I nostri debiti con Voltaire senza etichette e lenti colorate di Pier Franco Quaglieni

I nostri debiti con Voltaire senza etichette e lenti colorate Il saggio del filosofo Alfred J. Ayer pubblicato dal Mulino I nostri debiti con Voltaire senza etichette e lenti colorate IiL Mulino» ha recentemente pubblicato il saggio di Alfred J. Ayer dedicato a Voltaire. Il lavo I ro del filosofo inglese che fu uno degli esponenti dell'Empirismo logico, non è una discussione critica del pensiero volteriano, ma una sua esposizione a cui aggiungere, qua e là «un commento personale» di Ayer che nella prefazione esprime la sua ammirata stima nei confronti di Voltaire per il «suo coraggio morale». E' un libro scritto in uno stile agile e piacevole alla lettura che offre l'opportunità di avvicinarsi per la prima volta a Voltaire senza particolari problemi. Al lettore italiano, abituato alle interminabili discussioni che Voltaire in più di due secoli ha scuscitato, può sembrare un volumetto assolutamente diverso, un semplice strumento di conoscenza degli aspetti salienti della vita e dell'opera del grande illuminista francese. Oppure - di fronte al tramonto delle ideologie - l'opera di Ayer può anche essere considerata un'onesta ricostruzione senza troppe interferenze ideologiche personali: siamo stati per anni letteralmente sommersi da saggi che esprimevano come unica preoccupazione quella di valutare -prima ancora 'di esporre - l'autore analizzato che Ayer ci può risultare del tutto «semplicistico». Tuttavia sta di fatto che quando si pensa a Voltaire, si pensa inevitabilmente anche ad alcuni nodi cruciali che il libro trascura quasi totalmente: esso ci dice chi è stato Voltaire, ma non come oggi andrebbe valutato, oltrepassando sia la mitizzazione che lo portò durante la rivoluzione al Pantheon di Parigi (si è parlato della pantheizzazione di Voltaire anche in termini metaforici) sia la critica astiosa scatenata nei suoi confronti da cattolici.e marxisti. A questo proposito, innanzi tutto va riconosciuto al philosophe francese l'impegno costante - pur tra evidenti ed innegabili contraddizioni - per la tolleranza, la libertà di pensiero e di parola, oltre che una ferma denuncia di ogni sopraffazione e di ogni forma di conformismo. Voltaire, per altro, si rivelò, spesso anche intollerante nella sua polemica caustica ed arguta contro le arretratezze della sua epoca e le strozzature soffocatrici della libertà. Sovente con la sua satira non esitò a esemplificare e a deformare la realtà, pur di far prevalere le sue tesi. Malgrado questi limiti (in larga misura spiegabili con la passione civile che lo animò) Voltaire esercitò una grande influenza non solo sulla società francese ma sull'intera Europa. La sua fu una funzione soprattutto distruttiva, nel. senso che egli si propose di demolire le basi morali ed intellettuali deìl'Ancien Regime senza riuscire a proporre altri ordinamenti. Come già osservò Gaetano Mosca nella sua storia delle dottrine politiche «la funzione riconostruttiva, quella che creò le teorie nuove restò quasi esclusivamente affidata a due grandi personalità: Montesquieu e Rousseau». E così ritorna quasi d'obbligo - nel momento stesso in cui si parla di Voltaire - il nome di Rousseau: due personaggi tanto diversi che non si amarono in vita, anche se ebbero in sorte la contemporanea sepoltura nel Pantheon parigino. Secondo una distinzione che è quasi diventata un luogo comune, Voltaire avrebbe infulenzato i primi passi della Rivoluzione dell'89, mentre Rousseau sarebbe stato «il legislatore» della Rivoluzione, se si trascura (ingiustamente) Montesquieu. Il discorso storico è in effetti assai più complesso ed articolato ed aveva sicuramente ragione Riccardo Fubini quando scrisse a proposito di Voltaire: era «l'ultimo erede della famiglia dei grandi umanisti presso i quali non è tanto da cercare un'elaborazione di concetti quanto una mediazione di cultura, non una costruzione volta al futuro, ma un affidamento critico in base a nozioni ricevute, nonché un'interpretazione viva del presente». E forse ha anche implicitamente ragione Ayer ad evitare confronti tra Voltaire e Rousseau e soprattutto nel non lanciarsi imbrigliare in questo tipo di dispute, limitandosi a ricostruire, con sobrietà tutta anglosassone, l'opera di Voltaire con particolare riferimento all'influsso inglese, alla polemica contro Pascal e Maupertuis, alla sua concezione della storia, nonché all'esame delle sue opere più famose, dal Dizionario filosofico al Candide. E' inoltre merito indiscusso di Ayer aver superato completamente il problema relativo ad un'interpretazione in chiave esclusivamente «borghese» di Voltaire che oggi nessuno ha più il coraggio di sostenere come è accaduto per troppo tempo, quando Voltaire veniva visto come espressione della borghesia e, a volte, dei suoi aspetti più negativi. Se alcuni tratti di Voltaire sono sicuramente borghesi, è certo assai discutibile sostenere, come fecero anche studiosi del livello di Luigi Firpo, che «la sua visione del mondo, se ha da essere riassunta in una parola, non può non venire definita con la qualifica di "borghese"». In effetti il valore della battaglia volteriana è di respiro decisamente più ampio: il suo è stato un impegno volto a cancellare le superstizioni del passato in nome della ragione, anche se va riconosciuto - come diceva Kant - che la bilancia dell'intelletto non è del tutto precisa e disinteressata. Voltaire, che usò abbondantemente quella bilancia, non fu quindi esente da errori e da esagerazioni, ma va detto con assoluta chiarezza che a lui siamo debitori dell'affermazione di fondamentali diritti umani che sarebbe assurdo definire solo e soltanto borghesi. Pier Franco Quaglieni

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