi citati: Bruxelles, Roma